ROUSSEAU UOMO E LUOMO DI ROUSSEAU
di Davide Cabassa
Lettori, ricordatevi sempre che colui che vi parla non è né un dotto né un filosofo, ma un uomo semplice, amico della verità, senza partito, senza sistema; un solitario che, vivendo poco con gli uomini, ha meno occasione di assorbirne i pregiudizi, e maggior tempo per riflettere su quello che lo colpisce quando è con essi in relazione *.
* Emile, II, in Opere, p. 411. Il corsivo è nostro.
INDICE
PREFAZIONE 1
NOTA BIBLIOGRAFICA 4
INTRODUZIONE: Rousseau oggi 5
CRONOLOGIA DETTAGLIATA DELLA VITA E DELLE OPERE 15
PARTE I Rousseau uomo 32
Capitolo I Jean Jacques secondo Rousseau 33
I. 1. Il patto con il lettore 33
I. 2. Gli scritti autobiografici di Rousseau 35
I. 3. Rousseau uomo : lenigma di un genio 38
I. 4. Conclusioni 41
Capitolo II Rousseau, coscienza offesa 43
II. 1. Le umiliazioni subite da Jean Jacques negli anni dellinfanzia
e della giovinezza 43
II. 2. Le contraddizioni sociali di cui Rousseau è stato spettatore 46
II. 3. L illuminazione di Vincennes 48
II. 4. Le tre fasi della carriera letteraria di Rousseau 50
II. 5. Conclusioni 51
Capitolo III Rousseau, lhomme de la nature et de la vérité 53
III. 1. La vocazione calvinista: Vitam impendere vero 53
III. 2. La grande révolution 55
III. 3. Un uomo in tutta la verità della natura 58
III. 4. Un uomo sincero ma non virtuoso 61
III. 5. Conclusioni 62
Capitolo IV Rousseau, homme de plaisir 64
IV. 1. I sensi di colpa di Jean Jacques 64
IV. 2. Madame de Warens, la bonne maman di Jean Jacques 65
IV. 3. Jean Jacques e le donne: un confronto inquietante 67
IV. 4. Labbandono dei figli agli Enfants Trouvés 70
IV. 5. Conclusioni 75
Capitolo V Rousseau, promeneur solitaire 77
V. 1. La solitudine come ricerca della trasparenza e difesa
dei diritti dellio 77
V. 2. I vagabondaggi al tempo della giovinezza 82
V. 3. La ricerca del paradiso terrestre 86
V. 4. Conclusioni 91
Capitolo VI Nel dolore la felicità: il ruolo costruttivo della
rêverie 93
VI. 1. Il delirio di persecuzione di Jean Jacques 93
VI. 2. Una luce nel buio: la gioia come conseguenza del dolore 97
VI. 3. La felicità come stato di autosufficienza e la felicità
dellattesa 100
VI. 4. Conclusioni 107
PARTE II Luomo di Rousseau 109
Capitolo VII Critica alla società dei Lumi 110
VII. 1. La polemica tra Rousseau e i philosophes 110
VII. 2. Le scienze e le arti devono la loro nascita allo sviluppo dei
nostri vizi 113
VII. 3. Le scienze e le arti alimentano lipocrisia, il lusso e il
conformismo 115
VII. 4. La diseguaglianza tra gli uomini 119
VII. 5. Conclusioni 121
Capitolo VIII La science de lhomme 122
VIII. 1. Lo scavo interiore di Rousseau: una pietra di paragone per
studio del cuore umano 122
VIII. 2. Le ragioni del cuore 123
VIII. 3. Per essere se stessi bisogna agire come si parla 124
VIII. 4. Conclusioni 125
Capitolo IX Il selvaggio e il cittadino 126
IX. 1. Il ritorno allo stato di natura 126
IX. 2. Dallo stato naturale allo stato civile 128
IX. 3. Meglio la vita civile o la vita naturale? 130
IX. 4. Conclusioni 134
Capitolo X Emile, lhomme nouveau 136
X. 1. Leducazione pubblica e leducazione naturale
rousseauiana 136
X. 2. La pedagogia di Rousseau: un problema politico e morale 139
X. 3. Leducazione morale e religiosa 141
X. 4. Conclusioni 144
Capitolo XI La società charmante 147
XI. 1. Leticismo di Rousseau e lutilitarismo degli altri pensatori
politici 147
XI. 2. Limpersonalità della volontà generale 149
XI. 3. Lillimitatezza della sovranità popolare 152
XI. 4. Conclusioni 155
Capitolo XII Libertà e schiavitù delluomo di Rousseau 157
XII. 1. Il liberalismo etico rousseauiano 157
XII. 2. I pericoli della democrazia totalitaria 161
XII. 3. Conclusioni 166
CONCLUSIONI FINALI 168
BIBLIOGRAFIA 173
- Testi direttamente consultati 173
- Bibliografia degli studi su Rousseau (1941-1998) 181
PREFAZIONE
Chiedo scusa al lettore per lentusiasmo personale che potrà cogliere in alcune pagine del presente lavoro; un entusiasmo che nasce dalla consapevolezza di aver potuto conversare ogni giorno con uno dei «migliori uomini dei secoli passati» (per usare una reminiscenza cartesiana): Jean Jacques Rousseau.
Durante il mio pellegrinaggio del marzo scorso nei luoghi rousseauiani ho potuto sentire la presenza del grande scrittore (infatti ciò che si continua ad amare non può morire): ci sono interi musei a lui dedicati (a Ginevra, a Neuchâtel e a Môtiers), vie che portano il suo nome e perfino monumenti rappresentanti il nostro promeneur solitaire; è questo è il fascino senza tempo di Rousseau che aveva colto nel segno affermando orgogliosamente «il mio nome deve vivere e passare ai posteri». Ma in quei giorni ho potuto anche comprendere appieno perché il «cittadino di Ginevra» soleva definirsi un essere a parte: le Charmettes (nei pressi di Chambéry) e lisola di S. Pierre (nel «bel mezzo» del lago di Bienne) sono luoghi di una bellezza che commuove, quasi da far pensare al visitatore che il tempo si sia fermato: «paradisi terrestri», luoghi fuori dal tempo che corrispondono alla personalità del nostro Jean Jacques e nei quali egli ha potuto assaporare quella grande libertà per la quale si sentiva nato; purtroppo la libertà produce la solitudine e quando ho osservato la piega malinconica del volto di Rousseau nel ritratto eseguito dal pittore La Tour (nel museo di arte e di storia di Ginevra) ho potuto intravedere lemblema della solitudine che strazia unanima dolce e tormentata.
Nonostante tutto io credo che in un mondo di gente terrorizzata dallidea di stare da sola, la solitudine sia indispensabile per scovare quei tesori che sono dentro ad ognuno di noi e che molto spesso ognuno di noi si ostina a cercare fuori di sé. Rousseau, invece, non ha avuto paura dincontrare se stesso; quel se stesso tormentato, enigmatico che forse nemmeno lui è mai riuscito a comprendere.
Come Jean Jacques, anchio detesto quei «piccoli e volgari piaceri con i quali (gli uomini) saziano il loro animo», perché io mi sento vivo solo quando riesco a liberarmi da questa «rete di piccole regole complicate, minuziose ed uniformi» (come dice Tocqueville) imposte dalla società cosiddetta «civile»; non cè dubbio che in un paese come il nostro pervaso da un dilagante conformismo, tendente al livellamento culturale (e non solo!), lo studio fornisce gli strumenti appropriati per difendere la nostra preziosa individualità, vale a dire la nostra bellezza originaria.
Non cè niente di più irritante che il vedere una «canna al vento» (secondo lefficace espressione di Pascal) qual è luomo nellintento di asservire a sé tutta la natura: «nulla accetta come natura lo ha fatto, neppure il suo simile» -osserva Rousseau; eppure sono convinto che la via verso la felicità passi attraverso il riconoscimento della miseria delluomo: «la grandezza delluomo consiste nel riconoscersi miserabile» recitava Pascal; allo stesso modo Rousseau soleva dire che «la prima lezione della saggezza è lumiltà».
In questi lunghi mesi di duro lavoro mi sono domandato spesso: «Che senso ha fare questa tesi? Che senso ha fare delle cose che costano sacrificio?» Oggi i giovani spesso e volentieri di fronte ad unimpresa grandiosa ma che, appunto per questo, costa fatica commentano: «Non ne vale la pena. Chi me lo fa fare? Ci sarà sicuramente una via per ottenere quella stessa cosa in modo più semplice». A tal proposito scrive K. Lorenz (ne Gli otto peccati capitali della nostra civiltà): «la crescente intolleranza al dolore... fa perdere alluomo la capacità di investire lavoro faticoso in imprese che sono remunerative solo a lungo termine. Ne risulta lesigenza impaziente di soddisfare immediatamente ogni nuovo desiderio». Inoltre «lintolleranza al dolore... trasforma i naturali alti e bassi della vita umana in una pianura artificiale, le onde grandiose del mare tempestoso in vibrazioni appena percettibili, le luci e le ombre in un grigiore uniforme. Cioè crea la noia mortale».
Cè una cosa estremamente importante che ho potuto imparare in questi mesi di ininterrotto lavoro: i limiti che ho percepito nel redigere la tesi mi hanno insegnato che «omnis determinatio est negatio», come diceva B. Spinoza: in effetti tutto ciò che mi limita (cioè mi determina) mi fa sentire la mia identità come limitata (ecco la negazione!) e questo mi spinge a superarla, mi stimola nel migliorarmi, mettendomi così ogni volta in discussione. Perciò tutte le limitazioni suscitano un cambiamento perché ciò che si rivela negativo in un primo momento si trasforma in forza propulsiva che ti spinge ad andare avanti, oltrepassando lostacolo. Il modo migliore di concepire la tesi di laurea è intenderla come un gioco, una scommessa, una sfida; ma questo è possibile soltanto se si fanno le cose con gusto e con passione.
Mi sia permesso di esprimere un sentimento di affettuosa riconoscenza verso i miei familiari e il Prof. Ferruccio Focher; un grazie particolare va anche ai Proff. Domenico Bosco, Alessandro Bosi, Maura Gelati, Laura Fruggeri, al Bibliotecario Dott. Pier Luigi Valenti e alla Dott.ssa Bruna Moschini che mi ha introdotto alluso del computer.
NOTA BIBLIOGRAFICA
Poiché non esiste unedizione italiana delle opere complete di Rousseau, per la scelta delle pagine di cui si compone il presente lavoro ci siamo serviti dei seguenti testi (le sottolineature indicano le abbreviazioni adottate nel testo e nelle note):
- Opere, a cura di Paolo Rossi, Sansoni, Firenze, 1972: Confessions, Les rêveries du promeneur solitaire, Dialogues de Rousseau juge de Jean Jacques, Discours sur les sciences et les arts, Emile (ad eccezione di alcuni passi, nel capitolo X del presente lavoro, in cui si è preferita la traduzione italiana di P. Massimi in Emilio o Delleducazione, Mondadori, Roma, 1997);
- Scritti politici, a cura di P. Alatri, Utet, Torino, 1970: Discours sur linégalité parmi les hommes, Contrat social, Economie politique;
- Lettere morali, a cura di R. Vitiello, Editori Riuniti, Roma, 1978: Lettres à Malesherbes, Sophie dHoudetot, Voltaire, C. de Beaumont e Fragment sur la liberté;
- Giulia o la Nuova Eloisa, Bur, Milano, 1994: Nouvelle Héloïse;
- Scritti politici, a cura di M. Garin, 3 voll., Laterza, Bari, 1971: Osservazioni sulla risposta data al suo discorso (vol. I, p. 44).
- Oeuvres complètes, a cura di B. Gagnebin e M. Raymond, 4 voll., Bibliothèque de la Plèiade, Gallimard, Paris, 1959-69;
- Corrispondance complète, a cura di R. A. Leigh, 51 voll., Institut et Musée Voltaire, Genève-Oxford, 1965.
INTRODUZIONE: Rousseau oggi
«Avec Rousseau, cest le monde nouveau qui commence» (Goethe).1
Lattualità di Rousseau
«Lonore che attendo dalla posterità... mi sarà reso giacché mi è dovuto... poiché la posterità è sempre giusta» 2; Rousseau non si sbagliava visto che, o nel bene o nel male, dell homme de la nature et de la vérité (come lui stesso soleva definirsi) si continua a parlare; anzi potremmo dire che ne parlano anche coloro che non lhanno mai sentito nominare. Intendiamo riferirci al fatto che oggi molti sono rousseauiani inconsapevoli: quante volte, infatti, abbiamo sentito discorrere di ritorno alla natura e alla semplicità oppure siamo rimasti sorpresi dalle critiche feroci di alcuni contro le sofisticazioni introdotte dai progressi della scienza e della tecnica? O ancora ci siamo accorti che vi è la tendenza generale ad attribuire le colpe alla società nel suo insieme ogni volta che il singolo individuo commette degli atti illegali?
Quando ci capita di sentire questi pareri ricordiamo che Rousseau ha esercitato e continua ad esercitare uninfluenza profonda sulla coscienza moderna, soprattutto a livello etico-politico; emblematico il caso di B. Constant il quale, pur avendo mosso una rispettosa critica a questo «genio sublime» (è così che lo definisce), non osa offuscare «lo splendore di un talento prodigioso e lautorità di una fama immensa» 3.
A che cosa è dovuto il «successo immenso» 4 di Rousseau? Probabilmente al fatto (indubitabile) che il «cittadino di Ginevra» (è in questo modo che amava firmare i suoi capolavori) è stato, per molti versi, un precursore:
padre della rivoluzione francese e dei diritti delluomo;
il primo dei romantici;
pioniere in materia di educazione;
lhomme de la nature.
Ma non solo: egli è stato il padre dellautobiografia moderna 5, dellanarchismo, del primitivismo, del socialismo, della democrazia, della mistica totalitaria e dellesistenzialismo. Possiamo anche aggiungere che Rousseau ha esplorato, molto prima di Proust, i fenomeni della memoria 6, ha favorito la moda dei giardini allinglese, ha rinnovato con le sue memorabili promenades il sentimento della montagna.
E forse la prima volta nella storia che un uomo quasi esclusivamente preoccupato di soddisfare il proprio egocentrismo (fiducioso, quindi, nel giudizio positivo dei posteri) riesca a cambiare con la forza del suo pensiero il corso della storia 7. Non a caso nelle pagine rousseauiane ritorna spesso la formula «Nello stato attuale delle cose...» come se lautore volesse dire: «Le cose ora vanno così, ma un giorno..» 8. «Alla fine tutto deve rientrare nellordine, e presto o tardi, ha da venire anche la mia volta» 9 -recita Rousseau con disarmante sicurezza.
Nonostante le «dovute» incomprensioni (infatti quale persona geniale può mai venir compresa dai suoi contemporanei?), Rousseau ottiene nel secolo «dei Lumi» un caloroso successo, non soltanto fra il popolo, ma anche nellalta società; H. Taine ce ne spiega le ragioni:
...egli faceva vedere laurora a delle persone che non si erano mai alzate prima di mezzogiorno, il paesaggio a degli occhi che non si erano fermati che su dei salotti e dei palazzi, la campagna, la solitudine, la famiglia, il popolo, i piaceri affettuosi e semplici a dei cittadini stancati dallaridità del mondo, dall eccesso e dalle complicazioni del lusso, dalla commedia monotona che.. essi recitavano tutte le sere 10.
Rousseau: pensatore liberale o totalitario?
Pur muovendo da impulsi disparati e con ragioni e scopi differenti, la maggior parte degli interpreti o seguaci di Rousseau hanno individuato nellinteresse per la politica la nota saliente della sua personalità: è lui stesso ad ammettere nelle sue Confessions che «tutto dipende radicalmente dalla politica» 11, in quanto unorganizzazione politica equa risolve il problema della teodicea, ridando così moralità alle azioni umane.
La vicenda storico-critica del «cittadino di Ginevra» nei duecentoventi anni di vita culturale europea seguiti alla sua scomparsa potrebbe essere così riassunta e schematizzata:
- da una parte un Rousseau interpretato come un pensatore individualista che teorizza il liberalismo etico, intendendo la libertà come un bene inalienabile, essendo il sigillo di nobiltà delluomo;
- dallaltra un Rousseau interpretato come il precursore di un socialismo di Stato che sacrifica lindividuo alla collettività, ponendo in questo modo le basi alle democrazie totalitarie del nostro secolo.
Nel suo J. J. Rousseau en France après la Révolution 12 , Roussel ha sottolineato che le generazioni del Settecento e dellOttocento distinsero tra il Rousseau rivoluzionario del Contrat social e il Rousseau prudente conservatore del Projet de constitution pour la Corse e delle Considérations sur le gouvernement de Pologne 13, dimenticando, come hanno fatto notare in tempi più recenti E. Garin 14 e P. Burgelin 15, che il suo modello politico è sostanzialmente astorico; non a caso già nel 1765 Bauclair (nellAnti-Contratto sociale) aveva accusato il pensatore ginevrino di eccessiva astrattezza, tanto è vero che Bachaumont (nelle sue Mémoires secrets) avvertiva: «E importante che una simile opera non fermenti nelle teste facili ad esaltarsi: ne risulterebbero gravi disordini»; profezia questa che si è avverata nel periodo del Terrore (1793-94) quando i giacobini, in virtù di una forzata interpretazione del Contrat rousseauiano, erano animati dallintento di creare una società nuova, abolendo il sapere umanistico e sostituendolo con un sapere di tipo scientifico che culminerà nella fondazione dell'Ecole Polythechnique, da cui usciranno i sansimoniani e i comtiani, ardenti sostenitori del Rousseau profeta del socialismo.
«Se tornasse tra i vivi (Rousseau) arrossirebbe della bestialità ispirata agli uomini coi suoi filosofici paradossi» scrive nel 1798 Muzzarelli, ricordando che il «cittadino di Ginevra» nelle Lettres écrites de la montagne aveva deplorato «quel modo odioso (tipico di non pochi letterati di fine XVIII secolo) di fare a pezzi unopera, sfigurandone le varie parti, giudicandola sui brandelli tolti di qua e di là e distorcendone ovunque il vero senso» 16.
Mentre nella Germania di fine Settecento lentusiasmo per Rousseau passa da Kant (che lo ritiene il «Newton del mondo morale») ad Hegel (che teorizzerà lo «Stato etico» in cui il cittadino realizza veramente se stesso adeguandosi al volere dello Stato) ed a Goethe, in Francia i detrattori di Jean Jacques sono numerosi a cominciare da J. Martin il quale nel 1803 gli attribuisce la responsabilità, non solo della rivoluzione, ma perfino del colpo di Stato di Napoleone del 18 brumaio 17 ; allo stesso modo B. Constant, insieme al gruppo di Coppet, più che Rousseau (il cui errore è consistito nel non aver posto dei limiti alla sovranità popolare in quanto «un popolo che può tutto -scrive Constant ne La sovranità del popolo e i suoi limiti- è pericoloso non meno di un tiranno») critica negativamente lutilizzazione napoleonica del suo messaggio, così come i conservatori durante la rivoluzione avevano combattuto in Rousseau il progetto politico dei loro avversari.
Sostenendo, al pari di Constant, che Rousseau ha completamente dimenticato lindividuo, annegando la sua libertà nelle acque incerte della volontà generale, gli idéologues francesi sono allorigine di quellinterpretazione totalitaria delle idee politiche rousseauiane che tanto seguito troverà a partire dalla seconda metà dellOttocento con Flaubert, che ritiene il ginevrino «il generatore della democrazia invidiosa e tirannica», e Taine, il quale sostiene che lodio di Rousseau per lordine costituito è dovuto al suo «rancore di plebeo povero» 18; anche G. De Ruggiero nella sua Storia del liberalismo europeo del 1925 manifesta la stessa convinzione dello storico francese, affermando che «se Rousseau non ha il dispotismo nel cuore lha nel cervello» 19. Inoltre nel 1945 (in Storia della filosofia occidentale) B. Russell ritiene Rousseau il predecessore di Hitler e G. H. Sabine lo considera il vero fondatore del nazionalismo romantico 20.
Fondamentale, da questo punto di vista, lopera di J. L. Talmon Le origini della democrazia totalitaria 21 in cui si ritiene che lo Stato totalitario sia nato dalla congiunzione dei principii di sovranità popolare e di volontà generale; a questa lettura si richiamano Crocker 22 e Cotta 23.
Recentemente leconomista Von Hayek ha precisato che quello di Rousseau è il liberalismo continentale di tipo costruttivistico che esige unintenzionale ricostruzione dellintera società secondo i principii della ragione» 24; questo tipo di razionalismo, che trova le sue origini in Cartesio, è tendenzialmente anti-storicistico, egalitaristico e negatore della libertà individuale: infatti, come ha bene sottolineato V. Mathieu, nella teoria politica rousseauiana «solo luniversale... ha diritto di proporsi come centro di iniziativa» 25, in quanto secondo la concezione agostiniana ereditata dai protestanti luomo non potest non peccare e perciò la volontà personale dellindividuo è sempre sospetta.
Paolo Rossi 26 e D. Felice 27 hanno fatto notare che in Italia fino agli anni Settanta si è interpretato Rousseau quasi esclusivamente come un precursore del marxismo: basti pensare ai saggi di G. Della Volpe 28 e L. Colletti 29 nei quali si pone in evidenza il rapporto di continuità tra Rousseau, Marx e Lenin.
Naturalmente esistono anche numerosi critici che hanno interpretato il pensiero politico rousseauiano in senso liberal-democratico: già agli inizi dellOttocento B. Constant, pur rimproverando a Rousseau di non aver saputo definire con precisione il concetto di volontà generale (dello stesso parere R. Derathé 30) «fornendo così dei pretesti a più di un tipo di tirannia» 31, riconosce in lui il primo pensatore che ha reso popolare il sentimento dei diritti naturali delluomo, determinando così lavvento della Dichiarazione dei diritti delluomo e del cittadino del 1789.
Nel suo Rousseau et sa fortune litteraire 32 R. Trousson ci ricorda che nel 1847 lo storico Michelet (in Storia della rivoluzione francese) ha intravisto nel pensatore ginevrino colui che ha destato gli uomini dal loro torpore, additando «lavvento della legge, la resurrezione del diritto e la reazione della giustizia».
In tempi più recenti Cassirer 33, Derathé 34, E. Garin e Viroli 35 hanno dato un convincente rilievo alla circolarità di un pensiero rousseauiano che assorbe ogni contraddizione entro il supremo postulato della legge, fondamento di uguaglianza e quindi garanzia di libertà; tutti questi interpreti, in particolare Rizzi 36, pongono laccento sul fatto che Rousseau è stato il primo pensatore politico della nostra civiltà (occidentale) a concepire la libertà in senso etico (libertà come fine).
Rousseau uomo, anima romantica
Per più di due secoli i biografi più autorevoli hanno cercato di scoprire la personalità enigmatica di Rousseau che non a torto Taine riteneva essere lesito di «una struttura mentale straordinaria e contraddittoria... adatta alla poesia, inadatta alla vita» 37.
Chi è dunque Jean Jacques Rousseau? E il «genio sublime» di cui parla B. Constant oppure è il «mostro» dipinto da Diderot o ancora è «la vergogna del genere umano», come ha osato definirlo Hume?
Il culto di Rousseau uomo in direzione del puro intimismo e della sensibilità inizia nellOttocento: il romanticismo accoglie soprattutto Rousseau come simbolo dellinfelicità intellettuale e del genio perseguitato, paragonandolo a Byron come eroe della rottura con la società.
Dopo lesaltazione della sensibilità romantica rousseauiana in Chateaubriand, Baudelaire, Whitman,Thoreau e Amiel, linteresse per il Rousseau uomo è tornato alla ribalta intorno alla metà del nostro secolo con le importanti biografie di Guéhenno, Crocker, Trousson e Cranston.
Nella sua opera in tre volumi Guéhenno 38 distingue tre immagini diverse dello scrittore ginevrino: il Jean Jacques delle Confessions e delle Rêveries, «colui che egli sognava di essere stato»; il Jean Jacques delle opere pedagogico-politiche, ossìa «colui che egli avrebbe voluto essere»; infine il Jean Jacques dei documenti e delle corrispondenze, ovvero «ciò che era veramente stato» causa le circostanze sfortunate di cui si era sentito vittima.
La biografia rousseauiana di Crocker 39 è di indubbio interesse, pur se viziata da pregiudizi ostili fra cui quello di un Rousseau masochista e paranoico.
Più attendibili gli ultimi solidi contributi di Trousson 40, che mette in luce le numerose contraddizioni di Rousseau uomo (in particolare il difficile e spesso impossibile accordo tra la sua vita, i fatti e le sue idee) e di Cranston 41, il quale fornisce un esame critico dei numerosi autoritratti che compongono le opere autobiografiche del ginevrino.
Fondamentale il contributo di J. Starobinski che nella sua opera prima La trasparenza e lostacolo 42 pone in primo piano una coscienza rousseauiana che rifiuta il conflitto tra lessere e lapparire; ed è sempre sulla natura di questo conflitto che ha richiamato lattenzione Groethuysen 43, il quale sostiene che nellindagine antropologica del ginevrino lhomme de la nature e lhomme de lhomme, incapaci di attuarsi a pieno, coesisterebbero nella storia in unantinomia drammatica mai veramente risolta. A tal proposito Casini 44 sottolinea lambiguità della natura rousseauiana in gran parte dovuta allevidente contrasto tra leducazione calvinista ricevuta nellinfanzia e lesempio poco edificante del padre, homme de plaisir ; Sozzi 45, infine, sostiene che Rousseau, non essendo riuscito a risolvere lantinomia tra ciò che avrebbe voluto essere (lhomme de la vérité) e ciò che realmente è stato (lhomme de plaisir) si è rifugiato in un mondo fantastico e irreale, ponendo se stesso al di fuori del proprio tempo (ecco spiegato il motivo per cui egli si è sempre definito, rispetto ai suoi contemporanei, un essere a parte).
Metodologia della nostra ricerca
Seguendo il suggerimento di due fra i più autorevoli biografi di Rousseau, quali sono considerati Starobinski e Grothuysen, abbiamo ritenuto opportuno muovere dagli scritti autobiografici rousseauiani per poi risalire alle opere pedagogiche e politiche, poiché al centro dellopera si colloca sempre Rousseau uomo con la sua sofferta esistenza. Questa lettura capovolge lordine cronologico ritrovando quel filo conduttore unitario sempre rivendicato dal «cittadino di Ginevra» come essenziale per linterpretazione del suo pensiero.
A tal proposito Cassirer scrive che «in un pensatore di questo genere il contenuto e il senso della sua opera non possono essere staccati dalla vita personale: essi si possono cogliere unicamente fusi luno nellaltro, in un ripetuto rispecchiarsi e in un vicendevole illuminarsi delluno per mezzo dellaltro».46 In effetti avremo modo di constatare che tutta lopera di Rousseau non è, in realtà, che il suo autoritratto, in quanto nei suoi scritti vi sono frequenti allusioni alle vicende personali che suscitano nel lettore la curiosità di conoscere luomo.
CRONOLOGIA DETTAGLIATA DELLA VITA E DELLE OPERE
Linfanzia e ladolescenza di Jean Jacques in Ginevra (1712-1728)
1712 Dopo la nascita di François (il fratello di Jean Jacques che si diede ancora in tenera età al vagabondaggio), avvenuta nel 1705, il padre abbandona la futura madre dello scrittore, facendo ritorno a Ginevra soltanto sette anni più tardi (1712): Jean Jacques è «il triste frutto di questo ritorno».
«Nacqui a Ginevra...» il 28 giugno del 1712 in GrandRue 40, dal «cittadino» Isaac Rousseau e dalla «cittadina» Suzanne Bernard; il 7 luglio muore la madre di febbre continua e Jean Jacques si sentirà sempre la causa di questa morte: «Costai la vita a mia madre e la mia nascita fu la prima delle mie sventure».
Sarà la zia Suzanne ad allevare il futuro scrittore e a far scaturire nel suo animo la passione per la musica.
1718 Isaac Rousseau e suo figlio Jean Jacques si trasferiscono nella città bassa, nel faubourg Saint-Gervais, in Rue Coutance; qui leggono insieme i romanzi lasciati dalla madre (di Plutarco, Bossuet, Ovidio, Le Soeur, La Bruyère, Fontanelle, Molière); sono state queste letture a formare quello «spirito libero e repubblicano... insofferente al giogo e alla servitù», caratteristica peculiare dello scrittore ginevrino.
1722 A seguito di una rissa il padre è costretto a fuggire da Ginevra cosicché il piccolo Jean Jacques viene affidato allo zio Bernard, il quale lo spedisce a Bossey (a pochi chilometri da Ginevra) in pensione presso il ministro Lambercier «per apprendere, col latino, tutto quel raffinato guazzabuglio che chiamano educazione».
Le sculacciate subite dalla signorina Lambercier (sorella del suddetto ministro), per le quali Rousseau confessa di aver provato «insieme al dolore e alla vergogna... un misto di sensualità», determinano il suo desiderio erotico più vivo consistente nell «essere devoto ad unamante imperiosa, obbedire ai suoi ordini, doverle chiedere perdono per ogni cosa».
Causa una punizione ingiusta (viene accusato ingiustamente daver rotto un pettine) Jean Jacques inizia «a nascondersi, a ribellarsi e a mentire».
1724-25 Torna a Ginevra ed alloggia presso lo zio Bernard. Dopo unesperienza fallimentare come grattacarte, Jean Jacques viene mandato come apprendista da un incisore: «la tirannia del mio maestro finì... col darmi dei vizi che avrei odiato, come la menzogna, la fannullaggine, il furto».
1726 Il padre Isaac si risposa.
1728 Tornando da una passeggiata Jean Jacques trova le porte della città chiuse cosicché decide di abbandonarla per sempre: «A venti passi dal posto avanzato, vidi levare il primo ponte: fremetti vedendo nellaria questi corni terribili, sinistro e fatale auspicio del destino inevitabile che in quel momento cominciava per me».
I vagabondaggi, Madame de Warens, la passione per lo studio e per la musica (1728-1742)
1728 «Arrivai a Confignon, terra di Savoia...», dove il parroco, celebre per le conversioni operate, lo raccomanda a Madame de Warens, allora ventinovenne, di nobile famiglia, divorziata dal 1727 e che «i benefici del re (di Sardegna) mettono in condizione di liberare altre anime dallerrore dal quale lei stessa è uscita».
Arrivato ad Annecy, Rousseau intravede immediatamente in Madame de Warens quella figura materna che gli era stata negata dal destino pochi giorni dopo la sua nascita; questultima lo indirizza allospizio dei Catecumeni dello Spirito Santo in Torino.
Dopo un lungo viaggio a piedi (che riempie di gioia il futuro scrittore, il quale ha cominciato da allora a percepire la sua mania di nomadismo), Jean Jacques raggiunge lospizio di Torino dove viene costretto ad abiurare il calvinismo e a convertirsi alla religione cattolica; ma dopo pochi mesi «mi raccomandarono di essere un buon cristiano..., chiusero la porta alle mie spalle e rimasi solo».
Si diverte a «girovagare» per le vie della capitale assistendo tutte le mattine alla messa del re (di Sardegna), il quale «aveva allora la migliore orchestra dEuropa».
Per tre mesi svolge il mestiere di domestico in casa della contessa di Vercelli; qui Rousseau dice «una menzogna orribile... il cui ricordo mi ha turbato per tutta la vita»: avendo rubato un «piccolo nastro rosa e argento già vecchio» il giovane, dopo essere stato scoperto e interrogato, accusa la cuoca di averglielo regalato.
Qui a Torino Jean Jacques incontra labate Gaime, il quale fu, insieme ad un altro prete, Gâtier, loriginale della figura del vicario savoiardo presente nellEmile.
1729 Quando ormai era diventato una specie di «favorito» (avrebbe infatti avuto la possibilità dintraprendere la carriera di ambasciatore) Rousseau si fa licenziare per abbandonarsi, insieme ad un «ragazzo molto divertente»(un «libertino»), alla «felicità girovaga» che lo conduce di ritorno ad Annecy, dove si stabilisce presso Madame de Warens.
Trascorre due mesi al seminario dei Lazzaristi; impara musica nella cattedrale istruito da Le Maître; rimane affascinato da Venture de Villeneuve, «amabile libertino».
1730 Per distoglierlo da questa pericolosa amicizia, colei che Rousseau soleva chiamare maman (ossìa Madame de Warens) gli ordina di accompagnare Le Maître fino a Lione, dove Jean Jacques lo abbandonerà in piena crisi depilessia; di ritorno ad Annecy non trova più la sua maman, partita per Parigi.
Rousseau accompagna la cameriera della Warens a Friburgo; in seguito raggiunge Losanna dove vive improvvisandosi maestro di musica parigino sotto falso nome; si trasferisce a Neuchâtel dove impartisce lezioni di musica.
1731 A Boudry il giovane conosce un falso archimandrita di cui diviene linterprete; a Soleure lambasciatore di Francia invia Jean Jacques a Parigi al servizio di un colonnello svizzero; Rousseau rimane profondamente deluso dalla capitale: «non vidi che piccole strade sporche e puzzolenti, brutte case nere, sporcizia e povertà». Insoddisfatto del trattamento ricevuto dal colonnello svizzero («un volgare vecchio avaro») e venuto a sapere che la sua maman aveva lasciato Parigi, riprende la strada della Savoia; durante la sosta a Lione riceve due proposte omosessuali che lo turbano molto; infine raggiunge Madame de Warens, la quale gli trova un lavoro al catasto di Chambéry cosicché comincia «a guadagnar(si) il pane con onore».
1732 Claudio Anet, cameriere della Warens, diviene per Jean Jacques una «specie di precettore», iniziandolo allo studio della botanica.
In capo a otto mesi Rousseau lascia il catasto per iniziare ad impartire lezioni di musica , pur sapendo che «chi ben canta e ben danza fa un mestier che poco avanza»; una cosa insopportabile per il novello maestro di musica è limposizione dellorario: «mi divertivo alle mie lezioni quando cero, ma non mi piaceva essere obbligato ad andarvi».
1733 Diventa lamante di Madame de Warens (lei ha 34 anni, lui 21): «mi sentivo come se avessi commesso un incesto» -commenta lui stesso.
Si forma il ménage a tre fra Jean Jacques, maman e Anet, il quale «mi mostrava quanto lamava, affinché io lo amassi ugualmente».
1734 La prematura scomparsa di Anet (muore di pleurite) provoca la rovina degli affari della Warens in quanto Rousseau si rileva incapace di sostituirlo.
1735 Primo soggiorno nella residenza estiva delle Charmettes, «un luogo... alla porta di Chambéry, ma ritirato e solitario come se si fosse a cento leghe», insieme alla sua maman.
1737 In seguito ad una lunga malattia («deperivo a vista docchio») e ad un incidente di laboratorio con dellinchiostro che gli saltò sul viso («restai cieco per più di sei settimane») Rousseau fa testamento.
Essendo diventato maggiorenne secondo le leggi di Ginevra, Jean Jacques va in incognito nella sua città nativa per ricevere leredità della madre, non incontrando nessuna difficoltà per il cambiamento di religione.
Convinto di avere un polipo al cuore, Rousseau parte alla volta di Montpellier per farsi visitare da un medico; durante il tragitto (a Moirans) fa la conoscenza Madame de Larnage (di 45 anni) con la quale ha una breve avventura (il ginevrino si presenta sotto falso nome).
1738 Deluso dai medici di Montpellier, Rousseau rientra a Chambéry ma, avendo trovato il suo posto (nel cuore di maman) occupato da «un insipidissimo biondino..., vuoto, stupido, ignorante, insolente, per il resto il miglior ragazzo del mondo» (si tratta di Wintzenried, factotum della Warens dallestate precedente), decide di andarsene rifiutando anche la proposta di un nuovo ménage a tre fattagli da maman; in seguito a questepisodio il pensatore ginevrino scrive un poema intitolato Le poème de Madame la baronne de Warens.
1939 Solo alle Charmettes, legge e sistruisce da autodidatta: «volevo per ogni evenienza farmi delle idee su ogni cosa», ossìa un vero e proprio «magazzino di idee».
1740 Diventa precettore a Lione (per circa un anno) dei figli del magistrato J. Bonnot de Mably (fratello del celebre abate filosofo e di Condillac); compone il Projet pour leducation de M. de Sainte-Marie.
1741 Terminato lincarico, a dir poco fallimentare, come precettore («quando i miei allievi... mostravano cattiveria li avrei uccisi»), Jean Jacques ritorna a Chambéry.
1742 Nonostante la malattia, Rousseau lavora a un nuovo sistema di notazione musicale (alle Charmettes).
Data lEpitre à Parisot.
Si separa definitivamente da Madame de Warens e parte per Parigi dove arriva ai primi di agosto «con la mia commedia Narcisse e il mio progetto di musica per tutta risorsa» che leggerà allAccademia delle Scienze.
La società parigina, Thérèse, labbandono dei figli (1743-1748)
1743 Il suo Projet concernant de nouveaux signes pour la musique viene pubblicato col titolo Dissertation sur la musique moderne.
Nella casa di Madame Dupin, «una delle più belle donne di Parigi», Rousseau conosce il fior fiore dellalta intellettualità dellepoca, vale a dire Voltaire, Diderot, Buffon, Fontenelle, labate di Saint-Pierre, Sallier, Fourmont e Bernis.
Lesperienza di precettore del figlio di Madame Dupin si rivela per Jean Jacques un vero «supplizio».
Comincia lopera musicale Les muses galantes.
Accetta limpiego del conte de Montaigu, ambasciatore di Francia a Venezia; arrivato nella città italiana, Rousseau viene contrastato dal suo signore e dai «tanti banditi italiani di cui si riempiva la casa», cosicché decide, dopo aver svolto nel migliore dei modi il proprio compito per circa un anno e mezzo, di lasciare lambasciata.
1744 Torna a Parigi (passando per il Sempione, il Vallese e Ginevra) dove frequenta gli ambienti letterari della capitale.
1745 Conosce, nellalbergo Saint-Quentin, una cucitrice poco più che ventenne, Marie-Thérèse Levasseur, di «buona famiglia orléanese»; sebbene «limitata, stupida e facile da ingannare», questa donna possedeva uno straordinario «buon senso».
Fa eseguire nella lussuosa villa del «Fermier général» La Poplinière lopera Les muses galantes alla presenza di Rameau, ottenendo però uno scarso successo.
Inizia la sua relazione con Voltaire: collabora alladattamento del balletto Les fêtes de Ramire (testo di Voltaire e musica di Rameau) con risultati mediocri.
Conosce Condillac e lo presenta a Voltaire.
1746 Fa la conoscenza di Madame dEpinay.
Soggiorna a Chenonceau in casa Dupin; vi compone Lallée de Sylvie.
Diventa segretario di Madame Dupin e di Francueil.
1746 Nasce il primo figlio di Rousseau che viene abbandonato agli «Enfants Trouvés» «senza il minimo scrupolo».
1747 Muore Isaac Rousseau; Jean Jacques entra in possesso di quel che restava dei beni di sua madre.
Fa eseguire a Chenonceau la commedia Lengagement téméraire.
1748 Nasce il suo secondo figlio che subisce la stessa sorte del precedente.
Progetta con Diderot di dar vita ad un periodico satirico, «Le persifleur», di cui redige il primo numero, poi non pubblicato.
L «illuminazione» di Vincennes, la riforma personale e la prima fase della sua carriera letteraria: la coscienza offesa (1749-1755)
1749 Conosce DAlembert che lo incarica di scrivere gli articoli sulla musica per lEncyclopédie; inoltre fa la conoscenza di Grimm.
Recandosi a far visita a Diderot, rinchiuso nel carcere di Vincennes (causa la pubblicazione della Lettre sur les aveugles), apprende dal «Mercure de France» che lAccademia di Digione ha bandito un concorso sul tema: «Se la rinascita delle scienze e delle arti ha contribuito a migliorare i costumi»; avviene allora nel suo animo la cosiddetta «illuminazione» di Vincennes: «Al momento di quella lettura vidi un altro universo e divenni un altro uomo».
Sincontra per la prima volta (rimasta lunica) con Voltaire.
Jean Jacques e Thérèse vanno a vivere insieme.
1750 LAccademia di Digione premia il Discours sur les sciences et les arts che verrà pubblicato alla fine dellanno.
Lascia il posto di segretario presso Francueil e vive facendo il copista di musica «un tant à la page».
Ha inizio in questi anni la sua riforma personale (la cosiddetta grande révolution) che continuerà fino al 1762 («eseguii il mio disegno lentamente e a diverse riprese»).
Nasce il terzo figlio «messo ai Trovatelli, come i primi due; e fu lo stesso per i due che seguirono; infatti ne ho avuti cinque in tutto» -confessa lo scrittore ginevrino.
«Non appena apparve il mio Discours i difensori delle lettere si scagliarono su di me»; ma Rousseau risponde colpo su colpo e non esita a rispondere nemmeno al re di Polonia per «insegnare al pubblico come un privato poteva difendere la causa della verità anche contro un sovrano».
Il Discours sur les avantages des sciences et des arts, pronunciato da Bordes, è pubblicato sul «Mercure de France».
1752 Jean Jacques pubblica la sua Reponse à M. Bordes.
Compone Le devin du village che verrà rappresentato il 18 ottobre 1752 a Fontainebleu alla presenza del re di Francia Luigi XV, riscuotendo un successo strepitoso. Lindomani Rousseau lascia Fontainebleu senza presentarsi alludienza reale e perciò rifiutando la pensione che molto probabilmente il re sarebbe stato propenso ad offrirgli («ricevendo questa pensione non avrei più potuto che adulare, o tacere...»).
Viene rappresentata al Théâtre Français, con scarso successo, la sua commedia Narcisse ou Lamant de lui-même, con un importante Préface di carattere teorico.
1753 Prima rappresentazione del Devin allOpéra.
Nella foresta di Saint-Germain medita sul nuovo tema proposto per un concorso dallAccademia di Digione: Quelle est lorigine de linégalité parmi les hommes, et si elle est autorisée par la loi naturelle.
Durante il 1753 «tutta Parigi si divise in due partiti»:langolo del re, sostenitore della musica francese e langolo della regina, sostenitore della musica italiana; «langolo del re... fu annientato dalla Lettre sur la musique française», unapologia della musica italiana firmata J.J. Rousseau «che sollevò contro di (lui) tutta la Nazione»; a conseguenza di queste polemiche gli viene rifiutato lingresso gratuito allOpéra.
1754 Diverbio col barone DHolbach, il più deciso materialista tra i philosophes che Rousseau considererà il capo spirituale della «cricca» a lui ostile.
Jean Jacques e Thérèse si mettono in viaggio per Ginevra in compagnia di Gauffecourt, il quale «lavorava segretamente... a sedurre e a corrompere» Thérèse «con i mezzi più bassi».
Si ferma a Chambéry per fare visita a Madame de Warens: «La rividi... In che stato, mio Dio!... Dovevo abbandonare tutto per seguirla... Di tutti i rimorsi della mia vita, questo è il più vivo».
Qui in Savoia scrive la dedica alla Repubblica di Ginevra del Discours sur lorigine de linégalité parmi les hommes.
Arrivato a Ginevra, Rousseau abiura il cattolicesimo, essendo così riammesso nella Chiesa calvinista e reintegrato nei suoi diritti di «cittadino di Ginevra».
Elabora il piano, già abbozzato, delle Institutions politiques.
Durante il giro del Lemano in barca (insieme agli amici De Luc) ammira i luoghi dei quali farà la descrizione nella Nouvelle Héloïse (Clarens e dintorni).
Di ritorno da Parigi, gli viene affidato il compito di scegliere dei brani estratti dai manoscritti dellabate di Saint-Pierre, morto nel 1743.
Scrive larticolo Economie politique sullEncyclopédie.
1755 Il libraio Rey («da me conosciuto a Ginevra») dà alle stampe il Discours sur linégalité parmi les hommes.
Voltaire prende in affitto, alle porte di Ginevra, una casa che battezza «Les Délices»; «da allora considerai Ginevra perduta» è il commento di Rousseau.
Voltaire scrive a Jean Jacques a proposito del secondo Discours: «Ho ricevuto, signore, il vostro nuovo libro contro il genere umano e ve ne ringrazio».
Si reca a far visita a Madame dEpinay alla Chevrette, ai confini della foresta di Montmorency.
Il volontario ritiro in solitudine, la rottura con i «philosophes» e la seconda fase della sua carriera letteraria:lillusione (1756-1762)
1756 Il 9 aprile abbandona la città di Parigi («per non abitarvi più») per trasferirsi, insieme a Thérèse e alla signora Levasseur, allErmitage, una casetta che Madame dEpinay aveva fatto ristrutturare apposta per Rousseau.
«Non ho cominciato a vivere che il 9 aprile 1756»; il «cittadino di Ginevra» fantastica e medita nei boschi di Montmorency: «Ecco laustero Jean Jacques ridivenuto allimprovviso lo stravagante pastore».
Risponde a Voltaire (Lettre sur la Providence) in seguito alla lettura del Poème sur le désastre de Lisbonne.
Compone lettere sparse immaginando i personaggi della Nouvelle Héloïse.
1757 Nasce il ménage a tre che vede protagonisti Rousseau, Sophie dHoudetot e Saint-Lambert (lamante di questultima), da intendersi secondo la spiegazione dello scrittore ginevrino: «Eravamo ebbri damore luno per laltro, lei per il suo amante, io per lei; i nostri sospiri, le nostre lacrime deliziose si confondevano... I nostri sentimenti erano così simili che non era possibile che in qualcosa non si unissero...» Ed aggiunge: «vidi la mia Giulia (ossìa la protagonista della Nouvelle Héloïse) nella signora dHoudetot, ma rivestita di tutte le perfezioni di cui avevo ornato lidolo fittizio del mio cuore».
Peggiorano le relazioni con Grimm e Diderot, il quale gli manda a dire che «solo i cattivi sono soli».
Si riappacifica con Diderot, Grimm e Madame dEpinay (accusata daver voluto, servendosi di lui, separare Madame dHoudetot da Saint-Lambert).
Pubblicazione del tomo VII dellEncyclopédie che contiene larticolo Genève di DAlembert.
Jean Jacques rifiuta di accompagnare Madame dEpinay a Ginevra, ben sapendo il motivo segreto di quel viaggio (era rimasta incinta probabilmente di Grimm, il suo amante) cosicché questultima lo invita a lasciare lErmitage; in pochi giorni lo scrittore ginevrino si trasferisce, insieme a Thérèse, nel giardino di Mont-Louis (presso il villaggio di Montmorency), rimandando la madre di Thérèse a Parigi.
1758 «Solo, estraneo, isolato, senza appoggio, senza famiglia... trascorsi tutto il 1758 in uno stato di languore che mi fece credere vicino alla fine della mia vita».
Scrive la Lettre à dAlembert sur les spectacles in risposta al suo articolo Genève; in una nota della Préface è sancita la rottura definitiva con Diderot («Avevo, prima, un Aristarco severo e giudizioso, adesso non lho più, né lo voglio più, ma lo rimpiangerò sempre»), accusato di aver diffuso in tutta Parigi la notizia della passione di Rousseau per Sophie dHoudetot (da alcuni mesi Jean Jacques stava scrivendo le Lettres morales a lei dedicate).
Accetta linvito di Madame dEpinay alla Chevrette dove cena con i Dupin, Francueil, i dHoudetot e Saint-Lambert («il mio arrivo fece impressione... Non ho mai ricevuto unaccoglienza più affettuosa...»).
1759 Esce Candide: il «cittadino di Ginevra» lo interpreta come risposta indiretta di Voltaire alla sua Lettre sur la Providence.
Scrive la Lettre au pasteur J. Vernes.
Da Mont-Louis lo scrittore si trasferisce al castello di Montmorency, ospite del maresciallo di Luxembourg, il quale «era e meritava di essere lamico intimo del re». «E in questa profonda e deliziosa solitudine, in mezzo ai boschi e alle acque, ai concerti degli uccelli di ogni specie, al profumo dei fiori darancio composi, in unestasi continua, il quinto libro dellEmile... Ero là nel paradiso terrestre, vi vivevo con infinita innocenza e vi godevo la stessa felicità».
Torna al suo vecchio alloggio di Mont-Louis (ora restaurato) dove riceve numerose visite.
Rifiuta un posto di redattore al Journal des Savants per «il fastidio insopportabile di non poter lavorare quando volevo e di essere comandato dal tempo».
1760 Prosegue la composizione dellEmile e del Contrat social.
Riceve la visita del principe de Conti.
1761 La Nouvelle Héloïse è messa in vendita a Parigi e riscuote un caloroso successo, consacrando Rousseau scrittore presso il gran pubblico.
Credendosi in fin di vita, affida Thérèse a Madame de Luxembourg; costei fa ricercare agli «Enfants Trouvés», daltronde senza successo, il maggiore dei figli del pensatore ginevrino.
Sottopone a Malesherbers («primo presidente della Corte degli aiuti») il suo Essai sur lorigine des langues.
E convinto che il manoscritto dellEmile sia nelle mani dei gesuiti che vorrebbero mutilarlo; queste idee ossessive lo sconvolgono fino al delirio: «Mi sentivo in fin di vita... Mi era spaventoso il pensiero della mia memoria disonorata, dopo la mia morte, nel mio libro migliore e più degno».
LEmile è stampato ad Amsterdam da Néaulme.
1762 Visto che il signor di Malesherbes sembrava voler credere alle futili chiacchiere dellambiente holbacchiano «gli scrissi quattro lettere... nelle quali... gli descrissi minutamente i miei gusti, le mie tendenze, il mio carattere e tutto quello che sagitava nel mio cuore».
Pubblicazione del Contrat social e dellEmile.
Il «complotto universale», la vita errante e la terza fase della sua carriera letteraria: rassegnazione / felicità (1762-1778)
1762 Il 9 giugno il Parlamento di Parigi condanna lEmile al rogo; viene emesso un mandato darresto contro il suo autore che quello stesso pomeriggio fugge dalla Francia.
Dieci giorni dopo (19 giugno) a Ginevra il Petit-Conseil condanna il Contrat Social e lEmile ad essere bruciati come «opere temerarie, scandalose, empie, tendenti a distruggere la religione cristiana e tutti i governi» e ordina che lautore, nel caso si rechi nel territorio della Repubblica, sia arrestato e processato. «Questi due decreti furono il segnale del grido di maledizione che in tutta Europa si levò contro di me con un furore senza esempi» -commenta Rousseau.
Dopo due settimane dal suo arrivo (14 giugno), Jean Jacques è costretto a fuggire anche da Yverdun (in seguito a un decreto del governo di Berna) per rifugiarsi a Môtiers-Travers (territorio facente parte del principato prussiano di Neuchâtel), dove resterà per circa tre anni.
Il 29 luglio muore Madame de Warens.
Viene reso pubblico leditto di condanna dellEmile di C. de Beaumont, arcivescovo di Parigi.
Jean Jacques si decide ad adottare labito armeno.
1763 Pubblicazione della Lettre à C. de Beaumont.
Rousseau offre a Duchesne il suo Dictionnaire de musique.
Con lettera al primo sindaco rinuncia per sempre al diritto di cittadinanza ginevrina; pochi mesi dopo riceve la cittadinanza di Neuchâtel.
Pubblicazione delle Lettres écrites de la campagne del procuratore generale Tronchin.
1764 Morte del suo grande amico il maresciallo di Luxembourg: «una volta (gli dissi) abbracciandolo: Ah! Signor maresciallo, odiavo i grandi prima di conoscervi, e li odio ancora di più da quando mi avete fatto sentire come sarebbe facile a loro farsi adorare...».
Propone a Rey di pubblicare la sua risposta a Tronchin col titolo Lettres écrites de la montagne: in questo scritto Rousseau si fa portavoce della piccola-media borghesia ginevrina.
In seguito alla pubblicazione del libello anonimo Le sentiment des citoyens, che rivela lodioso abbandono dei figli, Jean Jacques si decide a scrivere le sue Confessions.
1765 Le Lettres écrites de la montagne vengono messe al rogo allAia e a Parigi.
In seguito ai contrasti con De Montmollin (pastore di Môtiers) e alla «lapidazione di Môtiers» (i contadini del paese avevano fracassato a colpi di pietre le finestre e le porte della sua casa), Rousseau si trasferisce (il 12 settembre) allisola di Saint-Pierre «nel bel mezzo» del lago di Bienne; egli avrebbe voluto esservi «confinato... tanto da non aver più alcun rapporto con i mortali», mentre invece verrà espulso quasi immediatamente dal Senato di Berna.
Redige il suo Projet de constitution pour la Corse.
Hume scrive al pensatore ginevrino offrendogli asilo in Inghilterra.
Dopo aver trascorso qualche giorno a Bienne, arriva a Strasburgo (passando per Basilea) dove viene rappresentato Le devin in suo onore e lo si festeggia.
Giunge acclamato a Parigi dove alloggia presso il principe de Conti.
1766 Parte con Hume da Parigi e il 13 gennaio arriva a Londra, dove in febbraio lo raggiunge Thérèse.
Circa due mesi dopo parte per Wootton dove trascorrerà un anno ospite di Hume, con il quale avrà frequenti contrasti per corrispondenza: lExposé succint, libello di Hume, viene segnalato a Parigi.
Qui a Wootton redige i primi cinque libri delle Confessions.
A. Ramsey, pittore inglese, esegue il ritratto di Rousseau.
1767 Rifiuta una pensione di 100 sterline annue offertagli dal re dInghilterra Giorgio III.
Parte da Wootton e torna in Francia sotto il falso nome di Jean Joseph Renou (facendo passare Thérèse per sua sorella), riprendendo la vita errante: Calais, Amiens, Fleury-sous-Meudon (ospite del marchese di Mirabeau), Trye-le-Château (ospite del principe de Conti).
Il Dictionnaire de musique è in vendita a Parigi.
1768 Parte per Lione con il suo erbario e la sua biblioteca; dopo Lione prosegue per Grenoble e per Chambéry (pellegrinaggio sulla tomba di Madame de Warens).
Si stabilisce a Bourgoin nel Delfinato, dove lo raggiunge Thérèse, chegli sposa civilmente il 30 agosto: «ho sempre considerato il giorno che mi unì alla mia Thérèse come quello che determinò il mio essere morale».
1769 Si sistema in una fattoria a Monquin (sopra Bourgoin) dove si dedica allerboristica.
Edizione delle sue Oeuvres complètes pubblicate dal Rey.
1770 Rinuncia allo pseudonimo e si firma di nuovo Jean Jacques Rousseau.
Importante lettera autobiografica al Saint-Germain, in cui è esposto il «complotto» della «cricca holbacchiana», diretta dal barone dHolbach, Grimm e Diderot.
Lascia Monquin per Lione, dove viene rappresentato in suo onore Le devin, oltreché il Pygmalion.
Il 2 giugno sottoscrive per la statua di Voltaire: «E una vendetta alla Jean Jacques che Voltaire non gli restituirà» -commenta egli stesso.
Ritorna a Parigi, in Rue Plâtrière (oggi Rue J. J. Rousseau) dove riprende il mestiere di copista di musica e continua ad occuparsi di erboristica.
Termina le Confessions di cui si fanno le prime letture nei salons che preoccupano non poco i philosophes.
1771 Lettura delle Confessions davanti al principe ereditario di Svezia e alla contessa dEgmont.
Madame dEpinay ottiene dal luogotenente di Polizia che gli si vietino tali letture.
Termina le Considérations sur le gouvernement de Pologne che aveva iniziato sollecitato dal conte Wielhorski (inviato dalla Confederazione polacca a Parigi).
1772 Inizia a scrivere i Dialogues de Rousseau juge de Jean Jacques.
1773 Svolge lattività di copista e prosegue la composizione dei Dialogues che gli riesce molto penosa («si tratta di un compito doloroso»).
1774 Scrive lintroduzione al suo Dictionnaire de Botanique.
Compone la musica del primo atto di Daphnis et Chloé.
1775 Il Pygmalion viene rappresentato alla Comédie Française, ottenendo un grande successo.
1776 Volendo depositare i Dialogues sullaltare maggiore di Notre Dame, trova il passaggio del coro chiuso, cosicché due mesi dopo decide di distribuire per la strada il «pamphlet» dal titolo A tout Français aimant encore la justice et la vérité, inviandone una copia ai suoi corrispondenti.
In autunno compone la prima promenade delle Rêveries du promeneur solitaire.
In seguito allaggressione di «un grosso cane danese» (a Ménilmontant) il «Courrier dAvignon» annuncia erroneamente la morte di Rousseau: «Ci dispiace di non poter parlare qui dei talenti di questo eloquente scrittore -si legge- I nostri lettori devono sentire che labuso che egli ne ha fatto ci impone il più rigoroso silenzio».
1777 Jean Jacques vive una difficile situazione economica e rinuncia al lavoro di copista; Thérèse è molto ammalata. Lo scrittore vive in un piccolo alloggio in Rue Plâtrière che a uno dei suoi rarissimi visitatori, il principe di Ligne, appare «dimora di topi, ma santuario della virtù e del genio».
1778 Il 12 aprile Rousseau scrive allinizio della decima promenade (rimasta incompiuta): «Oggi, domenica delle Palme, ricorrono esattamente cinquantanni dal mio primo incontro con Madame de Warens».
Consegna i manoscritti delle Confessions e dei Dialogues al suo vecchio amico di Ginevra Paul Moultou, in presenza del figlio di costui, Pierre Moultou.
Si trasferisce a Ermonville, ospite del marchese René de Girardin, dove si dedica alla botanica.
Il 30 maggio muore Voltaire.
Il 2 luglio, dopo una passeggiata nel parco, Rousseau muore alle undici del mattino, colto da malore e da violenti mal di capo.
Il 4 luglio lo scrittore è sepolto nellisola dei Peupliers, donde le sue spoglie saranno trasportate nel Panthéon di Parigi i giorni 9, 10, 11 dellottobre 1794.
PARTE PRIMA
Rousseau uomo
Capitolo primo Jean Jacques secondo Rousseau
«Tutta la mia vita non è stata che una lunga fantasticheria divisa in capitoli dalle mie passeggiate di ogni giorno» 1.
I. 1. Il patto con il lettore
Ancor oggi chi legge le opere di Rousseau rimane affascinato dalla sua eloquenza trascinatrice e si sente coinvolto da queste «pagine pregne... di sogno e di nostalgia, di romantico amore per la natura e le creature... Jean Jacques è fatto per conquistare i lettori» ; in effetti Rousseau è un autore che non lascia nessuno indifferente; egli non accetta vie di mezzo: esige che lo si detesti o lo si ami.
A tal proposito possiamo dire che «il cittadino di Ginevra« cerca di stipulare un vero e proprio patto con il lettore : leggendo le Confessions si ha limpressione che l'autore accentui la gravità dei fatti ignobili narrati come per dire al lettore: «io sono stato sincero con te, non ti ho nascosto nulla, ma tu in cambio difenderai il mio nome» (in quanto «il mio nome deve vivere e passare ai posteri» ).
Ecco svelato il segreto di Jean Jacques: riuscire a coinvolgere il lettore al punto da farlo diventare suo complice; oltre a questo, egli lancia delle sfide al lettore come allinizio della parte seconda delle Confessions :
Avverto... quelli che vorranno cominciare questa lettura che niente continuandola può garantirli dalla noia, se non il desiderio di finire di conoscere un uomo, e lamore puro della giustizia e della verità .
Piccoli stratagemmi, dunque, che rivelano lartiglio della mente superiore.
Già nel secolo «dei Lumi» Rousseau era un caso. Gli altri scrittori valevano per le loro opere e le loro idee. «Invece negli scritti di Rousseau, non so qual fremito suscitava nel lettore la curiosità di conoscere luomo... Alcune allusioni alle sue avventure abilmente distribuite nei suoi libri, lo proponevano alla curiosità come un enigma (per esempio quel Saint-Preux della Nouvelle Héloïse, plebeo innamorato di una gran dama, è lui oppure no?)... Già da anni, nel 1764, non lo si chiamava che Jean Jacques con ironia, tenerezza o ammirazione» .
Oltre alle lodi, i suoi contemporanei (in particolare i philosophes) criticano ferocemente Rousseau causa la sua condotta di vita ritenuta scandalosa: Voltaire lo giudica come »... un uomo che reca ancora i segni funesti delle sue dissolutezze e che, camuffato da saltimbanco, trascina dietro di sé... la sventurata di cui fece morire la madre e di cui espose i figli alla porta di un ospedale» ; Diderot commenta nel seguente modo il suo ritiro in solitudine: «Solo i cattivi sono soli» .
A tutte queste critiche Rousseau risponderà scrivendo le sue Confessions, non tanto per dimostrare la propria rettitudine, ma la sua «sincerità senza esempio» .
Molti biografi si sono interrogati circa lautenticità delle Confessions ; per esempio nel secolo scorso la tendenza generale era quella di non credere allabbandono dei figli, interpretato più come una trovata letteraria allo scopo di stupire il lettore che come un fatto realmente accaduto; oggi, invece, lorientamento dei critici è quello di ritenere veritiere le confessioni qui prese in esame.
I. 2. Gli scritti autobiografici di Rousseau
Prendiamo ora in considerazione le «memorie» del pensatore ginevrino, cercando di individuare quale concetto lautore ha di se stesso.
1. Nel 1762 il nostro «orso selvaggio» scrive le quattro Lettres à Malesherbes nelle quali spiega i motivi del suo ritiro in solitudine (avvenuto nel 1756 in una casetta «nel bel mezzo» di una foresta nei pressi di Parigi):
Qual è dunque questa causa? Non altro che il mio indomabile spirito di libertà, che nulla ha potuto vincere e di fronte al quale gli onori, la fortuna e la stessa fama non sono niente per me .
Queste lettere sono il «sommario» di ciò che egli espose in modo più dettagliato nelle sue Confessions : « i miei gusti, le mie tendenze, il mio carattere e tutto quello che si agitava nel mio cuore» -precisa Rousseau . Ne emerge il ritratto di un solitario che, animato dal suo «gusto eroico e romanzesco», finisce per provare avversione per tutto ciò che non assomiglia alle sue »follie», cosicché gli è inevitabile «disprezzare il (suo) secolo e i (suoi) contemporanei» .
2. Nelle Confessions Rousseau descrive (negli anni tra il 1766 e il 1770) le vicende della sua vita avventurosa dallinfanzia fino alletà di cinquantatré anni; egli racconta «il bene e il male con la stessa franchezza» e si mostra qual è stato: «spregevole e vile, buono, generoso e sublime» . Si sente in queste pagine »una vibrazione che non manca di avere risonanze in noi, il tremito stesso della vita, quello schaudern del quale parlava Goethe». In effetti lo scrittore ginevrino dichiara la propria innocenza allumanità intera:
.. tutto il libro si sviluppa come un grande grido, e questo grido si rivolge a noi, altrettanto che allEssere Eterno; e non cè uomo che non ne possa restare commosso, se a ogni uomo... capita, a un dato momento della sua esistenza... di chiedersi che cosa sta facendo, che cosè, che cosa vale, che cosa lo giustifica a vivere» .
La prima parte delle Confessions, composta in Inghilterra (ospite di Hume), mostra un uomo contento e riconciliato con Dio e il mondo, e soprattutto con se stesso. La seconda parte, invece, rivela limmagine di uno sventurato costretto dalla sorte ad essere «fuggitivo sulla terra» (causa i suoi scritti rivoluzionari), ossessionato dallidea di un «complotto universale» contro la sua persona; già dalle prime pagine vi si sente aleggiare la follia:
... i soffitti sotto i quali vivo hanno occhi, i muri che mi circondano hanno orecchie. Circondato da spie e da sorveglianti malevoli e vigili, inquieto e distratto, getto sulla carta, in fretta e furtivamente qualche parola interrotta .
3. Anche nei Dialogues de Rousseau juge de Jean Jacques (composti negli anni tra il 1772 e il 1775) emerge lestrema instabilità psichica dello scrittore ginevrino: la si evince dal carattere ripetitivo dello scritto determinato dallaccumulazione di materiali frammentari; ne deriva «un caos di disordine e di ripetizioni», come dovrà ammettere lui stesso.
I Dialogues si svolgono tra due interlocutori: Rousseau difende Jean Jacques di fronte al Francese, che è sì il portavoce del complotto, ma è anche un giusto che desidera conoscere la verità: ora crede, ora dubita, ma alla fine accetterà limmagine di Jean Jacques proposta da Rousseau. E limmagine di un solitario, «la cui solitudine non è segno di malvagità... ma di innocenza: il vero misantropo è nella società, perché solo la società consente di fare il male. Tuttavia la solitudine non è una scelta assoluta... Nasce dal rifiuto di un tipo di rapporto dominante nelle società attuali, dallincapacità di dissimulare o di simulare» .
Questo «barbaro» è in fondo un uomo impotente in balìa dei suoi persecutori, cosicché egli rinuncia alla sua presenza nel tempo (si autodefinisce un essere a parte) abbandonandosi alla passività della rêverie .
4. Nelle Rêveries du promeneur solitaire, scritte a partire dal 1776 e rimaste incompiute, Rousseau si abbandona al piacere di dialogare con se stesso:
Io compio la stessa impresa di Montaigne, ma con uno scopo affatto contrario al suo: egli non scriveva i suoi Saggi che per il pubblico, e io non scrivo le mie fantasticherie che per me stesso .
Perciò Jean Jacques parla con Jean Jacques; insieme a lui rammemora le passeggiate durante le quali ha potuto sentirsi veramente «quello che ha voluto la natura» . In questo senso la scrittura diventa per Rousseau la via regia del rasserenamento e dellestasi: «a rileggerle... ogni volta si rinnoveranno le gioie provate...» commenta il nostro promeneur solitaire .
Ciò che commuove di questultima fatica letteraria, è la sua incompiutezza che assume il valore di un gesto, la penna che cade tra le mani: «Così il mio libro deve naturalmente finire quando mi approssimerò alla fine della mia vita» , aveva lasciato scritto lautore sul dorso di una carta da gioco. Identificazione ultima della scrittura con lesistenza dunque.
Sono queste forse le più belle pagine che la letteratura romantica ci ha lasciato: Rousseau colora delle sue malinconie e della sua gioia il mondo esterno (il cosiddetto «paesaggio dellanima»).
I. 3. Rousseau uomo: lenigma di un genio
Non è impresa di poco conto cercare di comprendere una personalità enigmatica come quella di Rousseau che, come osserva bene H. Taine, è «leffetto di una struttura mentale straordinaria e contradditoria analoga a quella di Amleto (....), di Werther, adatta alla poesia, inadatta alla vita» .
Ogni personalità è un unicum irripetibile; lindividuo non si può spiegare scientificamente, essendo per definizione «indivisibile» , ma si può comprendere più facilmente grazie allintuizione artistica: infatti se proviamo ad osservare il ritratto di Rousseau dipinto da La Tour, possiamo intravedere nella piega malinconica del volto lemblema della solitudine che strazia unanima dolce e tormentata che cerca rifugio nella rêverie e nei ricordi della giovinezza.
E ancora H. Taine a fornirci un mirabile ritratto psicologico del nostro Jean Jacques, definito come:
... un uomo strano, originale e superiore ma che portava fin dallinfanzia un germe di follia e che alla fine divenne pazzo completamente; spirito ammirevole e male equilibrato, nel quale le sensazioni, le emozioni e le immagini erano troppo forti; cieco e perspicace insieme, poeta vero e malato nello stesso tempo; il quale, invece delle cose reali, vedeva i propri sogni, viveva in un romanzo e morì sotto lincubo che si era forgiato» .
Probabilmente è vero: Rousseau «viveva in un romanzo» ed è lui stesso a confermarcelo quando definisce la sua vita come «una lunga fantasticheria divisa in capitoli dalle mie passeggiate di ogni giorno» .
Ma non solo. La natura rousseauiana si caratterizza anche per il dualismo tra emozione e ragione; racconta lo scrittore ginevrino:
Due cose quasi inconciliabili si uniscono in me senza che io possa capire come: un temperamento molto ardente, delle passioni vive, impetuose e delle idee lente a nascere, impacciate e che si presentano sempre troppo tardi. Si direbbe che il mio cuore e la mia testa non appartengano allo stesso individuo. Il sentimento più veloce del lampo fa traboccare la mia anima, ma invece di illuminarmi mi brucia e mi abbaglia. Sento tutto ma non vedo niente; sono impulsivo, ma stupido... Questa lentezza di pensiero insieme a questa vivacità di sentimento non lho solamente nella conversazione, lho anche da solo e quando lavoro. Le idee si combinano nella mia testa con la più incredibile difficoltà. Vi si muovono lentamente, vi fermentano fino a commuovermi, a riscaldarmi, ad agitarmi, e per tanta emozione non vedo niente con chiarezza... Insensibilmente questa grande agitazione si calma, ogni cosa si mette al suo posto, ma lentamente .
Ci troviamo, quindi di fronte da un uomo che «sente prima di pensare e pensa per immagini» .
Quello di Rousseau è un pensiero che per nascere abbisogna di un corpo accaldato che si possa concedere il privilegio di girovagare senza meta, libero da ogni dipendenza sociale. Scrive il nostro promeneur solitaire:
La marcia... anima e ravviva le mie idee... A passeggio, tra le rocce e i boschi, di notte, nel mio letto, durante le mie insonnie scrivo nel mio cervello, e si può giudicare con quale lentezza, soprattutto per un uomo assolutamente sprovvisto di memoria verbale, e che durante la sua vita non ha potuto ritenere sei versi a memoria» .
Maldestro nella conversazione, causa la lentezza del suo pensiero, Rousseau vede nella scrittura lunico strumento per mostrarsi qual è realmente; in effetti la sua preoccupazione maggiore consiste nel cercare di risolvere il conflitto interiore tra essere ed apparire: «essere vero: ecco ciò che io voglio sforzarmi di essere» .
Dei numerosi autoritratti che compongono gli scritti autobiografici abbiamo scelto quello che ci sembrava il più commovente, nonché il più veritiero, poiché in esso Rousseau appare pienamente consapevole della propria contraddittorietà:
Ho delle passioni molto ardenti e mentre esse mi agitano niente uguaglia il mio impeto; non conosco più né precauzione, né rispetto, né paura, né convenienza; sono cinico, sfrontato, violento, intrepido, non vi è vergogna che mi arresti, né pericolo che mi spaventi... Ma prendetemi in un momento di calma, sono lindolenza e la timidezza stessa: tutto mi sgomenta, tutto mi dà noia, una mosca che vola mi fa paura, una parola da dire, un gesto da fare spaventa la mia pigrizia; la paura e la vergogna mi soggiogano a tal punto che vorrei eclissarmi agli occhi dei mortali. Se bisogna agire non so cosa fare, se bisogna parlare non so cosa dire, se mi guardano sono confuso .
I. 4. Conclusioni
Grazie ad unastuzia che rivela lartiglio della mente superiore (il cosiddetto patto con il lettore: «io, Jean Jacques, sono stato sincero con te, ma tu, in cambio, difenderai il mio nome»), Rousseau si è assicurato limmortalità. »Il mio nome deve vivere e passare ai posteri» è la profezia di un grande uomo che si è avverata, essendo Rousseau il pensatore che ha maggiormente inciso, con le sue idee rivoluzionarie, sulla formazione della nostra cultura.
Nonostante la sua condotta di vita scandalosa e le conseguenti critiche feroci da parte dei philosophes, Jean Jacques ottiene anche nel suo secolo un «successo immenso», sia come scrittore che come musicista e autore di teatro; ma non si accontenta di essere diventato «autore alla moda»: egli vuole dimostrare allumanità intera la propria «sincerità senza esempio» e lo fa scrivendo le sue «memorie».
Dagli scritti autobiografici emerge il ritratto di un solitario, ingiustamente perseguitato (nonostante i suoi «vizi odiosi» egli si ritiene il «migliore degli uomini») che, ormai «solo sulla terra», si abbandona alla passività della fantasticheria (rêverie), scoprendo così che la vera felicità «è dentro di noi».
Ma non vogliamo semplificare troppo le cose: non dimentichiamo che ci troviamo di fronte ad una personalità estremamente contradditoria; lo stesso Rousseau sembra compiacersi nel presentare se medesimo come un enigma. Il dualismo tra emozione e ragione, tra passioni vive e idee lente a nascere, tra spavalderia e timidezza dimostrano la complessità di una «struttura mentale straordinaria e contraddittoria... adatta alla poesia, inadatta alla vita» (per dirla con Taine).
Evidentemente quella di Rousseau, più che una storia umana, sembra una leggenda: è la leggenda di un «genio sublime» (come lha definito Constant) che ha «vissuto in un romanzo» e che perciò definisce la propria vita come «una lunga fantasticheria divisa in capitoli dalle mie passeggiate di ogni giorno».
Capitolo secondo Rousseau, coscienza offesa
«Odio i grandi, la loro classe, la loro durezza, i loro vizi, e li odierei ancora di più se li disprezzassi di meno» .
II. 1. Le umiliazioni subite da Jean Jacques negli anni dellinfanzia e della
giovinezza
Nonostante lappartenenza allagiata borghesia ginevrina, Rousseau si è sempre sentito «un uomo del popolo, disadattato al mondo elegante e delicato; impacciato in un salotto, e, per di più, mal nato, maleducato, insudiciato da unesperienza volgare e precoce, dotato di una sensualità eccitata e spiacevole, malato nellanima e nel corpo... e che porta le sozzure della sua immaginazione fin nella sua morale più austera e nei suoi idilli più puri» .
Senza dubbio la denuncia di Rousseau contro una società ingiusta scaturisce dalle umiliazioni subite negli anni della giovinezza e dalle contraddizioni sociali di cui è stato spettatore: «inasprito dalle ingiustizie che avevo provato e da quelle di cui ero stato testimone... ho preso a disprezzare il mio secolo e i miei contemporanei» .
Vediamoli dunque, questi avvenimenti che hanno segnato profondamente la vita di Rousseau.
Nelle Confessions, egli racconta di una punizione ingiusta subita al tempo dellinfanzia (era stato accusato di aver rotto un pettine) a causa della quale ha cominciato a ribellarsi e a mentire: «finì allora la serenità della mia vita di fanciullo...» -commenta Jean Jacques . Questo episodio (come gli altri che narreremo di seguito) ha per lo scrittore ginevrino un chiaro valore simbolico: è, infatti, a causa di questa punizione ingiusta che il Jean Jacques bambino scopre, per la prima volta, il contrasto tra essere innocente e apparire colpevole; non a caso nella Prefazione al Discours sur les sciences et les arts vi è lepigrafe di Orazio Decipimur specie recti , a dimostrazione che luomo moderno, secondo Rousseau, vive un profondo dramma: il conflitto interiore tra essere ed apparire.
Ancora ragazzino Rousseau commenta nel seguente modo lesperienza di apprendista presso un incisore:
... la tirannia del mio maestro finì col rendermi insopportabile il lavoro che avrei amato e col darmi dei vizi che avrei odiato, come la menzogna, la fannullaggine, il furto... Sono sempre dei sentimenti mal guidati che fanno fare ai bambini il primo passo verso il male .
Che cosa sarebbe successo, dunque, se il nostro Jean Jacques fosse «caduto nelle mani di un maestro migliore»?. Senza ombra di dubbio egli sarebbe stato «buon cristiano, buon cittadino, buon padre di famiglia» ; perciò (ecco il suo messaggio) quando un uomo pecca non è lindividuo il colpevole, ma la società.
Ricordiamo anche i continui vagabondaggi dal 1728 (anno in cui Rousseau lascia la sua Ginevra) al 1736 di cui è protagonista il nostro promeneur solitaire e durante i quali ha dovuto subire ulteriori umiliazioni: per esempio nel 1728 dopo essere stato costretto dallInquisizione di Torino ad abiurare il calvinismo, viene poi messo alla porta dellOspizio dei Catecumeni: «... mi vidi costretto a dormire sulla strada» -confessa Jean Jacques.
Ma sarà soprattutto in seguito ai soprusi subiti prima a Parigi da parte di un colonnello svizzero («un volgare vecchio avaro») e poi a Venezia per mano dellambasciatore francese che si formerà nellanimo di Rousseau quella che noi abbiamo denominato coscienza offesa:
Linutilità delle mie giuste lagnanze mi lasciarono nellanima un germe di indignazione contro le nostre stupide istituzioni civili, in cui il vero bene pubblico e la vera giustizia sono sacrificati a non so quale ordine apparente, distruttivo in realtà di ogni ordine, e che non fa che aggiungere la sanzione dellautorità pubblica alloppressione del debole e alliniquità del forte .
Riteniamo che il segreto del successo di Jean Jacques come scrittore, sia dovuto proprio al suo «rancore di plebeo povero» che provoca in lui una reazione violenta contro i soprusi dei potenti.
Dello stesso avviso anche P. Casini -«tutta lopera sua può essere letta come la trascrizione simbolica di una rivolta emotiva» - e J. Starobinski, il quale descrive lesordio di Rousseau sulla scena della cultura francese come una vera e propria «entrata in guerra» .
II. 2. Le contraddizioni sociali di cui Rousseau è stato spettatore.
Rousseau si presenta come un uomo che ha «conosciuto tutte le condizioni», che ha «vissuto in tutte, dalle più basse alle più elevate, eccettuato il trono»; e continua:
I grandi uomini non conoscono che grandi uomini, i piccoli uomini non conoscono che piccoli uomini ...Non essendo nessuno, non volendo nulla io non imbarazzavo ne importunavo nessuno ... Qualche volta mangiavo al mattino con i principi e la sera cenavo con dei contadini ... In qualunque oscurità io abbia potuto vivere, se ho pensato di più e meglio dei re, la storia della mia anima è più interessante di quella della loro .
Non dimentichiamo che Jean Jacques è stato un uomo molto versatile: ha svolto i mestieri di grattacarte, incisore, cameriere, commesso, «vagabondo», precettore, copista di musica, segretario, autore di teatro, pedagogista, pensatore politico, letterato, «sempre allerta e costretto a vivere di espedienti per mantenere la propria indipendenza, rivoltato dal contrasto tra la condizione che deve subire e lanimo che si sente ... e conserva nel fondo del cuore unantica amarezza contro i ricchi e felici di questo mondo come se essi lo fossero stati a sue spese» .
La coscienza offesa di Rousseau ha preso vigore soprattutto durante i suoi vagabondaggi grazie ai quali ha potuto «toccare con mano» le innumerevoli contraddizioni del sistema sociale: nelle Confessions lautore descrive «le vessazioni che la gelosa sollecitudine dei piaceri dei principi fa subire agli infelici contadini, costretti a sopportare il danno che la selvaggina fa nei loro campi» ; inoltre nella quarta lettera a Malesherbes egli ritiene che «i contadini di Montmorency siano componenti della società molto più utili di tutte quelle masse di sfaccendati pagati col grasso del popolo per andare sei volte alla settimana a chiacchierare dentro ad unaccademia» .
Ecco, dunque, un Jean Jacques, spirito ribelle, che si scaglia contro i potenti e manifesta apertamente il suo «inestinguibile odio... contro le vessazioni che soffre il popolo infelice e contro i suoi oppressori». Lorigine di questodio è da attribuirsi, a parere di Rousseau, al suo incontro con un contadino ingiustamente gravato dai tributi .
Ed il messaggio di uguaglianza di questo grande profeta del XVIII secolo è rivolto proprio al popolo; egli trascina la plebe, esortandola a rivoltarsi contro i «tiranni» . Con lui il pensiero filosofico esce (per la prima volta nella storia) dagli ambienti colti e scende sulla piazza : possiamo ben dire che il suo Contrat Social sarà come un fiammifero lanciato nella polveriera: infatti durante la rivoluzione francese le frasi ardenti di Rousseau «scintilleranno come carboni ardenti», sprigionando «un fumo caldo, un vapore inebriante» .
Insomma Jean Jacques è sempre dalla parte dei deboli e degli oppressi; nelle Rêveries egli dichiara ad alta voce:
...lo spettacolo dellingiustizia e della malvagità mi fa ancora ribollire il sangue di collera; gli atti virtuosi in cui non vedo né furfanteria né ostentazione, mi fanno sempre trasalire di gioia, mi strappano ancora dolci lacrime .
E nelle Confessions aggiunge: «non conosco niente di così potente sul mio cuore che un atto di coraggio fatto a proposito in favore del debole ingiustamente oppresso» .
II. 3. L «illuminazione» di Vincennes
Rousseau non ha scelto deliberatamente di intraprendere la carriera letteraria: infatti lo scritto che lo consacra come «autore alla moda» (il Discours sur les sciences et les arts del 1749) è il frutto di un «ispirazione improvvisa» che lo trascina fuori di sé , a conseguenza della lettura sul «Mercure de France» del tema del concorso proposto dallAccademia di Digione «Se il progresso delle scienze e delle arti avesse contribuito al miglioramento dei costumi».
«Non appena lessi questo, vidi un altro universo e divenni un altro uomo... -spiega Rousseau- Ero in unagitazione vicina al delirio... Tutto il resto della mia vita e delle mie sventure fu leffetto e la conseguenza inevitabile di questo momento di smarrimento» ; Jean Jacques ha sempre collegato linizio delle sue disgrazie con la celebrità e la gloria che questo primo scritto gli ha procurato: «Con questo (libro) comincia alla sua prima origine la lunga catena delle mie sventure» .
La cosiddetta «illuminazione» di Vincennes è un altro di quegli episodi chiave nella vita di Rousseau che ha in sé unintensa carica simbolica: infatti segna il trapasso dalle emozioni alle idee: «i miei sentimenti ascesero con la più inconcepibile rapidità al tono delle mie idee « . Ora finalmente Rousseau vede tutto con più chiarezza grazie alla «ressa di grandi verità che in un quarto dora (lo) illuminarono sotto quellalbero» sulla strada che conduceva a Vincennes, dove si stava recando a trovare lamico Diderot in prigione.
Lasciamo, dunque, che sia lo stesso Rousseau a spiegarci i particolari di questo «caso felice» che segna il primo momento della sua carriera letteraria che noi abbiamo definito come quello della coscienza offesa (in quanto lo scritto è la conseguenza di una rivolta emotiva):
Dopo la lettura del quesito proposto allAccademia di Digione «dimprovviso mi sento lo spirito come abbagliato da mille luci; torme di idee vive si presentano ad esso con una forza e con una confusione tali che mi gettarono in uno scompiglio indescrivibile. Sento la mia testa presa da uno stordimento simile allebrezza, una violenta palpitazione mi opprime e mi fa ansimare: non potendo più respirare mentre cammino, mi lascio cadere sotto uno degli alberi della strada, e vi passo una mezzora in tale agitazione che, alzandomi, notai di avere il davanti del vestito bagnato di lacrime senza essermi accorto di averle versate. Ah, signore, se mai avessi potuto scrivere un quarto di quello che ho visto e sentito sotto quellalbero, con quale chiarezza avrei fatto vedere tutte le contraddizioni del sistema sociale, con quale forza avrei esposto tutte le ingiustizie delle nostre istituzioni, con quale semplicità avrei dimostrato che luomo è buono per natura e che è solo per via di queste istituzioni che gli uomini diventano cattivi» .
II. 4. Le tre fasi della carriera letteraria di Rousseau
Riteniamo possibile suddividere la carriera letteraria di Rousseau a seconda dei suoi stati danimo:
- coscienza offesa : dalla sua rivolta emotiva scaturiscono il Discours sur les sciences et les arts (1749), la Préface al Narcisse (1752) e il Discours sur lorigine de linégalité parmi les hommes (1754);
- illusione : dal 1756 Rousseau si ritira in solitudine e concepisce la possibilità di cambiare , con la forza del suo pensiero, la società «mostruosa» nella quale gli era toccato in sorte di vivere; in questi anni immagina una comunità di uomini disinteressati e felici (il «mondo di Clarens» nella Nouvelle Héloïse del 1761 e la «città-Stato» del Contrat social del 1762) e un uomo nuovo: lEmilio (1762);
- rassegnazione e ricerca della felicità dentro di sé : il sogno di una società charmante sinfrange sugli scogli aguzzi della realtà: infatti il suo progetto rivoluzionario (»troppo audace per il mio secolo» riconosce lui stesso ) suscita reazioni violente: i suoi due capolavori (lEmile e il Contrat Social) vengono bruciati sia a Parigi che a Ginevra e contro il suo autore viene emesso un mandato darresto; lo scrittore ginevrino, sentendosi incompreso e perfino vittima di un «complotto» organizzato dai philosophes, si rassegna ad essere «fuggitivo sulla terra», ma vuole fornire ai posteri unimmagine di sé il più veritiera possibile, oltreché ricercare la felicità dentro di sé; da questo progetto etico di assoluta sincerità nascono gli scritti autobiografici (si veda il cap. I, par. 2, del presente lavoro).
Tenendo presente queste tre fasi della carriera letteraria di Rousseau si potrà comprendere come esista un intreccio pressoché inscindibile tra la sua vita e le sue opere; ma, ben inteso, non ci stiamo riferendo soltanto agli scritti autobiografici, in quanto lintera sua opera, come dice Jean Jacques stesso nei Dialogues, non è, in realtà, che un autoritratto.
Man mano che approfondiremo la lettura delle sue «memorie», ci accorgeremo di come esistano tanti Jean Jacques diversi; ci sembra limitativo «contrapporre in modo netto il primo Rousseau illuminista, storicista e dialettico al tardo Rousseau deluso, intimista e nevrotico» . Dal canto nostro proveremo ora ad estrapolare due immagini diverse di Jean Jacques: come homme de la nature et de la vérité e come homme de plaisir. Ma, ripetiamo, Jean Jacques non è solo questo.
II. 5. Conclusioni
Lintera opera di Rousseau non è, in realtà, che il suo autoritratto: in effetti la sua denuncia contro una società «iniqua» scaturisce dalla sua coscienza offesa: sono state le umiliazioni subite negli anni dellinfanzia e della giovinezza, oltreché le contraddizioni sociali di cui è stato spettatore, a far germogliare nellanimo di Jean Jacques «linestinguibile odio... contro le vessazioni che soffre il popolo infelice e contro i suoi oppressori».
Pur avendo «conosciuto tutte le condizioni» («qualche volta mangiavo al mattino con i principi e la sera cenavo con dei contadini»), Rousseau si sente «un uomo del popolo», tantoché egli invia il suo messaggio di uguaglianza (insito nel Contrat social) alla «folla sofferente e rozza», esortandola così a rivoltarsi contro i «tiranni».
E proprio «unispirazione improvvisa», frutto di una rivolta emotiva che lo trascina fuori di sé («divenni un altro uomo»), a consacrare il «cittadino di Ginevra» «autore alla moda»; ci stiamo riferendo alla cosiddetta «illuminazione» di Vincennes, episodio chiave nella carriera letteraria del ginevrino in quanto segna il trapasso dalle emozioni alle «idee chiare e distinte» (direbbe Cartesio): improvvisamente egli comprende che «luomo è buono per natura e che è solo per via di queste istituzioni (civili) che gli uomini diventano cattivi».
Non «tutta lopera sua» (come sostiene P. Casini), ma soltanto una parte dellopera sua «può essere letta come la trascrizione simbolica di una rivolta emotiva» ed è precisamente quella corrispondente alla prima fase della sua carriera letteraria da noi denominata coscienza offesa (1749-1756); la seconda fase è quella dellillusione (1756-1762) di poter radicalmente cambiare col la forza del suo pensiero (rivoluzionario) lingiusta società nella quale gli era toccato in sorte di vivere; il momento conclusivo della sua carriera di scrittore è quello della rassegnazione e ricerca della felicità dentro di sé (1762-1778): sentendosi vittima di un «complotto universale», Jean Jacques si rassegna ad essere «fuggitivo sulla terra», ma ancora fiducioso di poter trovare la vera felicità dentro di sé.
Capitolo terzo Rousseau, l homme de la nature et de la vérité
«Mi accingo ad unopera senza esempi e senza imitatori. Voglio mostrare ai miei simili un uomo in tutta la verità della natura, e questuomo sarò io, io solo» .
III. 1. La «vocazione» calvinista : vitam impendere vero .
Lambiguità della natura rousseauiana ci sembra in gran parte dovuta allantinomia tra leducazione calvinista ricevuta nellinfanzia e lesempio poco edificante del padre, homme de plaisir ; si nota, infatti, nella condotta di Rousseau sia un notevole grado di emancipazione dalle inibizioni religiose, sia una vera e propria ossessione del peccato e della salvezza . A tal proposito ricordiamo che il giovane Jean Jacques, per vincere questa «crudele incertezza» (inferno oppure paradiso?) si esercitava alle Charmettes a lanciare delle pietre contro i tronchi degli alberi; un giorno disse a se stesso:
«Ora getto questa pietra contro lalbero che mi è di fronte: se lo tocco è segno di salvezza, se lo sbaglio è segno di dannazione». Mentre dicevo così getto la pietra con mano tremante e con un orribile battito del cuore, ma così felicemente che va a colpire il bel mezzo dellalbero... Da allora non ho più dubitato della mia salvezza .
Vitam impendere vero è il non poco impegnativo motto scelto dal «cittadino di Ginevra»; ma chiediamoci allora che cosa intende Rousseau per «verità».
La verità è «vocazione», la verità è la vita stessa: «il mio dono era di saper dire agli uomini delle verità utili, ma dure, con sufficiente energia e coraggio» -afferma Jean Jacques . Essendosi sempre «dichiarato protestante ad alta voce» , Rousseau manifesta la sua «vocazione», commentando nel seguente modo le condanne dei suoi libri (giugno 1762):
... attesi tranquillamente gli eventi, riposando sulla mia rettitudine e sulla mia innocenza in tutta questa faccenda, e troppo felice, qualunque persecuzione dovesse attendermi, di essere chiamato allonore di soffrire per la verità .
Non solo. Il nostro Jean Jacques presenta il suo messaggio come «la santa voce della verità» e interpreta lesilio (dalla Francia nel 1762 e dalla Svizzera nel 1765) come una necessità ideale perché chi ha scelto «il triste ufficio di dire la verità agli uomini» devessere libero da ogni legame che turbi la sua serenità e lucidità di giudizio («quando si vogliono consacrare i propri libri al bene della patria, non bisogna comporli in seno ad essa...» -recita Rousseau.
Jean Jacques si è sempre dichiarato fiero della sua cittadinanza ginevrina ; dopo essere stato costretto a convertirsi al cattolicesimo (nellospizio dei Catecumeni di Torino) nel 1754 il giovane che aveva lasciato la sua Ginevra nel 1728 (una separazione dolorosa, senza dubbio), «volendo esser cittadino», decide di «rientrare nella religione della (sua) patria» .
Larrivo di Voltaire a Ginevra (nel 1755) e la già citata condanna dellEmile e del Contrat social da parte del Petit-Conseil ginevrino, oltreché il mandato darresto nei suoi confronti, toglieranno a Rousseau ogni speranza di ritornare in patria; anzi sarà lui stesso, nel 1763, a rinunciare per sempre al diritto di cittadinanza ginevrina.
III. 2. La grande révolution
Volendo fornire «lesempio agli uomini riguardo alla vita che, tutti, essi dovrebbero condurre» per divenire buoni cittadini e animato dalla «decisa volontà di... romperla bruscamente con le massime del (suo) secolo , Rousseau procede ad una vera e propria riforma personale (la cosiddetta grande révolution):
Lasciai il mondo e le sue pompe. Rinunciai ad ogni ornamento: via la spada, via lorologio, via le calze bianche, gli ori, la pettinatura... Rinunciai al posto che allora occupavo... e mi misi a copiare musica a un tanto alla pagina, occupazione per cui avevo sempre avuto un gusto spiccato .
La passione per la musica, dunque, ha sempre assicurato allhomme de la nature et de la vérité una discreta indipendenza economica: « il denaro che si ha è lo strumento della libertà, quello che sinsegue è lo strumento della schiavitù...» osserva Rousseau .
A differenza dei philosophes, i quali collaboravano spesso con il potere politico, il «cittadino di Ginevra», «spirito libero e repubblicano» , non sinchina davanti ai potenti del secolo XVIII, affermando così lindipendenza delluomo di lettere:
... scrivere libri per guadagnarmi il pane avrebbe presto soffocato il mio genio ed ucciso il mio talento. Esso non era tanto nella mia penna quanto nel mio cuore... Niente di grande può uscire da una penna del tutto venale... Ho sempre sentito che il lavoro di autore è, e può essere rispettabile e illustre, solo finché non è un mestiere. E troppo difficile pensare nobilmente quando non si pensa che per vivere. Per potere, per osare dire delle grandi verità, non bisogna dipendere dal successo .
Rousseau «giunge a unidea di indipendenza delle lettere che nel suo secolo, ancora fedele, tutto sommato, alla tradizione mecenatesca, suona come del tutto innovativo ed è, anzi, una pietra miliare su un cammino che tanti percorreranno, più tardi, dallAlfieri del trattato Del principe e delle lettere allAndré della République des lettres, dagli autori del gruppo di Coppet a Victor Hugo, da Zola al Julien Benda della Trahison des clercs» .
Senza dubbio la grande révolution mostra lesigenza di Jean Jacques di vivere conformemente alle proprie idee in quanto «per essere se stesso e sempre uno bisogna agire come si parla» .
Naturalmente la sua riforma personale non si limita alle «cose esteriori»; infatti Rousseau procede anche ad una riforma interiore:
Mi accinsi a sottomettere il mio intimo ad un severo esame che lo regolasse per il resto della vita .
Seguendo lesempio di Socrate («Conosci te stesso» ) e di SantAgostino («Rientra in te stesso»), Rousseau indica agli uomini la via per diventare veramente virtuosi:
... rientrare in se stessi ed ascoltare la voce della propria coscienza nel silenzio delle passioni .
Secondo Starobinski questo progetto di nuova redenzione dellumanità apparenta Rousseau al Cristo Salvatore: entrambi, infatti, cercano dentro di sé la voce della verità .
Anche E. Garin ritiene che con la grande révolution il pensatore ginevrino ponga in termini mondani quello che per il cristianesimo era stato il problema della salvezza; «per cui si potrà anche dire -come è stato detto- che il problema delleliminazione del male nel mondo viene a coincidere con il problema della rivoluzione, ma a patto di reinterpretare in senso del tutto originale la grande révolution» .
III. 3. «Un uomo in tutta la verità della natura»
Scrive Rousseau nella prima pagina delle sue Confessions : »Voglio mostrare ai miei simili un uomo in tutta la verità della natura, e questuomo sarò io, io solo» . Chi si «permette» di fare certe affermazioni è un uomo che si è ritirato in solitudine (dal 9 aprile 1756) in quanto estremamente indignato dalle ipocrisie dei suoi contemporanei e insieme convinto che sia possibile scoprire la propria natura interiore soltanto in luoghi solitari, lontani dal «frastuono» del mondo.
Infatti «nella vita solitaria soltanto è possibile trovare la libertà e linnocenza» perché «la coscienza è timida e paurosa, cerca la solitudine, la spaventano il mondo e il frastuono, i pregiudizi di cui la si dice figlia sono i suoi più mortali nemici, essa fugge o rimane in silenzio davanti a loro, la cui voce rumorosa soffoca la sua e le impedisce di farsi ascoltare» .
Nei suoi scritti autobiografici Rousseau ha «dipinto» luomo naturale quale «lui stesso sentiva di essere» affinché «si potesse vedere un uomo comera nel suo intimo»; egli non si vergogna di confessare i fatti ignobili commessi, convinto comè che «non vi sia interno umano, per quanto puro possa essere, che non nasconda qualche vizio odioso» .
Insieme a R. Vitiello e a J. Starobinski , riteniamo che la trasparenza sia stata la tematica più cara al nostro Jean Jacques, il quale nelle sue memorie ha più volte sottolineato limportanza di mostrarsi agli occhi degli altri quale esattamente si sentiva di essere, «né migliore né peggiore» . Nei Dialogues Rousseau dice di Jean Jacques:
Il suo cuore, trasparente come il cristallo, non può nascondere nulla di ciò che vi succede; ogni sentimento che prova traspare dai suoi occhi e dal suo viso .
Molti biografi si sono interrogati circa lautenticità delle Confessions ; per esempio nel secolo scorso la tendenza generale era quella di non credere allabbandono dei figli, interpretato più come una trovata letteraria allo scopo di stupire il lettore che come un fatto realmente accaduto; oggi, invece, lorientamento dei critici è quello di ritenere veritiere le confessioni qui prese in esame.
Da parte sua il pensatore ginevrino assicura daverci detto la sacrosanta verità e se, nonostante questo, qualcuno osasse ancora crederlo «un uomo disonesto», costui sarebbe «un uomo da affogare» . Piuttosto che le «astratte nozioni del vero e del falso», Jean Jacques sostiene daver seguito «le indicazioni morali della coscienza» : nelle sue Confessions egli non ha «taciuto niente di cattivo» e non ha «aggiunto niente di buono; e se talvolta ho aggiunto qualche indifferente ornamento -precisa lo scrittore- non è stato che per colmare un vuoto dovuto alla debolezza della mia memoria. Ho potuto pensare come vero ciò che sapevo esserlo, non ciò che sapevo essere falso» . Ma Rousseau rimprovera se stesso:
Quando, trascinato dal piacere di scrivere, aggiungevo alle cose reali alcuni ornamenti inventati, avevo torto in quanto ornare la verità con le favole significa sfigurarla... Inoltre mi trovo imperdonabilissimo per il motto che mi ero scelto (Vitam impendere vero ). Questo mi obbligava, più di qualsiasi uomo, a una professione rigorosa della verità... Bisognava avere il coraggio e la forza di essere veriteri sempre, in ogni occasione, e che non uscissero mai né finzioni né favole da una bocca e da una penna che si erano particolarmente consacrate al vero .
Anche se Rousseau non è riuscito ad essere sempre veritiero, dobbiamo riconoscergli daver cercato dessere sincero, anche se, come osserva giustamente Guéhenno, «la sincerità non è la verità»: infatti «nessuno potrebbe sopportare tutta la verità su se medesimo... La nostra memoria è un grandissimo pittore... che tende a comporre un ritratto di noi stessi che possiamo contemplare con piacere». Ma Jean Jacques era andato oltre: egli «si era spinto sino agli estremi limiti di se medesimo. Di là da essi cominciava la notte interiore che nessuno di noi può, né deve penetrare, se voglia vivere» . Perciò riteniamo che con il suo scavo interiore, lhomme de la nature et de la vérité sia riuscito nellintento di far scaturire nellanimo del proprio lettore la necessità di essere sincero.
Se queste Confessions siano vere o false non lo sapremo mai; in ogni caso il loro valore «non ci appare nella storicità dei fatti che esse narrano, ma nella realtà storica che hanno prodotto» .
III. 4. Un uomo sincero ma non virtuoso
Nelle sue opere Rousseau ribadisce più volte che la virtù consiste nel vincere le proprie inclinazioni «quando il dovere lo comanda»; «e questo ho saputo fare meno di qualsiasi altro uomo al mondo» -ammette lhomme de la vérité ; e aggiunge:
Dopo che il dovere e il cuore si contraddicevano, il primo ebbe di rado la vittoria, a meno che si trattasse soltanto di astenermi: allora, asssai sovente, fui forte; ma agire contro la mia inclinazione mi fu sempre impossibile .
Vedremo nel prossimo capitolo come colui che amava definirsi lhomme de la nature et de la vérité si sia trasformato assai sovente in un homme de plaisir.
Oltre allinsofferenza di Rousseau verso i doveri, non dobbiamo dimenticare le menzogne da lui stesso confessate: la più «orribile» risale alla sua prima giovinezza: avendo rubato in casa della contessa di Vercelli (dove a sedici anni era stato assunto come servitore) un «piccolo nastro rosa e argento già vecchio», Jean Jacques, dopo essere stato, prima colto in flagrante e poi interrogato, accusa la cuoca di averglielo regalato: «temevo poco la punizione, non temevo che la vergogna, la temevo più della morte... Non vedevo che lorrore di essere scoperto; pubblicamente riconosciuto ladro, mendace, calunniatore...» -si giustifica il pensatore ginevrino . «Posso dire -prosegue lo scrittore- che il desiderio di liberarmi da questo peso sulla coscienza (nelle Rêveries egli afferma che il ricordo di questa menzogna lo «ha turbato per tutta la vita» )...ha influito molto sulla decisione che ho preso, di scrivere le mie confessioni» .
Come si è visto, Jean Jacques giustifica queste e altre menzogne attribuendone la causa al suo carattere timido e vergognoso:
Mai le mie menzogne furono dettate da falsità ma tutte sono venute dalla mia debolezza; e questo assai male le giustifica. Con unanima debole possiamo, al massimo preservarci dai vizi; ma stimo arrogante e temerario osar di professare le grandi virtù» .
Ci troviamo, perciò, di fronte ad «un uomo senza malizia piuttosto che buono, un animo giusto ma debole, che adora la virtù senza praticarla, che ama ardentemente il bene e poi non lo compie. In quanto al delitto, io sono persuaso che è sempre stato lontano dal suo cuore, e così pure lodio».
Conclude Rousseau sul conto di Jean Jacques:
Ecco la summa delle mie osservazioni sul suo carattere dal punto di vista morale. Il resto non può dirsi brevemente: perché quelluomo non assomiglia a nessun altro che io abbia conosciuto e richiede unanalisi a parte, fatta su misura per lui .
III. 5. Conclusioni
Fiero di essere un «cittadino di Ginevra» e consapevole della sua «vocazione» tipicamente calvinista, Rousseau sceglie per se stesso il non poco impegnativo motto Vitam impendere vero; egli si dichiara «felice di essere chiamato allonore di soffrire per la verità», interpretando il suo esilio da Ginevra come una necessità ideale, in quanto chi ha scelto «il triste ufficio di dire la verità agli uomini» deve essere libero da ogni legame che turbi la propria lucidità di giudizio.
Il senso della «vocazione» porta lhomme de la nature et de la vérité ad intraprendere una riforma personale (la cosiddetta grande révolution), sia esteriore che interiore, allo scopo di fornire «lesempio agli uomini della vita che, tutti, essi dovrebbero condurre» per divenire buoni cittadini; in virtù di questo suo proposito egli non sinchina davanti ai potenti del suo tempo affermando orgogliosamente lindipendenza delluomo di lettere: una discreta sicurezza economica (si mantiene facendo il copista di musica) gli garantisce la libertà di coscienza.
Ma la grande révolution è possibile soltanto lontano dal «frastuono» del mondo: con il suo ritiro in solitudine Rousseau indica agli uomini la via per ritrovare la propria interiorità nella purezza della propria coscienza; eccolo allora «dipingere» luomo naturale quale «lui stesso si sentiva di essere» assicurandoci daver detto sempre la verità, essendo «il suo cuore trasparente come il cristallo».
Può ben darsi che lo scrittore ginevrino sia stato sincero, pur avendo aggiunto alle cose reali «qualche indifferente ornamento»; ma è invece da escludere che egli sia stato virtuoso come si era ripromesso: oltre a non essere mai stato in grado di vincere le proprie inclinazioni per mancanza di senso del dovere, egli è costretto ad ammettere una nutrita serie di fatti ignobili e di menzogne, attribuendone la causa al suo carattere timido e vergognoso.
Ma, oltre alle giustificazioni, va dato merito a Rousseau di aver mosso nei confronti di se stesso una dura critica, essendosi descritto come «un uomo che adora la virtù senza praticarla, che ama ardentemente il bene e poi non lo compie».
Capitolo quarto Rousseau, homme de plaisir
«Il mio terzo figlio fu dunque messo ai «Trovatelli», come gli altri due; e fu lo stesso per i due che seguirono; infatti ne ho avuti cinque in tutto» .
IV. 1. I sensi di colpa di Jean Jacques
Fin dallinfanzia Rousseau ha avuto la sensazione del peccato di esistere: «Costai la vita a mia madre e la mia nascita fu la prima delle mie sventure» .
Non solo il piccolo Jean Jacques scopre dessere «un escluso privo della tenerezza materna» , ma egli si sente responsabile della morte della madre, avvenuta pochi giorni dopo la sua nascita.
I sensi di colpa, oltreché per il fatto sopracitato, anche per tutte le «estravaganze» di cui si è reso protagonista, hanno fatto oscillare Rousseau «tra la più estrema forma di narcisismo e lautopunizione, fino a precipitarlo nella nevrosi» . Ma lo scrittore concepisce possibile la sua «redenzione» attraverso «la confessione letteraria del fatto vergognoso e... lidealizzazione dellio buono, integro, incorrotto, di quel Jean Jacques che resta, malgrado tutti i suoi errori persuaso che, fra tutti gli uomini che ho conosciuto nella mia vita, nessuno è stato migliore di me» .
IV. 2. Madame de Warens, la bonne maman di Jean Jacques
Il 12 aprile 1778 Rousseau scrive allinizio della decima promenade (rimasta incompiuta): «Oggi, domenica delle Palme, ricorrono esattamente cinquantanni dal mio primo incontro con Madame de Warens» . Riviviamo, dunque, il primo incontro del giovane Jean Jacques (non aveva che sedici anni) con Madame de Warens, avvenuto ad Annecy nel 1728 (dopo che il nostro promeneur solitaire aveva lasciato la sua amata Ginevra):
Madame de Warens si voltò alla mia voce -ci racconta Rousseau- Vidi un viso pieno di grazia, dei begli occhi azzurri pieni di dolcezza, una carnagione splendente, le linee di un seno incantevole .
Tace nelle Rêveries ogni eco mondana; vi è posto per un solo ricordo radioso: quello di Madame de Warens. Ricordare questa donna significa per Jean Jacques ripensare a colei che soleva chiamare maman , avendo trovato in lei limmagine di quella madre che non aveva mai potuto conoscere ; ma vuol dire altresì rammemorare lunica figura femminile con cui lo scrittore ha potuto sentirsi veramente se stesso (infatti il suo rapporto con le altre donne è sempre stato problematico). Racconta Rousseau:
Non passa giorno che non ricordi con gioia e intenerimento quellunico e breve tempo della mia vita in cui fui pienamente me stesso, senza contaminazioni e ostacoli, e in cui posso dire veramente di avere vissuto .
Lo scrittore si sta riferendo ai soggiorni estivi alle Charmettes («un luogo... alla porta di Chambéry, ma ritirato e solitario come se si fosse a cento leghe») insieme alla sua maman; è stato questo per Rousseau «il soggiorno della felicità e dellinnocenza» (negli anni compresi tra il 1735 e il 1738); in «una casa isolata sul declivio di una valletta..., amato da una donna piena di compiacenza e di dolcezza... potei dare alla mia anima ancora semplice e nuova la forma che meglio le conveniva e che poi ha conservato per sempre» .
Durante questo periodo felice Jean Jacques, attraverso una serie di puntuali e precise letture (ricordiamo che la sua formazione è stata quella di un autodidatta), dà una sistemazione organica alla sua cultura, costruendo quel magasin dideés dal quale trarrà la linfa per le opere della maturità .
Ma veniamo ora a parlare del rapporto «morboso» tra il nostro promeneur solitaire e la sua maman che era per lui «più che una sorella, più che una madre, più che unamica, più che unamante» . Sarà proprio Madame de Warens ad insegnare al suo Piccolo larte dellamore (nel 1733); lo scrittore commenta così lepisodio:
Per la prima volta mi vidi tra le braccia di una donna e di una donna che adoravo. Fui felice? No, gustai il piacere. Non so quale tristezza invincibile ne avvelenava la bellezza. Mi sentivo come se avessi commesso un incesto. Due o tre volte, stringendola con passione tra le mie braccia, inondai il suo seno delle mie lacrime. Quanto a lei, non era né triste, né eccitata; era carezzevole e tranquilla. Poiché era poco sensuale, e non aveva cercato affatto la voluttà, non ne ebbe le delizie e non ne ha mai avuto i rimorsi .
Essendosi ben presto accorto di non essere il solo amante di Madame de Warens, Jean Jacques partecipa con entusiasmo al suo primo ménage a tre; ne fa parte anche Anet, il giardiniere di maman, una sorta di precettore per il giovane Rousseau che, grazie a questultimo, impara ad amare la botanica. «Così tra noi tre si formò una comunione, forse, senza altro esempio sulla terra», commenta lo scrittore ginevrino; poiché Anet «sapeva che io non pensavo, non sentivo, non respiravo che attraverso di lei (maman), mi mostrava quanto lamava, affinché io lo amassi ugualmente... Quante volte commosse i nostri cuori e ci fece abbracciare in lacrime, dicendoci che entrambi eravamo necessari alla felicità della sua vita» .
Ma Rousseau rifiuterà cinque anni dopo la stessa proposta: infatti quando, nel 1738, tornando da uno dei suoi soliti vagabondaggi, trova il suo posto (nel cuore di maman) occupato da «un insipidissimo biondino..., vuoto, stupido, ignorante, insolente, per il resto il miglior ragazzo del mondo», egli rivive il trauma della perdita della figura materna e non se la sente più di condividere il possesso di Madame de Warens con un altro uomo: «il vostro possesso mi è troppo caro per dividerlo» dirà lui stesso alla sua maman, provocando così la loro definitiva separazione (avvenuta nel 1742) .
Vedremo ora come anche il rapporto tra Jean Jacques e le altre donne sia stato sempre condizionato da questa ricerca incessante della figura materna.
IV. 3. Jean Jacques e le donne: un confronto inquietante
Nel leggere le Confessions abbiamo avuto limpressione che Rousseau abbia sempre sentito il rapporto con il femminile come minaccioso; per evitare il confronto con laltro sesso egli ha scelto come compagna Thérèse, «una donna stupida... e facile da ingannare» ; questa donna, in effetti, è una sorta di prolungamento del corpo di Jean Jacques; di fronte a lei lo scrittore non deve mai porsi il problema dellio, visto che confessa di non avere mai «sentito per lei la minima fiamma damore... e i bisogni dei sensi, che ho soddisfatto vicino a lei, sono stati per me soltanto quelli del sesso, senza riguardare per niente lindividuo...» . Evidentemente quando lhomme de plaisir afferma che «niente mostra meglio le vere tendenze di un uomo che il genere dei suoi affetti...» muove un duro rimprovero nei confronti di se stesso .
«Divorato dal bisogno damare senzaverlo mai potuto soddisfare...» , egli saccontenta dappagare i «bisogni dei sensi» con donne «facili» con le quali sia impossibile instaurare un vero rapporto amoroso ; ciò significherebbe doversi assumere delle responsabilità! «Il tratto saliente che caratterizza il legame di Rousseau con le donne amate -ci spiega E. Pulcini- risulta essere la delega di ogni iniziativa e dellintera gestione del rapporto amoroso allaltra, in una sorta di rinuncia a priori ad un confronto sentito come inquietante, fonte di... seducenti promesse, ma anche di... imprevedibili minacce». La profonda paura del femminile è dovuta alla «natura eminentemente sessuale della donna, caratterizzata da un desiderio incontinente e illimitato» .
Causa la sua estrema timidezza, lhomme de plaisir non osa chiedere quel che desidera; si limita a provocarlo o ad esibirsi, così come confessa daver fatto intorno ai sedici anni quando andava «a cercare dei viali bui, dei luoghi nascosti, dove da lontano potessi mostrarmi alle donne nello stato nel quale avrei voluto essere vicino a loro .
Quando J. Starobinski sostiene che «la soddisfazione (di Jean Jacques) consiste nella punizione che segue» a questi suoi «atti osceni in luogo pubblico» intende ricercare lorigine del suo esibizionismo in un episodio di cui Rousseau è stato protagonista nellinfanzia: quando la signorina Lambercier (uneducatrice) lo sculacciava il piccolo Jean Jacques dice daver provato «insieme al dolore e alla stessa vergogna... un misto di sensualità» cosicché «esser devoto ad unamante imperiosa, obbedire ai suoi ordini...» divenne il suo desiderio erotico più vivo .
In questo modo si spiegano le sue avventure sia con donne già «mature» che con prostitute ed il suo approfittarsi dellingenuità di ragazzine appena adolescenti ; e si comprende meglio anche il suo commento riguardo allamore che dice daver provato per la contessa Sophie dHoudetot: «la mia passione seguì la traccia della mia natura per finire col trascinarmi nellabisso» .
E chiaro che mentre lappagare la propria libido con ragazzine, prostitute e donne «mature» non implica nessun rischio (per di più con le ultime due è possibile delegare completamente liniziativa della relazione), linnamorarsi perdutamente di una persona porta con sé langoscia di non essere ricambiati o di venire un giorno abbandonati; perciò amare qualcuno significa mettersi in gioco completamente e senza riserve.
Lamore («il primo e lunico in tutta la mia vita...» ci assicura lo scrittore ginevrino) provato (e non ricambiato!) per Sophie fa cadere Rousseau in preda «ad uno sconvolgimento inconcepibile» : il solo pensiero di ricevere un bacio da quella donna «mi accendeva il sangue a tal punto che la mia testa si turbava, la vista mi si annebbiava, le ginocchia tremanti non potevano più sostenermi» . Tra Jean Jacques, Sophie e Saint-Lambert (lamante di questultima) si forma uno strano ménage a tre da intendersi secondo la spiegazione dello scrittore ginevrino:
Eravamo (io e Sophie) ebbri damore luno per laltro, lei per il suo amante, io per lei; i nostri sospiri, le nostre lacrime deliziose si confondevano... I nostri sentimenti erano così simili che non era possibile che in qualche cosa non si unissero .
Questo ménage a tre verrà idealizzato da Rousseau nella Nouvelle Héloïse, nei personaggi di Julie, Saint-Preux e Wolmar .
Il non volersi assumere delle responsabilità è una caratteristica peculiare, non soltanto del rapporto tra Jean Jacques e le donne, ma anche della sua relazione (inesistente!) con i figli. Vediamo ora insieme il perché.
IV. 4. Labbandono dei figli agli «Enfants Trouvés»
Verso la fine dellanno 1764 veniva diffuso un libello anonimo (in realtà scritto da Voltaire) nel quale lautore dellEmile viene descritto come un «saltimbanco (che) trascina dietro di sé... la sventurata di cui fece morire la madre e di cui espose i figli alla porta di un ospedale» .
In preda ad uno spaventoso «tumulto», Jean Jacques, dapprima nega pubblicamente lodioso abbandono dei figli , ma poi, tormentato da un profondo senso di colpa, si decide a confessare la scomoda verità.
Rimane senza dubbio sorprendente che un uomo come Rousseau che ha dato prova di grande delicatezza danimo e notevole sensibilità pedagogica nellopera intitolata Emile, sia stato capace di abbandonare le proprie creature in un desolato orfanotrofio.
Vediamo, dunque, come lo scrittore ginevrino ha cercato di giustificare il fatto ignobile in questione nei suoi scritti autobiografici.
Al momento della nascita del suo primo figlio (1746) Jean Jacques si trova a Parigi dove frequenta «persone messe sulla via del vizio» presso le quali «colui che maggiormente incrementava i trovatelli era il più applaudito» ; in conseguenza di questo lhomme de plaisir disse a se stesso: «Poiché è luso del paese, quando vi si vive, si può seguirlo. Ecco lespediente che cercavo» -confessa Jean Jacques, il quale, per lennesima volta attribuisce la colpa di un suo gesto ignobile allintera società.
In virtù di queste riflessioni il ragazzino che era stato privato delle tenerezze materne e che non aveva conosciuto, se non sporadicamente, laffetto paterno, ora divenuto adulto, decide dabbandonare i suoi cinque figli allorfanotrofio «senza il minimo scrupolo» , sostenendo, oltretutto, daver scelto «quello che era il meglio» per le sue creature, avendo trovato loro «una sistemazione buona, legittima e sensata» . Egli giustifica la sua sconcertante decisione sostenendo che era questo «lunico mezzo» per salvare lonore di Thérèse e daver agito da cittadino, avendo guardato se stesso «come un membro della Repubblica di Platone» .
Rousseau confessa il suo gesto a Diderot, a Grimm, alla signora dEpinay e alla signora di Luxembourg «a testa alta, con franchezza... quando potevo facilmente nasconderlo a tutti... Non feci alcun mistero della mia condotta, non soltanto perché non ho mai saputo nascondere niente agli amici, ma perché, in realtà, non ci vedevo niente di male» .
Ma tempo dopo il pensatore ginevrino sarà costretto a rivedere la sua posizione; infatti ammette:
La decisione che avevo presa riguardo ai miei figli, per quanto mi fosse sembrata ragionevole, non mi aveva sempre lasciato il cuore tranquillo... Sentivo daver trascurato i miei doveri, dai quali niente poteva dispensarmi. Il rimorso, alla fine, divenne così vivo che al principio dellEmilio mi strappò quasi la confessione pubblica .
Infatti Jean Jacques predica «a chiunque abbia viscere e trascuri doveri così santi, che verserà a lungo lacrime amare sulla sua colpa e non ne sarà mai consolato . Nonostante nelle Rêveries cerchi di rassicurare se stesso ( «So che nessun padre sarebbe stato tenero come quello che avrei potuto essere io per loro...» ), alla fine Rousseau cerca di dare una giustificazione plausibile al suo sconcertante gesto:
... fu la paura per essi di un destino mille volte peggiore... Incapace di allevarli io stesso sarebbe bisognato... lasciarli allevare dalla madre che li avrebbe guastati, e dalla sua famiglia, che ne avrebbe fatto dei mostri .
Dopo aver elencato le ragioni che Jean Jacques fa valere per darci ragione del fatto ignobile commesso, cerchiamo insieme di leggere tra le righe quali possono essere state le motivazioni di un simile gesto (ammesso che quello di cui stiamo parlando sia realmente accaduto e non sia soltanto una trovata letteraria rousseauiana allo scopo di stupire il lettore, dimostrandogli in questo modo la propria sincerità «senza esempio»).
Proviamo, dunque, a seguire la via indicata da Rousseau stesso nei Dialogues quando dice, riguardo alla condotta di Jean Jacques che «la sola incertezza del successo basterà a distoglierlo da ogni impresa di dubbio esito» .
Evidentemente dopo le due esperienze a dir poco fallimentari come precettore , Rousseau ha preferito rinunciare allardua impresa di educare i suoi figli, piuttosto che esporsi ai rischi di un ulteriore insuccesso; egli preferisce credere (o illudersi?) che avrebbe potuto essere un buon padre, piuttosto che disilludersi constatando concretamente la propria incapacità nellespletare questo delicato compito.
Starobinski osserva che nella sua vita Rousseau ha perseguito solo scopi immediati e che tutta la sua saggezza è consistita nel «rinunciare alle previsioni» e nell «attenersi unicamente al presente, il quale solo dipende da lui « .
Senza dubbio la politica del carpe diem è quella che meglio si addice al nostro homme de plaisir ; egli sostiene di essere intrepido semplicemente perchè non si è mai preoccupato delle conseguenze delle sue azioni; non è certo molto edificante questo genere di condotta per un uomo che avrebbe voluto porsi come esempio comportamentale nei confronti di tutti gli uomini desiderosi di divenire buoni cittadini! Ma, si sa, Rousseau è anche questo, e non solo questo:
Vi ho detto che Jean Jacques non era virtuoso -insiste Rousseau-. Il nostro uomo non lo sarà mai; e in qual modo, debole e schiavo delle proprie inclinazioni, potrebbe esserlo, non avendo per guida che il proprio cuore, mai il proprio dovere o la ragione?... Quando si trattasse di lottare contro le sue più care inclinazioni... per compiere il proprio dovere... dubito...(che) lo farebbe... (perché) la legge della natura, o almeno la sua voce, non arrivano fino a tal punto .
Non dimentichiamo, infine, che la totale assenza di una disciplina esteriore ed interiore, negli studi -era autodidatta- e nella vita, «gli esasperò quella tendenza all educazione sentimentale che (Rousseau) sperimentò in se stesso prima di giungere a teorizzarla. Egli portò in sé, nella vita e negli scritti, il fatto e le conseguenze di quella formazione istintiva -priva delle asperità positive del sapere costruire, che è saper essere- la quale si caratterizza per una fondamentale estenuazione, e proprio per ciò tende come sua rivalsa ad espressioni rivoluzionarie» .
Perciò i costumi «libertini» ereditati dal padre -il quale ha sempre trascurato il piccolo Jean Jacques tanto da abbandonarlo alletà di dieci anni- e le sue esperienze fallimentari come precettore hanno inciso fortemente sulla scelta sconcertante di abbandonare i propri figli; Rousseau ha cercato la «redenzione» attraverso la scrittura dellEmile e mediante la confessione letteraria.
IV. 5. Conclusioni
Nella personalità contraddittoria di Rousseau si nascondono lhomme de la nature et de la vérité, con la sua «vocazione» calvinista, e lhomme de plaisir, distintosi per il notevole grado di emancipazione dalle inibizioni religiose.
I fatti ignobili commessi, oltrechè la responsabilità che sente di aver avuto per la morte della madre, tormentano Jean Jacques il quale, però, concepisce possibile la «redenzione» attraverso la confessione letteraria delle sue colpe e mediante lidealizzazione del proprio io (si sente «il migliore» degli uomini).
Lessersi approfittato di una ragazzina appena adolescente, gli atti osceni in luogo pubblico, labbandono dei figli allorfanotrofio e i vari ménage a tre di cui è stato protagonista sono solo alcuni dei fatti ignobili di cui (noi, almeno, abbiamo avuto questimpressione) lhomme de plaisir accentua la gravità per dimostrare la propria «sincerità senza esempio» (si veda il patto con il lettore al cap. I, par. I).
La profonda paura della natura sessuale femminile e langoscia di poter fallire nelleducare i propri figli sono le cause principali delle scelte sconcertanti operate da Rousseau, un uomo che preferisce rinunciare ad assumersi le proprie responsabilità e «attenersi unicamente al presente, che solo dipende da lui», senza pensare alle conseguenze delle sue azioni; egli non ha il coraggio di vivere un rapporto amoroso serio, accontentandosi di appagare «i bisogni dei sensi» con donne «facili» (come Thérèse, una compagna da lui giudicata «una donna stupida... e facile da ingannare») o con delle prostitute.
Ma, almeno per una volta, Jean Jacques ammette di essersi innamorato di una donna: è la contessa Sophie dHoudetot, la cui presenza provoca in tutto il suo essere uno »sconvolgimento inconcepibile» che finì per trascinarlo »nellabisso», essendo il suo amore non ricambiato.
E per concludere una nota veramente positiva nella vita di Rousseau: si tratta di Madame de Warens, la sua bonne maman; in lei il giovane (la incontra per la prima volta appena sedicenne) ha trovato, non solo quella figura materna dolce e affettuosa che gli era sempre mancata, ma anche unamante che lo inizia alle gioie dellamore; in una «casa isolata sul declivio di una valletta» (alle Charmettes) Jean Jacques sostiene di aver trascorso i momenti più felici della sua vita, in quanto era in compagnia dellunica donna con la quale ha potuto sentirsi veramente se stesso.
Capitolo quinto Rousseau, promeneur solitaire
«Uscendo di casa sospiro la campagna e la solitudine... Non vedo che avversione sul viso degli uomini, e la natura mi sorride sempre» .
V. 1. La solitudine come ricerca della trasparenza e difesa dei diritti dellio
Rousseau amava definirsi un essere a parte; dicendo questo è come se avesse voluto porre se stesso al di fuori del proprio tempo per difendere «i gelosi spazi della libera e ribelle coscienza» ; perciò nella contrapposizione tra ciò che è anti-naturale (la società, intesa come regno della corruzione e del peccato) e ciò che è, invece, autentico, naturale e trasparente (Rousseau uomo e la natura) possiamo intravedere la difesa dei diritti sacri dellio.
«Non cè una sola regione al mondo in cui non sia un delitto osare rivendicare i diritti della natura, e in nessun luogo è permesso di essere uomini» -protesta Rousseau . Ma «le leggi eterne della natura e dellordine esistono. Esse tengono luogo di legge positiva al saggio; sono scritte in fondo al suo cuore dalla coscienza e dalla ragione; a quelle egli deve assoggettarsi per essere libero...» Infatti «la libertà non è in alcuna forma di governo, sta nel cuore delluomo libero, egli la porta dappertutto con sé. Luomo vile porta dappertutto la servitù» .
Da questa riflessione rousseauiana deduciamo che «...il valore essenziale delluomo non può essere determinato dalla società; egli lo ha in se stesso». Perciò «luomo, come lha fatto la natura, deve restare il dato originario» . Per Rousseau luomo che ha la consapevolezza dessere un valore in sé viene liberato dal peso delle etichette che la società gli conferisce, compresa quella di cittadino.
Con il «cittadino di Ginevra» ha inizio quel rapporto maledetto tra individuo e società che caratterizzerà tutta letà romantica; con la sua «completa rinuncia al mondo» (avvenuta al tempo della grande révolution) il nostro promeneur solitaire difende unindividualità di tipo conflittuale ed eccezionale; lanima romantica di Jean Jacques si evince dal seguente autoritratto:
Raggiunsi così i sedici anni, inquieto, scontento di tutto e di me, senza interesse per il mio stato, senza i piaceri della mia età, divorato da desideri di cui ignoravo loggetto, piangendo senza ragione di pianto, sospirando senza sapere il perché; infine carezzando teneramente le mie chimere, per non vedere attorno a me niente che valesse quanto loro .
Si evidenziano nel passo sopracitato le caratteristiche peculiari della cosiddetta anima romantica : insoddisfazione, inquietitudine, difficoltà dinserimento sociale e quindi amore per la natura, percepita come luogo privilegiato per la difesa della propria individualità.
Ma a che cosa è dovuta la viva propensione di Rousseau per la vita solitaria? Egli stesso lha spiegata a volte come desiderio di libertà e dindipendenza (nelle lettere a Malesherbes parla del suo «indomabile spirito di libertà» ), a volte come unincapacità innata alla vita sociale («Sono nato con un amore naturale per la solitudine che è aumentato man mano che conoscevo meglio gli uomini» riferisce nella stessa lettera ) e infine come desiderio devasione in unaltra realtà (tematica cardine delle Rêveries che affronteremo nel prossimo capitolo).
In tutti i casi Rousseau, immerso nel silenzioso mondo vegetale, si è sentito sempre lhomme de la nature, osando così contrapporre la sua bontà alle ipocrisie dei suoi contemporanei:
Per me è ormai dimostrato con lesperienza -recita Jean Jacques- che la condizione in cui mi sono ritirato è la sola in cui luomo possa vivere buono e felice poiché è la più indipendente da tutti e lunica in cui non ci si trova mai nella necessità di nuocere ad un altro per il proprio tornaconto .
Nei Dialogues Rousseau confuta la tesi di Diderot «Solo i cattivi sono soli» , distinguendo opportunamente tra una solitudine forzata e una solitudine voluta:
Sono disposto a credere che dei solitari per forza possano, rodendosi di dispetto e di rimpianto nel ritiro in cui sono trattenuti, diventare inumani, feroci, e prendere in odio, insieme con la loro prigionia, tutti quelli che, a differenza di loro, non ne sono oppressi. Ma coloro che vivono solitari per loro gusto e scelta sono per natura umani, ospitali, gentili. Non per odio verso gli uomini ma per amore di pace e di riposo, essi fuggono gli assembramenti e la confusione. Poi, il fatto di essersi privati a lungo della compagnia, gliela rende persino piacevole e dolce, quando si offre loro senza costrizioni .
Questa distinzione operata da Rousseau tra lumanità che contraddistingue colui che si è ritirato volontariamente in solitudine e linumanità di cui possono essere vittima dei solitari forzati è un invito a riflettere sulla sua condizione di promeneur solitaire che possiamo sintetizzare in tre momenti fondamentali:
- i vagabondaggi della giovinezza, che ci hanno mostrato un Jean Jacques spensierato e felice;
- il volontario ritiro in solitudine, frutto della «vocazione» rousseauiana (il suo progetto filosofico «rivoluzionario» esigeva un assoluto rititro), datato 9 aprile 1756 (allErmitage);
- la solitudine forzata che segna la vita dello scrittore dal 1762 (condanna dei suoi scritti e mandato darresto) al 1778 (anno della sua morte).
Ossessionato da un «complotto» contro la sua persona (dal 1762), Rousseau non ha più creduto nella possibilità di realizzare il suo progetto di assoluta trasparenza nella società in cui gli era toccato in sorte di vivere; egli, infatti, si è potuto sentire se stesso soltanto lontano dagli «attacchi dei... malvagi», ossìa in un luogo solitario e selvaggio tra «le braccia... della comune madre» (la natura). A tal proposito racconta lo scrittore:
Sino a tanto che gli uomini furono miei fratelli, mi facevo disegni di terrene gioie; tali disegni erano sempre relativi a tutto, non potendo essere felice che della contentezza pubblica, e mai lidea di una gioia particolare mi ha toccato il cuore, se non quando ho veduto i miei fratelli cercare la loro nella mia miseria. Allora... mi fu necessario fuggirli; allora, rifugiandomi presso la comune madre, ho cercato, nelle sue braccia, di sottrarmi agli attacchi dei suoi figli; sono diventato solitario o, comessi dicono, scontroso e misantropo, dato che una solitudine sì selvaggia mi sembra preferibile alla compagnia dei malvagi, la quale non si nutre che di tradimenti e dodio .
Evidentemente il sogno rousseauiano consisteva nel poter vivere in una società di uomini liberi e trasparenti gli uni agli altri; non essendosi realizzato egli ha preferito vivere isolato. Come dice bene Starobinski: «Se la trasparenza si realizza nella volontà generale, è da preferire luniverso sociale, se può compiersi solo nella vita solitaria, questultima è da preferire» .
In una società irrimediabilmente corrotta «tutto ciò che resta da fare al saggio... è allontanarsi dalla folla il più possibile e restare senza impazienza nel posto in cui lha messo il caso» . Incapace di simulare e di dissumulare, Jean Jacques cerca di dimostrarci che la sua solitudine è segno dinnocenza e di bontà.
Abbiamo avuto modo di constatare (nel cap. I) il grande successo ottenuto da Rousseau con le sue opere letterarie, musicali e teatrali; egli ha frequentato i migliori salotti parigini dal 1744 al 1756, eppure sentiva che non era quella la vita a cui aspirava:
A Parigi nel turbinio del gran mondo, nella sensualità dei pranzi, nello splendore degli spettacoli, nel fumo della vanità, i miei boschi, i miei ruscelli, le mie passeggiate solitarie venivano sempre a distrarmi con il loro ricordo, a rattristarmi, a strapparmi sospiri e desideri... Mi sentivo fatto per la campagna e la vita ritirata .
Per concudere possiamo senzaltro dire che il nostro promeneur solitaire ha una concezione solipsistica dellio: «Eccomi qui solo sulla terra non avendo altro fratello, prossimo, amico che me stesso» -recita allinizio delle Rêveries . E forse vero che nella solitudine è possibile ricercare una trasparenza altrimenti irrealizzabile in un mondo nel quale conta solo apparire e concordiamo anche sulla constatazione rousseauiana che «la coscienza è timida e paurosa e cerca la solitudine» , ma rimane pur sempre vero che una solitudine prolungata è un ripiego, in quanto ognuno di noi costruisce la propria personalità attraverso il confronto con gli altri (occorre avere, dunque, una concezione intersoggettiva dellio).
Rifugiarsi nella natura significa non voler essere giudicati, evitare di mettersi in discussione; a tal proposito Nietzsche ha sentenziato: «Ci troviamo così bene nella libera natura perché essa non ha alcuna opinione su di noi» . In effetti Rousseau identifica la natura con il silenzioso mondo vegetale: le piante non vedono, non ci guardano non giudicano in quanto sono ricettività assoluta; perciò lo scrittore ginevrino, rifugiandosi tra «le braccia... della comune madre» , evita dassumersi delle responsabilità. Non a caso Jean Jacques si è sentito veramente se stesso con Madame de Warens (che si prendeva cura di lui senza rischiose implicazioni sentimentali), nelle sue passeggiate solitarie e nei «paradisi terrestri» dove ha vissuto felice, senza preoccuparsi delle proprie responsabilità di «cittadino».
V. 2. I vagabondaggi al tempo della giovinezza
Nelle Confessions lo scrittore ginevrino ricorda con nostalgia i vagabondaggi della giovinezza tra la Svizzera, la Savoia e la Francia:
...mai sono stato tanto me stesso...(come nei viaggi che) ho fatto da solo e a piedi... La vista della campagna, il susseguirsi delle belle vedute, laria aperta, il grande appetito, la buona salute che acquisto camminando, la libertà dellosteria, lallontanamento da tutto ciò che mi fa sentire la mia dipendenza, tutto questo libera la mia anima... e mi lancia in certo modo nellimmensità degli esseri per combinarli, sceglierli, farli miei, senza soggezione e senza timore. Dispongo da padrone di tutta la natura .
Rousseau tende ad identificarsi con madre-natura, in quanto essa è larchetipo della bontà; egli «relegò nella sfera dellanti-natura i conflitti, le tensioni interiori, e quelle che considerava le loro cause esteriori. La netta antitesi tra natura e anti-natura gli si presentava soggettivamente, allorigine, come il frutto di traumi infantili, rivissuti nella memoria e ritenuti responsabili delle cadute irreparabili che avevano segnato tutto un destino» . Così Jean Jacques attribuisce ai costumi sociali la colpa della corruzione del suo animo buono e generoso; le sue scelte sconcertanti non sarebbero che la conseguenza dellinfluenza negativa della società; infatti egli dimostra che allontanandosi dalla fonte del male (la civiltà) può riacquistare la bontà che era stata il contrassegno di tutta la sua infanzia fino a quando non è stato soggiogato da cattivi maestri; in altri termini ritirandosi in solitudine o vagabondando luomo riscopre la sua vera natura e perciò non può più essere cattivo.
Vagabondare significa non dover rendere conto a nessuno e perciò liberarsi dalle «catene di ferro» imposte dalla società cosiddetta «civile».
Alla vigilia del suo primo vagabondaggio (da Annecy a Torino), Rousseau, appena sedicenne, osserva: «lidea di un grande viaggio lusingava la mia mania di nomadismo che già cominciava a manifestarsi « .
In virtù della sua ansia di libertà il nostro promeneur solitaire ha sempre rinunciato a dei «progetti dambizione dallesecuzione lenta, faticosa e incerta»: per esempio nel 1729 egli non esita ad interrompere la carriera diplomatica, decidendo dabbandonare Torino per ritornare ad Annecy tra le braccia di maman:
«Addio alla capitale, addio alla corte, allambizione, alla vanità, allamore, alle belle -afferma il giovane Jean Jacques- Parto con la mia fontana e il mio amico Bâcle (un libertino) con la borsa poco fornita, ma col cuore colmo di gioia e non pensando ad altro che a gioire di questa felicità girovaga...» E continua dicendo daver abbandonato «senza rimpianto... lattesa di una fortuna quasi assicurata, per cominciare, attirato dalla mia chimera, la vita di un vero vagabondo» .
Rousseau abbisogna di «torrenti, di rocce, di abeti, di boschi neri, di strade aspre da salire e da scendere, di precipizi ai miei lati che mi facciano paura...» Insomma «la vita nomade è quella di cui ho bisogno» -spiega lui stesso .
Il nostro vagabondo con spiccate tendenze libertine afferma di non aver mai temuto la povertà: «Nel corso di una vita ineguale e memorabile per le sue vicissitudini, spesso senza tetto e senza pane, ho sempre guardato con lo stesso occhio la miseria e lopulenza...» Anzi «proprio quando niente del necessario mi è mancato, allora mi sono sentito il più infelice dei mortali» .
I pochi soldi a disposizione abituano Jean Jacques ad una «semplicità di gusto» che lo ha reso compiutamente felice: «Non conosco niente di meglio che un pasto frugale. Con latte, uova, verdura, formaggio, pane scuro e vino passabile si è sicuri di trattarmi bene...» confida lo scrittore ; vedremo (nel cap. X del presente lavoro) che anche Emile si ciba di latticini e beve lacqua fresca di sorgente.
Il cibo del viandante deve essere «semplice, sano e naturale»: Jean Jacques vede nel latte «lunico alimento miracoloso, il resto è corruzione» ; inoltre egli «vedeva nei bambini una naturale propensione al vegetarianismo: la crudeltà è invece il prodotto dellingestione di carne... Ecco il sillogismo: i carnivori sono guerrieri e i vegetariani sono pacifisti» .
Ritenendosi un pacifista il nostro promeneur solitaire sale «su per le rocce e le montagne», sinoltra «nelle valli e nei boschi» per poter esclamare «con commozione» :
«O natura! O madre mia, eccomi sotto la tua protezione; qui non vi è nessun uomo abile e furbo che sinterponga tra te e me» .
Starobinski sostiene che il soggiorno di Rousseau allisola di Saint-Pierre (1765) è caratterizzato da una coincidenza degli opposti: lestrema miseria delluomo e lonnipotenza materna della natura .
Jean Jacques simmerge o, meglio, sidentifica con il silenzioso mondo vegetale, cosicché il paesaggio diventa lo specchio della sua anima; uno dei più bei paesaggi dellanima «dipinti» da questo spirito dolce e tormentato si trova nelle Rêveries e propone il parallelo tra la campagna deserta e la vecchiaia triste dello scrittore:
La campagna, ancora verde e ridente, ma in parte spoglia e quasi deserta, offriva dovunque il volto della solitudine e del prossimo inverno. Veniva dal suo aspetto unimpressione malinconica e insieme dolce, troppo analoga alla mia età per non dovermela paragonare. Mi vedevo al declino duna vita innocente e sfortunata, con lanima ancora piena di vivaci sentimenti, con lo spirito ancora ornato di qualche fiore, ma appassito dalla tristezza ed essicato dagli affanni .
Contemplando disinteressatamente le bellezze naturali, lhomme de la nature intravede i segni della presenza divina:
Mentre passeggiavo facevo la mia preghiera che era una sincera elevazione del cuore allAutore di questamabile natura... Non mi è mai piaciuto pregare in camera: mi sembra che i muri e tutte queste piccole opere degli uomini sinterpongano tra Dio e me. Amo contemplarlo nelle sue opere mentre il mio cuore sinnalza a lui .
La ricerca del rapporto immediato sia con la natura che con Dio rivela la «vocazione» segreta del «cittadino di Ginevra», divisa fra «il ritiro in spazi circoscritti e il moto continuo del promeneur solitaire» .
V. 3. La ricerca del «paradiso terrestre»
Negli ultimi anni della sua vita, un Rousseau, ormai vecchio e stanco, scriveva in una delle sue promenade:
Non credo di poter mai rivedere i bei paesaggi, le foreste, i laghi, i boschetti, le rocce, le montagne, il cui aspetto ha sempre commosso il mio cuore; ma ora che non posso correre quelle beate contrade, non ho che da aprire il mio erbario e subito vi sono trasportato. Le parti delle piante che vi ho colto bastano a rammemorarmi tutto un magnifico spettacolo. Questerbario... mi fa ricominciare le mie passeggiate con un nuovo incanto e mi produce leffetto duno strumento ottico che le dipingesse di nuovo ai miei occhi .
Condannato ad una «sorte tristissima tra quante abbia mai patito un mortale» , niente gli è più dolce che riandare con la memoria ai momenti più felici della sua vita durante i quali ha potuto sentirsi veramente lhomme de la nature; dopo aver parlato di Madame de Warens e dei vagabondaggi della giovinezza, ora prendiamo in considerazione i «tanti circoscritti orizzonti in cui al pensatore di Ginevra piacque tenacemente asserragliarsi» : sono stati questi per il nostro promeneur solitaire dei veri e propri «paradisi terrestri» in opposizione allinferno sociale, fonte di male e dinfelicità. Infatti «tutta la sua ricerca si configura... come ricerca dellhortus conclusus, del dovizioso giardino, di uno spazio che sia simbolo trasparente di una confortante interiorità» .
A conferma della tesi di L. Sozzi, oltreché della concezione solipsistica dellio propria di Jean Jacques, vi è il desiderio tipicamente rousseauiano di essere costretto dalle autorità politiche a rimanere in un dato luogo («paradisiaco») per il resto della vita:
Avrei voluto che di questasilo (lo scrittore si sta riferendo allisola di Saint-Pierre, dove ha trascorso un breve ma felice periodo di tempo nel 1765) mi facessero una prigione perpetua... e che sottraendomi ogni maniera e speranza di uscirne mi proibissero ogni sorta di comunicazione con la terraferma; di modo che, ignorando tutto quanto accadesse nel mondo, ne avrei dimenticato lesistenza, come il mondo la mia .
Vediamo, dunque, quali sono stati i «paradisi terrestri» in cui Rousseau avrebbe voluto veder realizzata la sua «vocazione» segreta, ossìa la reclusione perenne.
Rivisitiamo con la memoria il paese di Bossey, cercando di circoscrivere quei radiosi attimi deternità da cui si evince la felicità di Jean Jacques; qui, a pochi chilometri da Ginevra, egli ha cominciato ad ammirare le bellezze naturali, come ci racconta:
La campagna era per me uno spettacolo così nuovo che non mi stancavo mai di gioirne, e presi per essa una passione così grande che non si è potuta spegnere mai .
Dopo Bossey (dove lo scrittore ha vissuto un paio danni per poi fare ritorno a Ginevra), il giovane Jean Jacques ha la possibilità dammirare lo spettacolo della natura soltanto cinque anni più tardi (1729) ad Annecy, ospite di Madame de Warens; «... debbo ricordarmi del luogo: dopo lho spesso bagnato delle mie lacrime e coperto dei miei baci» -commenta il nostro promeneur solitaire; «... per la prima volta dopo Bossey avevo del verde davanti alla mia finestra... Consideravo questo incantevole paesaggio ancora come uno dei doni della mia cara padrona (maman): mi sembrava che ella lavesse messo là proprio per me... Il mio cuore, chiuso sino ad allora, si sentiva più aperto in tutto questo spazio e i miei sospiri sinnalzavano più liberamente tra questo verde» .
Ed è sempre insieme alla sua maman che Jean Jacques vivrà «la breve felicità della (sua) vita» alle Charmettes ; qui, nonostante la malattia («deperivo a vista docchio» ricorda lo scrittore, il quale era ossessionato dallidea di avere un polipo al cuore) egli fa lunghe passeggiate con Madame de Warens: «... andavamo di collina in collina e di bosco in bosco... dimenticandoci del tempo» -rammemora Jean Jacques . I due amanti erano soliti soggiornare alle Charmettes in primavera e in estate; lentusiasmo con cui Rousseau rivede «il luogo della felicità e dellinnocenza» , dopo aver creduto di essere ormai in fin di vita, è palese nel passo seguente:
La gioia con la quale rividi le prime gemme è inesprimibile. Rivedere la primavera era per me resuscitare in paradiso. Le nevi cominciavano appena a sciogliersi quando lasciammo la nostra prigione, e fummo abbastanza presto alle Charmettes per godervi i primi canti dellusignolo. Da quel momento non credetti più di dover morire .
Un altro dei luoghi selvaggi e solitari dove il «cittadino di Ginevra» ha potuto vivere libero è stato lErmitage, situato «al limite della foresta di Montmorency», divenuto il suo rifugio dopo la lunga parentesi parigina (dal 1744 al 1756 egli ha frequentato i migliori salotti della ville lumière); qui Rousseau ha trascorso «la stagione più dolce e più tranquilla» dal suo arrivo in Francia, avendo potuto gustare quella «vita indipendente, uguale e semplice» per la quale si sentiva nato . Non a caso Jean Jacques commenta nel seguente modo il suo ritiro in solitudine: «Non ho cominciato a vivere che dal 9 aprile 1756» ; inoltre egli spiega in una lettera a Malesherbes del 1762:
Quali periodi, signore, credete che io ricordi più spesso e più volentieri nei miei sogni? Non i piaceri della giovinezza, che furono troppo rari, troppo mescolati ad amarezze, e che sono ormai troppo lontani da me. Ricordo invece i giorni della mia solitudine, quelle giornate rapide ma deliziose che ho passato tutte intere da solo, con me stesso, con la mia buona e semplice governante, con il mio cane prediletto, la vecchia gatta, gli uccelli della campagna e le cerve della foresta, con la natura intera e il suo impercettibile Autore. Alzandomi prima del sole per poter contemplare la sua levata in giardino, quando vedevo cominciare una bella giornata la mia prima speranza era che né lettere, né visite venissero a turbarne lincanto .
Dopo circa un anno e mezzo trascorso allErmitage, Jean Jacques può nuovamente dedicarsi al suo «delirio campestre» trasferendosi dapprima nel giardino di Mont-Louis (dovegli racconta daver vissuto al freddo «senzaltro fuoco che quello del mio cuore» ) e successivamente nel castello del maresciallo di Luxembourg (amico intimo del re di Francia): «In questa profonda e deliziosa solitudine, in mezzo ai boschi e alle acque, ai concerti degli uccelli, al profumo dei fiori darancio», Rousseau si sente «nel paradiso terrestre»: «vi vivevo con infinita innocenza e vi godevo la stessa felicità» .
Infine immaginiamo di vedere il nostro promeneur solitaire che «nel bel mezzo» del lago di Bienne, «lungo disteso nella barca» si lascia «andare lentamente alla deriva, a capriccio dellacqua... immerso in mille fantasie confuse ma piacevolissime» . Il luogo di cui stiamo parlando è lisola di Saint-Pierre, dove Rousseau aveva trovato rifugio nel 1765 in seguito al lancio di pietre ad opera dei contadini di Môtiers contro la sua abitazione; questasilo meraviglioso «interessa ai contemplativi solitari, i quali amano inebriarsi a loro agio degli incanti della natura, raccogliersi in un silenzio che non turba altra voce se non il grido delle aquile, il gorgheggio interrotto di qualche uccello o lo scroscio dei torrenti che precipitano dalla montagna» . In questisola «fertile e solitaria» Jean Jacques assapora il piacere di esistere e scopre la felicità da intendersi come «una condizione semplice e duratura» in cui «si basta a se stessi come Dio».
Lasciamo, dunque, questanima romantica «sognare» a proprio «agio» nellisola «incantata», rimandando la trattazione del tema della felicità da lui provata nel prossimo capitolo.
V. 4. Conclusioni
Per difendere i diritti sacri dellio il nostro promeneur solitaire ha scelto la via del vagabondaggio (egli si sente un vero «vagabondo») e del ritiro in solitudine in «paradisi terrestri», lontano dal «frastuono» del mondo; egli osa contrapporre la propria bontà (avendo avuto la pretesa di identificarsi con la natura, percepita come larchetipo di ogni bontà) alla «malvagità» dei suoi contemporanei.
In realtà il sogno del «cittadino di Ginevra» consisteva nel poter vivere in una società di uomini liberi e trasparenti gli uni agli altri; non essendosi realizzato, egli ha preferito isolarsi procedendo così ad uno scavo interiore che gli ha fatto comprendere che «la libertà non è in alcuna forma di governo, sta nel cuore delluomo libero» perché «il valore... delluomo non può essere determinato dalla società» ma «egli lo ha in se stesso».
Rousseau ha spiegato la sua propensione alla vita solitaria a volte come desiderio di indipendenza, altre volte come incapacità innata alla vita sociale e infine come desiderio devasione in unaltra realtà. A tal proposito occorre operare una sacrosanta distinzione tra la sua «rinuncia al mondo» del 1756, frutto di una scelta volontaria, e la solitudine forzata a cui Jean Jacques è stato costretto dal 1762 (condanna dei suoi scritti e mandato darresto): la prima situazione è segno dinnocenza e dumanità, la seconda condizione, invece, può provocare linumanità e la ferocia del perseguitato (è lui stesso ad ammetterlo).
Vagabondare significa non dover rendere conto a nessuno; ai posti di lavoro più ambiti (che avrebbero richiesto un notevole senso di responsabilità) Rousseau preferisce la «felicità girovaga»: egli si accontenta di un «pasto frugale», del «susseguirsi delle belle vedute» (dalle quali scaturiscono i tanti «paesaggi dellanima» che lo hanno consacrato come il primo dei romantici) e soprattutto di poter intravedere attraverso le bellezze naturali i segni della presenza divina.
La ricerca del rapporto immediato, sia con la natura che con Dio, rivela la «vocazione» segreta di Jean Jacques «divisa fra «il ritiro in spazi circoscritti e il moto continuo del promeneur solitaire» (la sua è una concezione solipsistica dellio).
Durante gli anni tormentati della vecchiaia Rousseau, sfogliando il suo erbario, circoscrive con la memoria radiosi attimi di eternità: può così rivivere «con nuovo incanto» lo spettacolo della campagna che ha avuto la gioia dammirare a Bossey, ad Annecy e alle Charmettes, il «delirio campestre» provato allErmitage e a Mont-Louis e quella felicità, intesa come stato di autosufficienza, che ha potuto assaporare nellisola di Saint-Pierre.
Capitolo sesto Nel dolore la felicità: il ruolo costruttivo della rêverie
«Il male che mi hanno fatto gli uomini non mi tocca in nessun modo: la sola paura di quello che possono ancora farmi riesce a darmi qualche pensiero; ma sicuro che non hanno nessun nuovo pretesto per cui possano affliggermi con un sentimento durevole, mi rido di tutte le loro trame, e godo di me stesso a loro dispetto» .
VI. 1. Il delirio di persecuzione di Jean Jacques
Dal giugno 1762 sono tanti i fatti accaduti che hanno convinto Rousseau di essere vittima di un «complotto» : basti ricordare la condanna dellEmile, messo al rogo sia a Ginevra che a Parigi; da questultima città egli è costretto a fuggire causa il mandato darresto contro la sua persona; dopo pochi anni la sua casa di Môtiers viene presa a sassate; Voltaire lo accusa pubblicamente (nel libello anonimo del 1764) di essere «un padre snaturato» ; dallisola di Saint-Pierre gli viene ingiunto di allontanarsi perchè la sua presenza non è gradita; infine, nel 1771, la pubblica lettura delle sue Confessions gli viene vietata.
Ecco spiegate le ragioni per cui «lipotesi del complotto diviene (per Rousseau) il punto di partenza per linterpretazione del mondo» . Racconta Jean Jacques nella prima promenade:
Potevo supporre... che un giorno io ... sarei stato ritenuto, senza il minimo dubbio, un mostro, un assassino; che sarei diventato lorrore del genere umano, il trastullo della canaglia; che ogni saluto fattomi dai passanti sarebbe stato lo sputarmi addosso; che unintera generazione si sarebbe dilettata, per unanime accordo, a seppellirmi ancora vivo? Quando lo strano rivolgimento avvenne... inquietitudine e indignazione mi prostrarono in un delirio cui dieci anni non furono troppi per calmarsi .
Come quasi sempre accade, le persone intelligenti e i grandi artisti, essendo le loro opere difficilmente comprese dai loro contemporanei, vengono spesso derisi da quegli «spiriti mediocri» che li condannano impietosamente alla solitudine; è questo il caso del nostro Jean Jacques, il quale dopo essere stato «diffamato dal pulpito, chiamato lAnticristo e inseguito per la campagna come un lupo mannaro... era divenuto lo zimbello e il divertimento del suo tempo senza sapere né come né perché» .
Circa un secolo dopo la morte dello scrittore ginevrino, un altro artista «maledetto» chiamato Charles Baudelaire reciterà:
Il poeta è come quel principe delle nuvole (lalbatro)
che snobba la tempesta e se la ride dellarciere;
poi, in esilio sulla terra, tra gli scherni,
con le sue ali di gigante non riesce a camminare .
Così come Baudelaire, il nostro promeneur solitaire aveva affermato che soltanto «colui che, valicando il misero ambito dellinteresse personale e delle meschine passioni terrestri, si eleva sulle ali della fantasia al di sopra delle nebbie della nostra atmosfera, colui che... sa lanciarsi nelle regioni eteree... può da tale altezza sfidare i colpi della sorte e i giudizi insensati degli uomini « . Una volta, però che questalbatro sublime fa ritorno sulla terra, vedendosi deriso, preferisce fuggire gli uomini, non tanto spinto dallodio , quanto invece dalla paura: «non li fugge per far loro del male -spiega Rousseau- ma per tentare di evitare il male che vogliono fargli. Essi, al contrario, non lo cercano per amicizia, ma per odio» .
Il delirio di persecuzione di Rousseau si aggrava in quanto, come nella situazione descitta da Kafka ne Il processo, limputato «non conosce né le accuse che gli vengono mosse, né i suoi giudici» e si domanda per quale motivo «uno scandalo pubblico» debba restare soltanto per lui »un mistero impenetrabile» .
Rousseau sembra attribuire la responsabilità del «complotto» alla cosiddetta «cricca holbacchiana», diretta dal barone dHolbach, ma, più in particolare, presume «che Grimm e Diderot siano i primi autori di tutta la trama» .
Ma, in realtà il più implacabile nemico di Jean Jacques è proprio lui stesso, in quanto egli interpreta qualsiasi avvenimento come un ennesimo sgarbo contro la sua persona . Nelle Rêveries Rousseau confessa daver fatto sforzi incredibili per agguerrirsi «contro gli sguardi insultanti e derisori» ma invano perché «allorquando meno ci penso, un gesto, uno sguardo sinistro che scorgo, una parola velenosa che ascolto, un malevolo che incontro, bastano per sconvolgermi» .
Il 1776 è lanno in cui la crisi del «cittadino di Ginevra» rasenta la follia: alla disperata ricerca della «redenzione», egli vorrebbe depositare i suoi Dialogues sullaltare maggiore di Notre Dame; lo scritto è accompagnato da una preghiera:
Protettore degli oppressi, Dio di giustizia e verità, ricevi questo deposito che mette sul tuo altare e affida alla tua provvidenza uno sconosciuto sfortunato, solo, senza appoggi, senza difensori su questa terra, oltraggiato, deriso, diffamato, tradito da tutta una generazione, da quindici anni perseguitato da trattamenti peggiori della morte, da indegnità mai udite sinora tra gli uomini, senza mai averne potuto conoscere né il motivo né laccusa. Mi si rifiuta ogni spiegazione, mi si toglie ogni possibilità di comunicazione. Dagli uomini, inaspriti dalla loro stessa ingiustizia, non aspetto altro che affronti, menzogne e tradimenti.
Provvidenza eterna, sei la mia sola speranza: degnati di prendere il mio deposito sotto la tua custodia e di consegnarlo in mani giovani e fedeli, che lo trasmettano, esente da manipolazioni, a una generazione migliore .
Da questo messaggio a Dio sembrerebbe che Rousseau abbia perso ogni speranza dessere compreso dai suoi contemporanei; ma, invece, circa due mesi più tardi egli fa un ultimo tentativo distribuendo ai passanti una circolare intitolata A ogni francese che ami ancora la giustizia e la verità. «Non immaginavo -precisa lo scrittore ginevrino- che dopo aver letto un titolo simile qualcuno osasse rifiutarla; quasi nessuno laccettò».
Dopo aver subito questennesimo affronto, Jean Jacques si rassegna definitivamente «ad essere per sempre sfigurato» dagli uomini del suo secolo e conclude: «la mia felicità deve essere dun altro ordine: non è più presso gli uomini che la debbo cercare» .
VI. 2. Una luce nel buio: la gioia come conseguenza del dolore
Si dice che il buon uso delle avversità sia il segno del genio; è questa unaffermazione quanto mai appropriata per illustrare il caso singolare di Jean Jacques Rousseau che afferma:
...quando... gli uomini mi hanno ridotto a vivere da solo, ho trovato che, isolandomi per farmi miserevole, avevano fatto per la mia contentezza meglio di quello che non avevo saputo fare io stesso .
Infatti la condanna degli uomini ha contribuito a realizzare il progetto rousseauiano di assoluto ritiro; rotto ogni rapporto interpersonale, egli si libera dallinquietitudine della speranza:
Se i miei persecutori... avessero avuto la furbizia di lasciarmi qualche barlume di speranza, con questa mi terrebbero ancora; potrebbero ancora fare di me il loro trastullo con qualche falsa lusinga, e poi accasciarmi con un tormento sempre nuovo, a causa della mia aspettazione delusa. Ma essi hanno esaurito in anticipo tutte le loro risorse; non lasciandomi nulla, si sono tolti tutto a se stessi .
Non avendo più «nulla da sperare o da temere a questo mondo», Jean Jacques consacra i suoi «ultimi giorni a studiare (se) stesso», abbandonandosi «interamente alla dolcezza di conversare con la (sua) anima, la sola che gli uomini non possono sottrar(gli)» . Perciò «i rapimenti, le estasi che provavo talvolta passeggiando da solo, erano gioie che dovevo ai miei persecutori: senza di essi non avrei mai trovato e conosciuto i tesori che portavo in me» .
Starobinski ha spiegato come avviene nellanimo del pensatore ginevrino il passaggio dalla più profonda disperazione alla gioia intensa: «il rimedio del male, la guarigione attraverso il male: questo apparente paradosso percorre tutta lopera di Rousseau e, dopo aver assunto diverse figure, si fissa nelle passeggiate nel suo aspetto definitivo» . Non a caso nellottava promenade Rousseau svela il vero significato della rêverie (fantasticheria) consistente nel convertire «il dolore in gioia»:
... in tutte le miserie della vita mi sentivo costantemente pieno di sentimenti teneri, commossi, deliziosi, che versando un balsamo salutare sulle piaghe del mio cuore sembravano convertirne il dolore in gioia .
Lasciamo ancora la parola a Starobinski: »Rousseau pratica qui la politica del tanto peggio tanto meglio: è convinto che il male (che gli altri esercitano) sia al colmo; il complotto universale... è irrimediabile, almeno nella presente generazione» . E questa una constatazione che il nostro promeneur solitaire ripete instancabilmente; visto che il male subito non può più essere aumentato, «eccomi tranquillo in fondo allabisso, povero mortale sventurato, ma impassibile come lo stesso Dio...» -conclude Rousseau . Continua Starobiski: «Rousseau ha bisogno di questo sfondo di tenebre per inserirvi con risalto la figura luminosa della sua innocenza e della sua felicità. Persecuzione e disperazione, però, non sono soltanto il fondale del palcoscenico, ma anche la materia prima che lalchimia della fantasticheria trasformerà a poco a poco in luce incorruttibile» . Ne risulta che la persecuzione più crudele degli uomini corrisponde allinnocenza più pura di Rousseau: è, infatti, lui stesso ad offrirsi al «coltello sacrificale per acquistare la purezza della vittima», in virtù del suo «bisogno / angoscia» dessere giudicato un mostro dagli uomini e innocente da Dio .
Riguardo al male subito, Rousseau lo interpreta «a volte come un mezzo che prepara e condiziona lavvento di un bene futuro, a volte come il sintomo diretto di una superiorità attuale dellio, affermata da una sovrana dominazione da lui esercitata sui suoi persecutori in quanto essi, cercando soddisfazione nei mali che infliggono a Jean Jacques, finiscono per dipendere da lui». Infine il male viene interpretato anche «come un riposo, perchè quando tutto è compiuto è impossibile un aggravamento della persecuzione (e) la sofferenza, giunta allestremo limite, è sempre uguale a se stessa e questa continuità rappresenta una specie di calma, uno stato immutabile che ha qualcosa di divino» .
VI. 3. La felicità come stato di autosufficienza e la felicità dellattesa
Nella Nouvelle Héloïse (1761) Rousseau scrive: «Non si è felici che prima di essere felici» ; questo tipo di felicità, inteso come ricerca di una dimensione deliziosamente inquieta per ciò che ancora non è (più esattamente «Non esiste nulla di bello se non ciò che non esiste» ) lascerà il posto, nellarco della vita del pensatore ginevrino, ad una felicità statica, intesa come «una condizione semplice e duratura» in cui «si basta a se stessi come Dio» .
Tale è la felicità che il nostro promeneur solitaire ha provato sull isola di Saint-Pierre; da questa suggestiva esperienza egli ha compreso, non solo che «la fonte della vera gioia sta in noi» , ma anche che solo facendosi infinitamente assenti è possibile conoscere se stessi: «... bisogna che il cuore sia in pace, e che nessuna passione ne venga a turbare la calma...» -raccomanda Jean Jacques. Da questo si deduce facilmente che felicità e virtù sono inscindibili, intendendo questultima come «il rientrare in se stessi e ascoltare la voce della propria coscienza nel silenzio delle passioni» . Perciò la sensazione dellesistenza è «il frutto miracoloso delloblio di se stessi» . Chiediamo, dunque, a Rousseau dilluminarci a proposito dellemozione di vivere in un «presente prolungato» :
... se cè una condizione in cui lanima trova un assetto abbastanza solido per riposarvisi interamente e raccogliervi tutto il proprio essere, senzavere bisogno di rammemorare il passato o di anticipare sul futuro, dove il tempo presente non sia nulla per lei, dovesso presente continui a durare, senza nondimeno far notare la sua durata e senza nessuna traccia di successione, senza nessun altro sentimento di privazione o di desiderio che quello solo della nostra esistenza, e che questo sentimento da solo possa colmarla per intero; sino a tanto che questa condizione dura, colui che vi si trova possiamo chiamarlo felice, non duna gioia imperfetta, povera e relativa, come quella provata nei piaceri della vita, ma duna gioia bastevole, piena e perfetta, che non lascia nellanima nessun vuoto che senta il bisogno di colmare. Tale è la condizione in cui mi sono trovato sovente nellisola di Saint-Pierre .
Starobinski ha osservato che la felicità di cui ha potuto godere Jean Jacques non può essere proposta come esempio universale, in quanto è la conseguenza di una feroce persecuzione .
Questa sua ricerca incessante della felicità in un angolo di solitudine proviene (è Rousseau stesso a dircelo) «da un cuore troppo sensibile, affettuoso e tenero, che per non trovare chi gli rassomigli, è costretto ad alimentarsi di finzioni». Questo «amore per gli oggetti immaginari» trova le sue origini nel periodo dellinfanzia in cui il piccolo Jean Jacques era solito immedesimarsi e soffrire per le «sventure irreali» degli eroi protagonisti dei romanzi di Plutarco, letti in compagnia del padre Isaac. Racconta a tal proposito Rousseau:
Di qui si formò nel mio (cuore) quel gusto eroico e romanzesco che è sempre aumentato fino ad oggi e che finì per farmi provare disgusto di tutto quello che non assomigliava alle mie follie .
Il Rousseau che si rifugia sullisola «nel bel mezzo» del lago di Bienne è, dunque, un «sognatore» che, per essere felice, ha bisogno di «nutrirsi di piacevoli chimere» tanto da non accorgersi della «linea di separazione tra le cose finte e quelle vere» cosicché risponde al vero la definizione della sua vita come «una lunga fantasticheria divisa in capitoli dalle mie passeggiate di ogni giorno» . Allo stesso modo il Rousseau che sente avvicinarsi la sua ultima ora concepisce la solitudine come desiderio devasione in unaltra realtà :
... vedendo che era divenuto lo zimbello e il divertimento del suo tempo senza sapere né come né perché, comprese che invecchiando in mezzo allodio di tutti non poteva sperare più nulla dagli uomini, e aprendo troppo tardi gli occhi sulle illusioni che lo avevano ingannato per tanto tempo si abbandonò completamente a quelle che poteva realizzare ogni giorno, e finì per alimentare con pure chimere quel suo cuore che il bisogno damare aveva sempre divorato. Tutti i suoi piaceri, tutte le sue passioni hanno per oggetto qualcosa che è in unaltra sfera, mentre alla nostra quelluomo tiene meno di qualunque altro mortale che io conosca .
Sul finire della sua vita, tutta la saggezza del «cittadino di Ginevra» è consistita nelladottare una morale negativa: «mi astengo dallazione» -spiega lo scrittore. «Infatti ogni mia debolezza sta nellazione (in quanto lazione comporta delle conseguenze che sfuggono al nostro controllo), la mia forza è negativa, e tutti i miei peccati sono atti omessi, non commessi. Non ho mai pensato che la libertà delluomo consista nel fare quello che vuole, ma piuttosto nel non fare mai quello che non vuole» . Da questo punto di vista lultimo Rousseau, «essere puramente passivo» , è la concretizzazione di quel selvaggio teorizzato nel Discours sur linégalité parmi les hommes (1754), che abbandonandosi al solo sentimento dellesistenza, non aspirava che alla «quiete» e alla «libertà» e che viveva «in se stesso», senzaver bisogno di nessuno, tantomeno di ammiratori .
Perciò ad una gioia intesa come «una condizione fuggevole, che ci lascia ancora vuoto e inquieto il cuore, che ci fa rimpiangere qualcosa prima, o desiderare ancora qualcosa dopo», il nostro promeneur solitaire contrappone «una gioia bastevole, piena e perfetta» .
Ma non è certo questo il genere di felicità (statica) che avrebbe potuto appagare lautore della Nouvelle Héloïse negli anni tra il 1756 ed il 1761: la protagonosta del romanzo, Julie, sostiene che «vivere senza soffrire non è una condizione umana; vivere così è come essere morti»; infatti «si gode meno di ciò che si ottiene che di ciò che si spera, non si è felici che prima di essere felici» . E questa lidea da cui Leopardi trarrà la poesia del Sabato del villaggio .
Appurato che «lattesa della domenica» non potrà mai essere appagata, Rousseau ha preferito rinunciare, durante il corso della sua vita, alla realizzazione di molti dei suoi desideri per il timore di restare deluso: infatti è meglio vivere delle gioie che vengono dallattesa di un bene che ci si ripromette di conseguire, perchè quel bene, una volta conseguito, si rivelerà tuttaltro che piacevole. Così Jean Jacques può felicemente affermare di aver amato troppo Sophie dHoudetot per desiderare di possederla : «la rinuncia...è imposta dallaltezza del desiderio" .
Così come Leopardi dirà che «limmaginazione è la prima fonte della felicità umana» , il nostro Jean Jacques scrive nella Nouvelle Héloïse che la realtà è sempre inferiore alle speranze e ai sogni, in quanto limmaginazione è «facoltà creatrice, adorna, esalta e idealizza gli oggetti del desiderio, ma agisce solo in absentia, non opera più quando loggetto è posseduto» . A tal proposito Rousseau racconta:
Limpossibilità di raggiungere gli esseri reali mi gettò nel paese delle chimere; e, non vedendo niente di esistente che fosse degno del mio delirio, lo nutrii in un mondo ideale che la mia immaginazione creatrice popolò ben presto secondo il mio cuore... Del tutto dimentico della razza umana mi feci delle compagnie perfette, celestiali per la loro virtù e per la loro bellezza, degli amici sicuri, teneri, fedeli come non ne ho mai trovati quaggiù .
Il «paese delle chimere» è lunica alternativa possibile ad un mondo composto di uomini divenuti, loro malgrado, prudenti e simulatori cosicché Jean Jacques si forma, «seguendo la... fantasia un secolo doro» : in questo modo nasce una comunità di uomini disinteressati e felici descritta sia nalla Nouvelle Héloïse che nel Contrat social.
Esaltando la funzione dellillusione in quanto creatrice di modelli assoluti, il pensatore ginevrino rivaluta (proprio nel secolo »dei Lumi»!) il ruolo attivo e costruttivo della fantasia e dellimmaginazione; in base a queste considerazioni L. Sozzi propone la tesi di un Rousseau anti-illuminista:
La distanza tra Jean Jacques e gli Enciclopedisti rimane incolmabile, proprio in merito... a quellidea di illusione che vuol dire non solo sogno e fantasia ma anche... avversione al reale, e, perché no, culto dellerrore... Rousseau è anti-illuminista in quanto ritiene che il partito confessionale come il partito razionalistico... di fatto convergono in quanto solidali nellassunzione dello stesso atteggiamento intollerante e fanatico .
Ma daltra parte Rousseau è anche illuminista «nel senso che vuole anchegli éclairer, o piuttosto séclairer en dedans, cioè portare lindagine esplorativa e discriminativa negli spazi dellio. E illuminista, ma perchè rimpiange (lo dice nella Profession de foi) la clarté des lumières primitives. La sua stessa avversione alle tenebre, più volte dichiarata, può intendersi in chiave simbolica, come spia del suo amore dei Lumi» .
Riassumendo: mentre lo studio delluomo avvicina Rousseau ai philosophes, lavversione al reale contribuisce a far del «cittadino di Ginevra» un essere a parte che, nonostante il destino avverso, ha saputo trovare la felicità dentro di sé, dimostrando così che «non dipende dagli uomini di rendere veramente miserevole chi sa voler essere felice» .
Ma la felicità come stato di autosufficienza è, in fin dei conti, un ripiego: infatti «non concepisco che colui che non ha bisogno di nulla possa amare qualche cosa: non concepisco che colui che non ama niente possa essere felice» -scrive Rousseau nellEmile (1762); ed aggiunge:
Un essere veramente felice è un essere solitario; Dio solo gode di una felicità assoluta: ma chi di noi ne ha lidea? Se qualche essere imperfetto potesse bastare a se stesso, di che godrebbe egli, secondo noi? Sarebbe solo, sarebbe miserabile .
Ora lo sappiamo: il sogno di Jean Jacques non consisteva nel ritirarsi in solitudine bensì nel poter essere se stesso (e quindi felice), pur rimanendo con gli altri: «frammezzo a tanti visi allegri son sicuro che non cè un cuore che superi il mio in contentezza» -assicura lui stesso . Perciò «non solamente vogliamo essere felici, vogliamo anche la felicità altrui, e quando tale felicità non costa nulla alla nostra, laumenta» .
E degno di nota che il nostro promeneur solitaire, proprio durante gli ultimi giorni della sua vita, ha espresso un desiderio, rimasto purtroppo inesaudito; noi ci limitiamo a trascriverlo qui di seguito:
Se avessi ancora qualche momento di pure carezze venute dal cuore, non fosse che da un fanciullo in vestina; se potessi vedere ancora negli occhi di qualcuno la gioia e la contentezza di essere con me, di quanti mali, di quante pene mi ricompenserebbero quelle brevi ma dolci espansioni del mio cuore! Non sarei obbligato a cercare frammezzo agli animali lo sguardo della benevolenza, negatomi ormai frammezzo agli uomini .
VI. 4. Conclusioni
Dal giugno 1762 Rousseau si sente vittima di un «complotto universale» organizzato dai philosophes (facenti parte della «cricca holbacchiana») i quali, oltre a considerarlo «un padre snaturato» (Voltaire), «un mostro» (Diderot) e «la vergogna del genere umano» (Hume), non esitano a deriderlo, cosicché egli si convince di essere diventato «lo zimbello e il divertimento del suo tempo».
In preda ad un vero e proprio delirio di persecuzione, Jean Jacques si rassegna a poco a poco «ad essere per sempre sfigurato» dai suoi simili adottando una «morale negativa» (si astiene completamente dallagire); questa condanna degli uomini lo libera dallinquietitudine della speranza (di «redenzione»), contribuendo nel realizzare la sua «vocazione» segreta di un assoluto ritiro.
Il nostro promeneur solitaire, ormai «solo sulla terra», si abbandona al piacere di fantasticare convertendo così il dolore in gioia (è questo il significato profondo della rêverie): egli si sente «tranquillo in fondo allabisso» in quanto il male, giunto al culmine, non può più accrescersi.
Questo «amore per gli oggetti immaginari» è da ricercare nel Rousseau bambino, capace dimmedesimarsi e di soffrire per «le sventure irreali» degli eroi protagonisti dei romanzi di Plutarco.
Nellisola di Saint-Pierre lo scrittore ginevrino scopre la felicità come una condizione di autosufficienza, da intendersi come «uno stato semplice e duraturo (in cui) si basta a se stessi come Dio»; ma questo genere di felicità è unillusione in quanto colui che non ha bisogno di nulla non può amare nulla e colui che non ama niente non potrà mai essere felice; infatti il sogno di Rousseau consisteva nel poter essere «quello che ha voluto la natura» pur rimanendo con gli altri.
Esiste comunque un altro tipo di felicità da lui provata: la felicità dellattesa; egli la teorizza nella Nouvelle Héloïse quando afferma che «si gode meno di ciò che si ottiene che di ciò che si spera»; perciò «non si è felici che prima di essere felici», in quanto limmaginazione non opera più quando loggetto è posseduto.
Esaltando la funzione dellillusione (in quanto facoltà creatrice di modelli assoluti), il pensatore ginevrino rivaluta (proprio nel secolo «dei Lumi»!) il ruolo attivo e costruttivo della fantasia e dellimmaginazione; lavversione al reale che ne consegue avvalora la tesi di un Rousseau anti-illuminista (proposta da L. Sozzi).
PARTE SECONDA
Luomo di Rousseau
Capitolo settimo Critica alla società dei Lumi
O Dio Onnipotente, tu che tieni nelle tue mani gli spiriti, liberaci dai Lumi e dalle funeste arti dei nostri padri, e rendici lignoranza, linnocenza e la povertà, i soli beni che possan fare la nostra felicità e che sian preziosi al tuo cospetto .
VII. 1. La polemica tra Rousseau e i philosophes
Interrogandosi sul quesito proposto nel 1749 dallAccademia di Digione, Se la rinascita delle scienze e delle arti ha contribuito a migliorare i costumi, Rousseau scrive nel Discours sur les sciences et les arts:
Preveggo che difficilmente mi si perdonerà il partito che sto per prendere. Urtando di fronte tutto ciò che oggi forma lammirazione degli uomini non posso aspettarmi che un biasimo universale .
Fornendo una risposta negativa alla questione sopracitata Jean Jacques dimostra di non preoccuparsi di piacere né ai begli spiriti né alla gente di moda ; a differenza dei philosophes, i quali collaboravano spesso con i governanti del tempo dei Lumi, il cittadino di Ginevra, spirito libero e repubblicano , afferma solennemente lindipendenza delluomo di lettere, in quanto niente di grande può uscire da una penna del tutto venale . Aggiunge Rousseau: Ogni artista vuole essere applaudito... (cosicché) egli abbasserà il suo genio al livello del suo secolo, e preferirà comporre lavori banali che si ammirino nel corso della sua vita, anziché meraviglie che non si ammirerebbero se non molto tempo dopo la sua morte.
Il pensatore ginevrino critica una società nella quale conta solo apparire: mille premi per i bei discorsi, nessuno per le belle azioni... Non si domanda più di un uomo se abbia onestà, ma se abbia ingegno .
Ci sembra ora doveroso spiegare che cosè lilluminismo e qual è il posto occupato da Rousseau nel panorama culturale settecentesco.
Le origini dellilluminismo sono da ricercare in quel movimento clandestino che nel Seicento veniva denominato Libertinage che trova la sua maggiore formulazione teorica nel Dictionnaire historique et critique (1697) di Pierre Bayle: in questopera vengono formulati i presupposti fondamentali dellatteggiamento critico nei confronti della tradizione, caratteristica peculiare del movimento illuminista; infatti lilluminismo è luscita delluomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso -come disse bene Kant. Minorità è lincapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro... Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti del tuo proprio intelletto! è il motto dellilluminismo . E evidente che quando Kant sostiene che occorre servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro intende dire che luomo deve rifiutare qualsiasi tipo di autorità (perciò anche lautorità degli antichi che a quel tempo era ancora fortissima).
Non dobbiamo, comunque, pensare che la corrente illuminista sia stata una realtà omogenea in tutta lEuropa; infatti, mentre lilluminismo inglese è caratterizzato dalla rigorosa autolimitazione della ragione nei limiti dellesperienza, e perciò prende a prestito la ragione lockiana , Rousseau e i philosophes si serviranno nelle loro speculazioni filosofiche della ragione cartesiana, intesa come una forza infallibile, unica ed onnipotente .
Intorno alla metà del secolo XVIII, oltre a Diderot e a DAlembert, anche il nostro Jean Jacques collabora alla stesura dellEncyclopédie , opera monumentale che rappresenta la summa del sapere illuministico; ma nonostante questo suo contributo, il cittadino di Ginevra occupa un posto a parte rispetto ai philosophes, in quanto egli pensa che lilluminismo non sia il promotore di una reale crescita culturale ma solo di un diffuso nozionismo fatto di opinioni e di sofismi; a tal proposito osserva Rousseau:
Nel nostro secolo... non si studia più; si sogna e ci danno gravemente per filosofia i sogni di alcune cattive notti. Mi si dirà che sogno anchio: ne convengo: ma -ciò che gli altri si guardano bene dal fare- io dò i miei sogni per sogni, lasciando cercare al lettore se hanno qualche cosa di utile per le persone sveglie .
In un secolo di guerre dinastiche , in cui lopinione pubblica non aveva nessuna importanza, gli illuministi francesi, compreso Rousseau, sentono fortissima lesigenza di trasformare lordine sociale; ma, mentre i philosophes sostengono che il progresso scientifico e artistico ha contribuito allelevazione morale delluomo , il cittadino di Ginevra è convinto che il carattere innaturale del sapere scientifico e della cultura artistico-letteraria abbia condotto alla perdita della purezza originaria dei costumi dellumanità; in altri termini, i beni che lumanità crede di avere acquistato hanno allontanato luomo dalla virtù e dalla sua natura originaria.
VII. 2. Le scienze e le arti devono la loro nascita allo sviluppo dei nostri vizi
Secondo Rousseau le scienze e le arti introducono nella società, attraverso la ricchezza e il lusso, la mollezza che guasta i costumi:
... le nostre anime si sono corrotte a misura che le nostre arti sono progredite verso la perfezione... Si è vista la virtù fuggirsene a misura che la luce loro sinnalzava sul nostro orizzonte, e lo stesso fenomeno è stato osservato in tutti i tempi e in tutti i luoghi .
Il pensatore ginevrino dimostra che anche le civiltà antiche (come lEgitto e la Grecia), una volta raggiunte la raffinatezza e il lusso, fatalmente sono declinate; questo è successo in quanto le scienze e le arti devono la loro nascita ai nostri vizi ed hanno contribuito a rinforzarli:
... lastronomia è nata dalla superstizione; leloquenza dallambizione, dallodio, dalladulazione, dalla menzogna; la geometria dallavarizia; la fisica da una vana curiosità; tutte, e la morale stessa, dallorgoglio umano .
Sotto questaspetto Jean Jacques avvalora la tesi di Mandeville che nella Favola delle api (1705) aveva affermato:
... né le qualità amabili né i sentimenti che sono naturali nelluomo né le reali virtù che egli è capace di acquisire con la ragione e la rinuncia sono il fondamento della società, ma ciò che noi chiamiamo male, sia morale sia naturale, è il gran principio che ci rende creature socievoli, la solida base, la linfa vitale e il sostegno di ogni commercio e di ogni mestiere, senza eccezione alcuna; che è là che dobbiamo ricercare la vera origine di tutte le arti e di tutte le scienze e che nel momento in cui il male cessa, la società risulta impoverita, se non totalmente dissolta .
Ma mentre Mandeville sostiene che i vizi sono una caratteristica peculiare della società civile in generale (anzi una caratteristica positiva perché è pur vero che il lusso è un vizio ma produce lincremento di tutte le attività umane), Rousseau afferma che tutti questi vizi non appartengono tanto alluomo (infatti luomo è buono per natura) quanto alluomo mal governato .
A questo riguardo Howells ha parlato di determinismo sociale rousseauiano . Non a caso, infatti, Jean Jacques scrive, perfino nelle sue Confessions, che comunque ci si comportasse nessun popolo sarebbe mai stato altro da quello che la natura del suo governo lo avrebbe fatto essere . Insomma il problema morale sidentifica con quello politico: ... avevo visto che tutto, sostanzialmente, dipendeva dalla politica -sostiene Rousseau. Bisogna studiare la società attraverso gli uomini, e gli uomini attraverso la società: quelli che vorranno trattare separatamente la politica e la morale non capiranno mai nulla di nessuna delle due .
Cassirer ha esaminato con grande acume la tematica della teodicea nel pensiero rousseauiano (ne Il problema G. G. Rousseau): lingiustizia umana -afferma il cittadino di Ginevra- è opera degli uomini, non di Dio . Infatti tutto è bene, uscendo dalle mani dellAutore delle cose, tutto degenera tra le mani delluomo . E soltanto grazie ad unorganizzazione politica equa che è possibile risolvere il problema della teodicea.
Rousseau vuole dimostrare che luomo è buono per natura e che è solo a causa del formarsi di stupide istituzioni civili che gli uomini diventano cattivi . Perciò lo sviluppo dei vizi non si applica tanto alluomo quanto invece ad una determinata civiltà . E. Garin ha giustamente notato che la tesi relativa alla bontà naturale delluomo è uno dei pilastri della dottrina rousseauiana:
Mettiamo come massima incontestabile -scrive lhomme de la nature- che i primi movimenti della natura siano sempre diritti: non cè affatto perversità originaria nel cuore umano; non vi si trova un sol vizio di cui non si possa dire come e perché si è contratto .
VII. 3. Le scienze e le arti alimentano lipocrisia, il lusso e il conformismo
La speculazione filosofica rousseauiana ruota intorno al problema della schiavitù delluomo civile:
Luomo è nato libero, e ovunque è in catene. Anche chi si crede padrone degli altri, non è per questo meno schiavo di loro .
Tutta la nostra saggezza consiste in pregiudizi servili; tutti i nostri usi non sono che soggezione, fastidio e imbarazzo. Luomo civile nasce, vive e muore nella schiavitù: alla nascita lo simprigiona nelle fasce; alla morte lo si inchioda in una bara; e fino a che serba uneffigie umana, è incatenato dalle nostre istituzioni .
Nel Discours sur les sciences et les arts Rousseau accusa lintellettualità dellepoca di aver contribuito, collaborando con il potere politico, nel rendere apparentemente legittime le catene che i cittadini (meglio sarebbe dire gli schiavi) sono costretti a portare:
Mentre il governo e le leggi provvedono alla sicurezza e al benessere degli uomini consociati, le scienze e le arti, meno dispotiche e forse più potenti, stendono ghirlande di fiori sulle catene di ferro ondessi son carichi, soffocano in loro il sentimento di quella libertà originaria per la quale sembravan nati, fan loro amare la loro schiavitù e ne formano i cosiddetti popoli civili. Il bisogno innalzò i troni, le scienze e le arti li hanno rafforzati .
In questo modo le scienze e le arti contribuiscono alla diffusione di una piaga molto comune a tutte le società civili: il conformismo; analizzando questo fenomeno Rousseau pone in evidenza il vero dramma delluomo moderno: il conflitto interiore tra essere e sembrare; a tal proposito egli scrive:
Oggi, che ricerche più sottili e un gusto più fine hanno ridotto a principii larte di piacere, regna nei nostri costumi una vile e ingannevole uniformità, e tutti gli spiriti sembrano essere stati fusi in uno stesso stampo... Non si osa più apparire ciò che si è : e, in questa costrizione continua, gli uomini, che formano quel gregge che si chiama società, posti nelle stesse circostanze, faran tutti le stesse cose .
Rousseau è convinto che il male sia dovuto allassenza di trasparenza nei rapporti tra gli uomini:
I sospetti, le ombrosità, le paure, la freddezza, la circospezione, lodio, il tradimento si nasconderanno continuamente sotto questo velo uniforme e perfido di cortesia, sotto questa urbanità tanto decantata che dobbiamo alla luce di civiltà del nostro secolo .
Come abbiamo già avuto modo di osservare (nel cap. II), la polemica del cittadino di Ginevra contro i ricchi e felici di questo mondo è dovuta al suo rancore di plebeo povero, inasprito che entrando nel mondo ha trovato tutti i posti già presi e non ha potuto farsi il suo .
Rousseau addita nel lusso il fondamentale capo del suo atto daccusa contro la società francese dellepoca; scrive H. Taine sul conto di Jean Jacques:
... leleganza gli spiace, il lusso gli dà fastidio, la cortesia gli sembra una menzogna, la conversazione una chiacchiera inutile..., la scienza una ciarlataneria, la filosofia unaffettazione... Tutto è fittizio, falso e malsano... Questa civiltà che si applaude del proprio splendore, non è che un balletto di scimmie sovraeccitate e servilli che si imitano le une le altre e si corrompono le une le altre per arrivare con la raffinatezza e il lusso al disagio e alla noia... Chiamateli dunque con il loro vero nome questa eleganza, questo lusso... che il pregiudizio ammira come il fiore della vita umana; essi non ne sono che la muffa. Egualmente giudicate per quel che vale lo sciame che se ne nutre, voglio dire laristocrazia oziosa, tutto il bel mondo..., gli oziosi da salotto che chiacchierano, si divertono e si credono la crema dellumanità; essi non ne sono che i parassiti .
Nel Discours sur linégalité parmi les hommes (1754) Rousseau rincara la dose:
Il lusso... è il peggiore di tutti i mali, in qualsiasi stato, grande o piccolo che possa essere; per nutrire una quantità di servi e di miserabili che ha creati, opprime e rovina lagricoltore e il cittadino .
Nella società dei Lumi non esistono più i cittadini così come Jean Jacques li intende; gli unici degni dessere chiamati con questo nome sono i contadini che praticano la prima e la più rispettabile di tutte di tutte le arti : lagricoltura ; scrive il ginevrino in proposito:
Noi abbiamo tanti fisici, geometri, chimici, astronomi, poeti, musici, pittori: ma non abbiamo più cittadini; o, se ce ne restano ancora, dispersi nelle nostre campagne abbandonate, vi muiono poveri e spregiati. Tale è lo stato in cui sono ridotti, tali i sentimenti che ottengono da noi coloro che ci danno il pane e danno il latte ai nostri figli .
VII. 4. La diseguaglianza tra gli uomini
Nella Prefazione al Narcisse, Rousseau riconosce che, per quanto riguarda il problema del male, non si possono attribuire tutte le colpe al progresso delle scienze e delle arti:
Le scienze non hanno fatto dunque tutto il male, vi hanno soltanto contribuito in larga parte; e la loro caratteristica più propria sta nellaver dato ai nostri vizi una tinta piacevole, una certa aria onesta in modo da impedirci di averne orrore .
Ma già in una lettera del pensatore ginevrino, risalente allanno 1751 e indirizzata al re di Polonia S. Leszczynski, si legge:
La fonte prima del male è la diseguaglianza; dalla diseguaglianza sono venute le ricchezze... Dalle ricchezze sono nati il lusso e lozio; dal lusso sono venute le belle arti e dallozio le scienze .
Indubbiamente la sopracitata tesi capovolge quella insita nel primo Discours: è il segno, sia pure appena accennato, dellapprofondirsi della sua indagine delle cause profonde dei mali della società contemporanea .
In una filippica, facente parte dellarticolo Economie politique (1754), Rousseau attacca duramente lideologia della classe dominante, mettendo bene in evidenza tutte le contraddizioni del sistema sociale:
Tutti i vantaggi della società non sono forse per i potenti e per i ricchi? Tutti gli impieghi lucrosi non sono ricoperti soltanto da loro? Tutte le esenzioni, tutti i favori non sono riservati ad essi soltanto? E lautorità pubblica non è tutta in loro favore? Se un uomo dalto rango deruba i suoi creditori o fa altre mascalzonate, non è sempre sicuro dellimpunità? Le bastonate che distribuisce, le violenze che commette, perfino gli assassinii di cui si rende colpevole, non vengono forse insabbiati e messi a tacere, sicché in capo a sei mesi nessuno ne parla più? Ma se questo stesso individuo viene derubato, tutta la polizia si mette subito in movimento, e guai agli innocenti che egli sospetta... Un carrettiere si trova sulla sua strada? I suoi uomini sono pronti ad accopparlo; e si preferisce veder schiacciati cinquanta onesti pedoni che se ne vanno per i fatti loro, anziché vedere costretto ad un ritardo lequipaggio di un ozioso fannullone. Tanti riguardi non gli costano un soldo; sono il diritto del ricco, e non il prezzo della ricchezza.
Comè diverso il quadro del povero! Più lumanità gli deve, più la società gli rifiuta; tutte le porte gli sono chiuse, anche quando avrebbe il diritto di farle aprire; e se talvolta ottiene giustizia, gli costa maggior fatica di quanta ne costerebbe ad un altro ottenere la grazia; se ci sono da fare servizi forzosi, soldati da arruolare, è a lui che si dà la precedenza; porta sempre, oltre al suo carico, quello da cui il suo vicino più riesce a farsi esentare; al minimo incidente che gli capita tutti si allontanano da lui... Insomma, quando ne ha bisogno gli viene a mancare ogni assistenza gratuita, precisamente perché non ha di che pagarla; ma lo ritengo un uomo finito se ha la disgrazia davere un animo onesto, una figlia graziosa e un vicino potente .
Se chiedessimo al nostro Jean Jacques di tracciare un quadro della società del suo tempo è molto probabile che ci risponderebbe nel seguente modo:
... pur in mezzo a tanta filosofia, a tanta umanità e civiltà e a tante massime sublimi noi finiamo con lavere soltanto unapparenza esterna falsa e frivola, onore senza virtù, ragione senza saggezza e piacere senza felicità .
VII. 5. Conclusioni
Latteggiamento critico nei confronti della tradizione e lesigenza di trasformazione dellordine sociale sono due capisaldi che accumunano il pensiero rousseauiano a quello dei philosophes (seppure questi ultimi si accontentino di riformare solo in parte la società dei Lumi).
Ma, mentre Rousseau afferma lindipendenza delluomo di lettere, gli illuministi francesi, collaborando con il potere politico, contribuiscono nel rendere apparentemente legittime le catene di ferro che gli uomini sono costretti a portare; una piaga sociale denominata conformismo rende gli uomini prudenti e simulatori, cosicché tutti gli spiriti sembrano essere stati fusi in uno stesso stampo.
Secondo Jean Jacques lilluminismo non è promotore di una reale crescita culturale ma solo di un diffuso nozionismo fatto di sofismi; molto meglio la primitiva ignoranza e la semplicità delluomo primitivo. Lungi dallaver contribuito allelevazione morale delluomo, i progressi del sapere scientifico e della cultura artistico-letteraria hanno corrotto irrimediabilmente luomo, allontanandolo dalla sua natura originaria; non a caso, le scienze e le arti devono la loro nascita ai nostri vizi; ma lo sviluppo dei vizi avviene, non tanto negli individui ma nei popoli.
Affermando che tutto è bene, uscendo dalle mani dell'Autore delle cose, tutto degenera tra le mani delluomo, Rousseau dà la sua personale interpretazione al problema della teodicea; il male è dovuto allassenza di trasparenza nei rapporti tra gli uomini e si può eliminare soltanto attraverso unorganizzazione politica equa; perciò il problema morale sidentifica con quello politico.
Inasprito dalle umiliazioni subite al tempo della giovinezza, Rousseau attacca nelle scienze e nelle arti lideologia della classe dominante: sono gli aristocratici i veri parassiti dellumanità, mentre gli unici veri cittadini rimasti sono i contadini che stanno morendo di fame nelle nostre campagne abbandonate e praticano la più utile di tutte le arti: lagricoltura.
Capitolo ottavo La science de lhomme
Ecco ora lo studio che cimporta; ma, per farlo bene, bisogna cominciare col conoscere il cuore umano .
VIII. 1. Lo scavo interiore di Rousseau: una pietra di paragone per lo studio
del cuore umano
Lévi-Strauss ha visto in Rousseau il fondatore dellodierna scienza delluomo , ossìa la più utile e meno progredita di tutte le conoscenze umane ; in effetti linteresse per luomo si colloca al centro della ricerca rousseauiana:
Per Rousseau linteresse primordiale delluomo è luomo. Luomo e la sua vita nella filosofia di Rousseau, si colloca in primo piano... La domanda Chi sono io? precede il problema di Dio. La domanda Che cosè luomo? precede il problema della natura... Il suo pensiero è ben più psicologico che metafisico. E antropocentrico. La concezione del mondo viene dopo quella delluomo, così come i problemi personali precedono in lui i problemi della natura umana in generale. E lesperienza personale che lo porta alle aspirazioni cosmiche .
Nei suoi scritti autobiografici Jean Jacques ha voluto mostrare ai suoi simili un uomo in tutta la verità della natura , ossìa descrivendo se stesso ha preteso di dipingere luomo naturale . Seguendo lo stesso metodo, il pensatore ginevrino ha commesso lerrore di esaminare la condotta degli uomini interpretandone il comportamento in base al proprio intimo .
Nel cercare di scoprire le segrete disposizioni della sua anima, Rousseau si accorge che ciò che si vede non è che la minima parte di ciò che si è: è leffetto apparente di una causa interna nascosta e spesso molto complicata ; questa causa interna nascosta è quel che S. Freud chiamerà inconscio: da questo punto di vista possiamo ben dire che il nostro Jean Jacques abbia posto le basi di quella che diverrà la moderna psicologia.
VIII. 2. Le ragioni del cuore
Seguendo il pensiero di SantAgostino, di Pascal e di Rousseau, possiamo intravedere una nuova concezione delluomo; gli illuministi hanno posto nella ragione la vera natura delluomo, ma per conoscere veramente se stessi occorre ascoltare il proprio cuore:
Ama e fa ciò che vuoi diceva S. Agostino;
Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce recitava Pascal .
Allo stesso modo Rousseau alla domanda Chi sono? risponde Sento il mio cuore .
NellEmile il pensatore ginevrino specifica che noi sentiamo necessariamente prima di conoscere... Gli atti della coscienza non sono giudizi ma sentimenti ; la natura umana è più sentimento che ragione e perciò, se si vogliono conoscere gli uomini, occorre saper leggere nel loro cuore.
Anche se luomo è prima di tutto sensazione e sentimento, non dobbiamo dimenticare che la ragione ha una funzione importante perchè dovrà guidare listinto e i sentimenti; infatti è soltanto grazie alleducazione naturale delineata nell Emile che luomo come lha fatto la natura imparerà gradualmente ad usare la ragione senza linfluenza negativa della società in cui vive.
VIII. 3. Per essere se stessi bisogna agire come si parla
Abbiamo detto nel capitolo precedente che il dramma delluomo moderno consiste nel conflitto interiore tra essere e sembrare; Rousseau si presenta come colui che è in grado di risolvere questo conflitto, come spiega lui stesso in una lettera a Beaumont:
Appena fui in grado di osservare gli uomini li guardai agire, e li ascoltai parlare; poi vedendo che le loro azioni non assomigliavano affatto ai loro discorsi, cercai la ragione di questa dissomiglianza e mi resi conto che essere e parere essendo per loro cose tanto differenti quanto agire e parlare, questa seconda differenza era la causa dellaltra e aveva essa medesima una causa che mi restava da cercare. La trovai nel nostro ordine sociale, il quale, del tutto contrario alla natura che niente distrugge, la tiranneggia senza posa e le fa senza posa rivendicare i suoi diritti. Seguii questa contraddizione nelle sue conseguenze e vidi che essa spiegava da sola tutti i vizi degli uomini e tutti i mali della società. Donde conclusi che non era necessario supporre luomo per sua natura malvagio, dato che era possibile determinare lorigine e il progresso della sua malvagità .
Lintento del pensatore ginevrino consiste nel ripercorrere la storia delluomo a partire dai comportamenti umani segnati dalla contraddizione essere-sembrare; evidentemente il male (inteso come assenza di trasparenza nei rapporti tra gli uomini) è da ricercare nel momento del passaggio dallo stato naturale allo stato civile.
In fondo conoscere gli uomini non è poi così difficile: bisogna guardarli agire piuttosto che sentirli parlare; è soltanto studiando la storia che possiamo giudicare gli uomini sui fatti. Scrive, infatti, Jean Jacques che nel mondo gli uomini mostrano i loro discorsi e nascondono le loro azioni: ma nella storia queste sono rivelate e si giudicano sui fatti .
VIII. 4. Conclusioni
Concordi con Lévi-Strauss, riteniamo Rousseau il fondatore dellodierna science de lhomme, pur avendo commesso lerrore di interpretare il comportamento degli uomini in base al proprio intimo.
E possibile conoscere se stessi ascoltando il proprio cuore, in quanto la natura umana è più sentimento che ragione; quanto agli altri uomini non è poi così difficile conoscerli: bisogna guardarli agire piuttosto che sentirli parlare ed è soltanto studiando la storia che possiamo veramente giudicarli sui fatti.
Capitolo nono Il selvaggio e il cittadino
Luomo selvaggio non aspira che alla quiete e alla libertà, altro non vuole che vivere e restare in ozio... Il cittadino, al contrario, è sempre attivo, suda, si agita, lavora fino alla morte; fa la corte ai potenti che odia e ai ricchi che disprezza, non si risparmia per ottenere lonore di servirli, si vanta orgogliosamente della propria bassezza e della loro protezione; e, fiero della propria schiavitù, parla con disprezzo di quelli che non hanno lonore di condividerla .
IX. 1. Il ritorno allo stato di natura
Per conoscere bene un carattere bisogna distinguere in esso ciò che è naturale da ciò che è acquisito . Per poter operare questa distinzione occorre sapere comè luomo naturale ma non è impresa da poco distinguere gli elementi originari da ciò che vi è di artificiale nella natura attuale delluomo, e conoscere a fondo uno stato che non esiste più, che forse non è esistito, che probabilmente non esisterà mai, ma del quale è tuttavia necessario avere nozioni giuste per poter valutare bene il nostro stato presente .
Lo stato di natura rappresenta, non tanto uno stadio di sviluppo dellumanità storicamente determinato, quanto piuttosto un criterio direttivo: questo stato serve agli uomini per comprendere che cosa lumanità è diventata e che cosa sarebbe potuta diventare.
Rousseau crede nella possibilità di riattingere luomo vero; così nel 1753 egli si reca in una foresta nei pressi di Parigi per darsi la possibilità di pensare (grazie a ragionamenti ipotetici e funzionali, non certo su basi storiche ) alluomo naturale:
Tuffato nella foresta... osavo mettere a nudo la... natura (degli uomini), seguire il progresso del tempo e delle cose che lhanno sfigurata; e, confrontando luomo delluomo con luomo naturale, mostrar loro nel suo preteso perfezionamento la vera sorgente delle sue miserie .
Uomo, -recita il cittadino di Ginevra in apertura di secondo Discours- di qualunque paese tu sia, e quali che siano le tue opinioni, ascolta: ecco la tua storia quale mè parso di leggerla, non nei libri, che sono menzogneri, ma nella natura che non mente mai .
Veniamo, dunque, ad analizzare questo stato extra-storico, pre-umano e pre-morale (un vero e proprio grado zero dellumanità, secondo una felice definizione di Starobinski). Innanzi tutto occorre precisare che luomo naturale (così come lo descrive Rousseau) non è né socievole, né insocievole; vive una vita puramente di sensazioni ed ha dei bisogni che gli vengono soddisfatti dalla natura; è perciò un essere autosufficiente e libero. E pur vero che luomo primitivo dipende dalla natura ma la natura è un padrone impersonale; a tal proposito scrive R. Derathé:
Lo stato di natura contrapposto allo stato civile... non è una condizione di isolamento o di solitudine, ma di semplice indipendenza... Riconoscerlo equivale ad affermare che nessuno per natura è soggetto allautorità di un altro e a sostenere che gli uomini nascono liberi e uguali. Generalmente negato da quanti sostengono la teoria del diritto divino, questo principio accumuna invece tutti i filosofi della scuola del diritto naturale .
Vedremo nel cap. XI del presente lavoro come lintento di Rousseau sia consistito nel riportare nella società la positività e limpersonalità della condizione naturale di modo che luomo non dipenda più da nessun suo simile.
IX. 2. Dallo stato naturale allo stato civile
Supponete una primavera perpetua sulla terra, supponete dappertutto dellacqua, del bestiame, dei pascoli, supponete gli uomini che escono dalle mani della natura, una volta dispersi e circondati da queste cose: non riesco ad immaginarmi come abbiano rinunciato alla loro libertà primitiva ed abbandonato la vita solitaria e pastorale, così conveniente alla loro naturale indolenza, per imporsi senza necessità la schiavitù, il lavoro, le miserie, inseparabili dallo stato sociale .
Ma se lo stato naturale era una condizione così idilliaca per luomo comè stato possibile il passaggio allo stato civile? Rousseau spiega che luomo, essendo per sua natura un essere perfettibile (e ciò lo distingue dagli animali), è spinto ad andare sempre oltre il proprio orizzonte e le proprie esperienze, cosicché fatalmente incontra delle difficoltà per superare le quali sente il bisogno di essere aiutato da altri: ecco come avviene lassociarsi delluomo. Scrive Jean Jacques:
Finché gli uomini si accontentarono delle loro rustiche capanne, finché si limitarono a cucirsi gli abiti di pelli con spine e legacci, ad ornarsi di piume e di conchiglie, a dipingersi il corpo con vari colori, a perfezionare o abbellire i loro archi e le loro frecce, a costruirsi con pietre acuminate le loro barche da pesca o qualche rudimentale strumento musicale; finché insomma si dedicarono soltanto a lavori che un uomo poteva eseguire da solo e ad arti che non richiedevano il concorso di parecchie mani, vissero liberi, sani, buoni e felici, per quanto stava nella loro natura e continuarono a godere tra loro la dolcezza di rapporti indipendenti .
Ora il pensatore ginevrino viene a delineare il caso funesto che ha determinato la nascita della società civile: la proprietà privata.
Il primo che, dopo aver recintato un terreno, pensò di dire Questo è mio, e trovò altri tanto ingenui da credergli, fu il vero fondatore della società civile. Quanti crimini, conflitti, omicidi, quante miserie e quanti orrori avrebbe risparmiato al genere umano colui che, strappando i paletti o colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: Guardatevi dal dare ascolto a questimpostore; siete perduti se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra non è di nessuno .
La nascita della proprietà privata causa la rottura delluguaglianza naturale cosicché il lavoro divenne necessario e le vaste foreste si tramutarono in ridenti campagne, che bisognò irrigare col sudore umano, e nelle quali si videro ben presto la schiavitù e la miseria germogliare e crescere insieme alle messi .
A conseguenza di ciò la società nascente cedeva il posto al più orribile stato di guerra . Per uscire da questa situazione di tipo hobbesiano nella quale tutti rischiano la vita, gli uomini stipulano tra loro un patto iniquo : iniquo in quanto i ricchi hanno cercato di giustificare ideologicamente la proprietà organizzando il sistema sociale in funzione di essa; in altri termini i ricchi fecero di unabile usurpazione un diritto irrevocabile .
Naturalmente la fondazione di una società rese indispensabile quella di tutte le altre:ne derivarono le guerre nazionali e tutti quegli orribili pregiudizi che collocano tra le virtù lonore di spargere il sangue umano. Le persone più oneste impararono a includere tra i loro doveri quello di sgozzare i propri simili .
IX. 3. Meglio la vita civile o la vita naturale?
Io chiedo quale, fra la vita civile e quella naturale, è più soggetta a diventare insopportabile a coloro che ne godono. Attorno a noi vediamo per lo più gente che si lamenta della propria esistenza; parecchi, addirittura, cercano... di togliersi la vita... Io chiedo se si è mai sentito dire che un selvaggio in libertà abbia anche soltanto pensato a lamentarsi della vita e a darsi la morte .
Anche se Rousseau preferisce il selvaggio al cittadino delletà dei Lumi, questo non significa che gli uomini debbano tornare a vivere nelle foreste con gli orsi ; infatti luomo ideale del ginevrino non è assolutamente luomo naturale ma un essere morale che vive in società (sintende una nuova società, diversa da quella attuale) e che sa anteporre il proprio dovere allinteresse personale.
Quali sono le differenze essenziali tra il selvaggio e il cittadino?
1. Il selvaggio, nonostante venga considerato da Rousseau un animale stupido e limitato , conosce soltanto lamor di sé consistente nellistinto di conservazione e nel sentimento di pietà, due impulsi anteriori allo sviluppo della ragione. Il cittadino, pur essendo intelligente e responsabile, è corrotto, infelice e ipocrita; in una parola è posseduto dallamor proprio che è il fondamento di tutte le passioni negative (spirito di emulazione, desiderio di essere competitivo e tutti i falsi valori, ossìa i beni di opinione).
2. Essendo molto sviluppato nel selvaggio il sentimento di pietà , egli è altruista e spontaneo; mentre luomo civile, avendo fatto un cattivo uso della propria ragione, è spesso indifferente alla sorte dei suoi simili.
Quanto allabuso della ragione e della riflessione, che contribuisce a rendere gli uomini prudenti e simulatori, Rousseau osa quasi affermare che la riflessione è contro natura e che luomo che medita è un animale depravato ; e aggiunge:
E la ragione che genera lamor proprio, ed è la riflessione che lo rafforza; è essa che fa ripiegare luomo su se stesso, e allontana da tutto ciò che lo turba e lo affligge. E la filosofia che lo isola perché è essa che gli fa dire in segreto di fronte ad un uomo che soffre: Muori pure; io sono al sicuro... Si può tranquillamente sgozzare un suo simile sotto le sue finestre, ed egli non farà altro che tapparsi le orecchie e ragionare un poco per impedire alla natura che si rivolta in lui di farlo identificare con la vittima.
Il selvaggio non ha questa ammirevole capacità; e, per mancanza di saggezza e di ragione, lo si vede sempre abbandonarsi senza pensarci al primo sentimento di umanità. Nelle sommosse, nelle risse di strada, è il popolino che si assembra, mentre luomo prudente si allontana .
Fra i giusnaturalisti la natura è considerata razionale; è col pensiero rousseauiano che comincia a sentirsi la difficoltà dellidentificazione del naturale col razionale: infatti, a parere di Rousseau, la riflessione è contro natura; e continua:
La scienza non è fatta per luomo in generale. Nella sua ricerca egli si smarrisce incessantemente, e se talvolta la raggiunge, è quasi sempre a suo danno. E nato per agire e pensare, e non per riflettere. La riflessione serve solo a renderlo infelice senza renderlo migliore né più saggio; gli fa rimpiangere i beni passati e gli impedisce di godere del presente, gli mostra un avvenire felice per sedurlo con limmaginazione e tormentarlo con i desideri, e un avvenire infelice per farglielo provare in anticipo .
3. Non avendo nessuna idea dellavvenire, il selvaggio si abbandona al sentimento dellesistenza ; il cittadino, invece, è in possesso di una falsa saggezza che lo rende infelice:
Che mania è mai questa, per un essere effimero come luomo, di rivolgere sempre lo sguardo a un lontano avvenire, che tanto raramente vede giungere, e di trascurare il presente di cui è ben certo!
4. Il selvaggio non aspira che alla quiete e alla libertà, altro non vuole che vivere e restare in ozio... Il cittadino, al contrario, è sempre attivo, suda, si agita, si tormenta continuamente nella ricerca di occupazioni sempre più laboriose, lavora fino alla morte...; fa la corte ai potenti che odia e ai ricchi che disprezza, non si risparmia per ottenere lonore di servirli, si vanta orgogliosamente della propria bassezza e della loro protezione; e, fiero della propria schiavitù, parla con disprezzo di quelli che non hanno lonore di condividerla .
5. Il selvaggio vive in se stesso e non ha bisogno di nessuno; il cittadino vive sempre al di fuori di sé, sa vivere unicamente dellopinione degli altri, ed è, per così dire, soltanto dal loro giudizio che egli trae il sentimento della propria esistenza ; avendo bisogno di tutti (e soprattutto di ammiratori), luomo di mondo è tutto quanto nella sua maschera .
6. Nel selvaggio i desideri non oltrepassano i bisogni fisici; i soli beni che conosca nelluniverso sono il cibo, una femmina e il riposo ; i desideri del cittadino si moltiplicano insieme alla sua debolezza. E la perfettibilità che trae luomo fuori dalla sua natura originaria ed è la competizione che lo spinge a cercare il suo bene nel male altrui.
Ma la saggezza umana o la via della vera felicità esiste: essa consiste nel diminuire leccesso dei desideri sulle facoltà, e nel mettere in eguaglianza perfetta la potenza e la volontà . Ed è questa anche la via che conduce alla libertà in quanto chiunque desidera poco dipende da pochi .
In fin dei conti ciò che rende luomo essenzialmente buono è di avere pochi bisogni e di paragonarsi poco agli altri; ciò che lo rende essenzialmente cattivo è di avere molti bisogni e di dipendere molto dallopinione . Secondo Rousseau, infatti, ogni cattiveria procede da debolezza... Colui che potesse tutto non farebbe mai del male .
IX. 4. Conclusioni
Secondo Rousseau luomo è diventato lupus con lentrata in società, ma luomo naturale è buono; occorre, quindi, distinguere ciò che è naturale da ciò che è artificale nelluomo civile.
Il pensatore ginevrino è ben consapevole che lo stato di natura non è qualcosa di realmente esistito; tuttavia esso può servire come criterio direttivo per poter valutare bene il nostro stato presente; perciò lo stato di natura è uno stato extra-storico, pre-umano e pre-morale nel quale luomo vive in una condizione di indipendenza (dipende dalla natura, ma la natura è un padrone impersonale).
Il passaggio dallo stato di natura allo stato civile è avvenuto in quanto luomo è un essere perfettibile e perciò è spinto ad andare sempre oltre il proprio orizzonte finché incontra delle difficoltà, le quali possono essere superate solo con laiuto di un suo simile; in questo modo leguaglianza primitiva scompare e nasce la società civile, basata su un patto iniquo stipulato dai ricchi per poter giustificare ideologicamente la proprietà; naturalmente la nascita di una società rende indispensabile quella di tutte le altre, cosicché si scatenano le guerre nazionali.
Nella civiltà dei Lumi il vero cittadino (così come lo intende Rousseau) ancora non esiste; per il momento è preferibile la vita dolce e indipendente del selvaggio a quella terribile schiavitù di cui è vittima luomo civile.
Il selvaggio è fondamentalmente buono: pur essendo un animale stupido e limitato, è altruista e spontaneo, ha pochi bisogni e si paragona raramente agli altri suoi simili; abbandonandosi al solo sentimento dellesistenza, egli non aspira che alla quiete e alla libertà, vivendo in se stesso senzavere bisogno di nessuno.
Il cittadino, al contrario, è essenzialmente cattivo: pur essendo intelligente e responsabile, è corrotto, ipocrita (è tutto quanto nella sua maschera) e quindi infelice; labuso della ragione ha sviluppato in lui lamor proprio che lo rende indifferente alla sorte dei suoi simili (infatti la riflessione è contro natura). Inoltre, avendo molti bisogni, luomo civile dipende dallopinione altrui cosicché vive sempre al di fuori di sé: infatti la sua immaginazione lo proietta continuamente nel futuro, impedendogli di godere del presente di cui è ben certo.
Capitolo decimo Emile, lhomme nouveau
Oserò qui esporre... la più preziosa regola di tutta leducazione: non è guadagnare tempo, ma perderne .
X. 1. Leducazione pubblica e leducazione naturale rousseauiana
Come ha osato Rousseau pubblicare un trattato sulleducazione?
Fanciullo gettato in balìa della sorte dallimmatura scomparsa della madre e dallindifferenza del padre;
precettore costretto a rinunciare per incapacità al suo compito;
padre snaturato che abbandonò ai Trovatelli i suoi cinque bambini:
con che diritto si mette a insegnare unarte di cui non beneficiò nellinfanzia e che mai praticò da adulto?
A queste polemiche Jean Jacques replicherà nelle sue Confessions (composte negli anni tra il 1765 e il 1770), ma non dimentichiamo che anche la scrittura dellEmile (da lui ritenuto il suo capolavoro ) gli è servita per riscattare in parte lodioso abbandono dei figli.
Vogliamo prima di tutto sottolineare che lEmile (1762) non è soltanto unimportante opera pedagogica, ma un vero e proprio trattato sulla saggezza e sulla virtù, oltreché un autentico capolavoro letterario; scrive G. Lanson nella sua Storia della letteratura francese:
Rousseau è un meraviglioso oratore, come non ce ne sono più stati da Bossuet in poi; egli è il nostro grande, unico predicatore del diciottesimo secolo. La sua frase è ampia e sonora ed è ad alta voce che si deve leggerla o sentirla leggere .
Nel redigere la sua opera pedagogica, Rousseau si ispira alla Repubblica di Platone che definisce non come unopera politica, come pensano coloro che giudicano i libri soltanto dai titoli, ma come il miglior trattato di educazione che sia mai stato scritto ; ma, a differenza della Repubblica platonica, lEmile non è un trattato di educazione pubblica ma unopera di educazione domestica (infatti se ne occupa un precettore privato), in quanto una società di ineguali non può educare in modo corretto i suoi figli, come ribadisce il pensatore ginevrino:
Leducazione pubblica... è capace soltanto di formare uomini ipocriti, che fanno sempre mostra di altruismo, mentre si preoccupano esclusivamente di se stessi .
Per formare lhomme nouveau occorre educarlo secondo le regole della natura; per rendere possibile il libero sviluppo della personalità dellallievo è indispensabile un isolamento temporaneo dalla società civile: Emile vivrà in campagna intrattenendo rapporti soltanto con il suo precettore e con la natura, affinché si possa, nel frattempo, modificare la società esistente; infatti la formazione delluomo nuovo devessere condotta in vista di un nuovo ordine sociale. In questa prospettiva leducazione è quindi uno strumento di liberazione dalla società, o meglio da determinate strutture sociali .
Rousseau critica leducazione pubblica (o positiva) perché, non rispettando i tempi di crescita del fanciullo, provoca disordine nella sua personalità, generando menzogna e simulazione: chiamo educazione positiva -recita il ginevrino- quella che tende a formare lo spirito prima delletà e a dare al bambino la conoscenza dei doveri delluomo .
Lungi dal voler formare dei fanciulli prodigio, Jean Jacques sostiene che il pedagogo non deve anticipatamente insegnare la virtù al suo allievo, ma lo deve preservare dal vizio (educazione negativa) di modo che lo sviluppo fisico e spirituale del fanciullo avvenga in modo del tutto spontaneo; che ogni sua nuova acquisizione sia una creazione, che nulla venga dallesterno, ma tutto dallinterno cioé dal sentimento e dallistinto delleducando .
Questa educazione rousseauiana viene chiamata naturale in quanto si deve adeguare alle fasi di sviluppo della natura umana: essa deve indirizzarsi prima alla facoltà sensibile, poi alla facoltà intellettuale e infine al senso morale e religioso.
Nella sua dottrina pedagogica, Rousseau segue lindirizzo sensistico e addita nella facoltà di sentire il punto di partenza per la formazione della personalità di Emile:
... le prime facoltà che si formano e si perfezionano in noi sono i sensi... Esercitare i sensi non significa solamente farne uso; è imparare a ben giudicare per mezzo di essi .
Linsegnamento del cittadino di Ginevra segue lindirizzo anti-retorico ossìa il richiamo allosservazione diretta delle cose in antitesi ad unistruzione condotta unicamente sui libri : ricordatevi sempre -avverte Rousseau- che il principio della mia educazione non è dinsegnare al fanciullo molte cose, bensì di non lasciar mai penetrare nella sua testa se non idee chiare e distinte ; in questo modo Emile avrà una testa ben formata, anziché ben riempita.
In base ai principii adottati, Jean Jacques potrà ben dire che la più preziosa regola di tutta leducazione consiste non già nel guadagnare tempo ma nellavere il coraggio di perderne perché il cammino della natura è molto lento e graduale.
X. 2. La pedagogia rousseauiana: un problema politico e morale
Rousseau ripropone alle coscienze oneste il quesito inquietante: come può una società iniqua pretendere dinsegnare la virtù e la saggezza ai propri figli? O, in altri termini, la domanda: chi educherà gli educatori?
La pedagogia, per Rousseau, non era davvero un problema di tecnica igienica, didattica, psicologica. Era anzitutto un problema politico, poiché tutto dipende radicalmente dalla politica e insieme un problema morale, perché chi distinguerà la politica dalla morale, non capirà nulla né delluna né dellaltra .
Sentiamo la soluzione proposta da Jean Jacques al difficile quesito sopracitato:
Ricordate che colui che osa assumersi il compito di formare un uomo, deve prima aver formato luomo in se stesso, deve portare entro di sé il modello che deve proporre allallievo... (Perciò) rendetevi degni di rispetto dinanzi a tutti... (perché) non avrete ascendente sul fanciullo, se non lo avete anche su quanti lo circondano, e questautorità non sarà mai sufficiente, se non è fondata sulla stima e sulla virtù .
Quindi il valore normativo dellesempio è senza dubbio preferibile alluso autoritario della ragione che genera nellallievo risentimento; lautorità che il precettore guadagna sullallievo deve nascere dalla stima della virtù.
Resta un altro problema: è vero che Emile deve assoggettarsi alla dura legge della natura, ma è pur sempre vero che leducatore (che non è nientaltro che un uomo) esercita su di lui unautorità assoluta, come riferisce lo stesso Rousseau:
Lasciate credere al vostro allievo di essere lui il padrone, ma siate sempre voi ad avere le redini in pugno. Non vè soggezione tanto perfetta quanto quella che conserva lapparenza della libertà: la sua stessa volontà viene ad essere così nelle vostre mani. Il povero fanciullo... non è interamente in vostro potere?... Non siete padroni dinfluenzarlo come più vi piace? Il suo lavoro, i suoi giochi, i suoi piaceri, le sue pene non dipendono forse da voi senza chegli lo sappia? Indubbiamente non deve fare se non ciò che vuole, ma non deve volere se non ciò che volete; non deve fare un passo che non abbiate previsto; non deve aprir bocca senza che sappiate che cosa dirà .
Ripetiamo: Non vè soggezione tanto perfetta quanto quella che conserva lapparenza della libertà ; in base a questo ci sembra di poter affermare che esiste unevidente analogia tra leducazione naturale e la politica rousseauiana: infatti, allo stesso modo in cui Emile sillude di essere libero, ma in realtà dipende completamente dalla volontà del suo precettore, il cittadino del Contrat social presume di essere il sovrano, ma in realtà aliena tutti i suoi diritti naturali nella città-Stato (si vedano sullargomento i prossimi capitoli del presente lavoro).
N. Abbagnano sostiene che il contrasto tra il principio che tutto debba nascere con perfetta spontaneità dallinterno delleducando e tutto linsieme di accorgimenti, di artifici e di finzioni che il precettore ordisce da ogni parte per tenerlo lontano da quelle situazioni che potrebbero porlo in conflitto con se stesso (sarà proprio vero che leducatore interviene sulle circostanze e mai sulla personalità dellallievo?) si spiega col fatto che leducazione non è, secondo Rousseau, il risultato di una libertà disordinata e capricciosa ma di una libertà ben guidata ; perciò questa libertà ben guidata si contrappone sia alla schiavitù imposta dallarbitrio umano che alla pretesa libertà illimitata, che altro non sarebbe che licenza.
X. 3. Leducazione morale e religiosa
Finchè si conosce solo nel suo essere fisico (Emile) deve studiarsi attraverso i suoi rapporti con le cose ma quando comincia a sentire il suo essere morale (verso i diciotto anni), egli deve studiarsi attraverso i suoi rapporti con gli uomini . Appurato che Emile non è selvaggio da relegare nei deserti, ma è un selvaggio fatto per abitare le città , il precettore gli si rivolge nei seguenti termini:
Ragazzo mio, non cè felicità senza coraggio, né virtù senza lotta. La parola virtù deriva da forza: la forza è il fondamento di ogni virtù. La virtù può appartenere soltanto a un essere debole per natura, ma forte per volontà; solo in ciò consiste il merito delluomo giusto; Dio, infatti, è chiamato buono, ma non virtuoso, poiché non gli costa sforzo alcuno operare il bene... Educandoti in tutta la semplicità della natura... ti ho fatto diventare buono più che virtuoso. Ma colui che è soltanto buono si conserva tale solo finché prova piacere ad esserlo: la bontà si sgretola e perisce allurto delle passioni umane...
Chi è dunque luomo virtuoso? E colui che sa vincere i propri affetti; allora infatti obbedisce alla sua ragione, alla sua coscienza; compie il proprio dovere; si mantiene nellordine morale e a nessun patto se ne discosta.
Finora eri libero solo in apparenza; non avevi che la precaria libertà dello schiavo a cui nulla è stato comandato. Ora sii veramente libero: impara a diventare signore di te stesso, comanda al tuo cuore, o Emilio, e sarai virtuoso .
Da questo passo possiamo comprendere il motivo per cui Kant ha riconosciuto in Rousseau il Newton del mondo morale: per il pensatore ginevrino la natura umana non è listinto o il sentimento nella sua immediatezza (perciò non è un fatto) ma è lequilibrio ideale dellistinto e dei sentimenti (quindi è un dover essere). Chi antepone linteresse personale al dovere finisce col trattare il proprio simile esclusivamente come mezzo; egli si sente un essere assoluto cui tutto va ricondotto. In questo consiste linfelicità: non riesce mai ad assaporare la felicità autentica perchè la vorrebbe ottenere a spese degli altri.
Emile dovrà evitare ogni situazione che gli faccia trovare il suo bene a danno di un altro; egli imparerà a non trattare mai il proprio simile semplicemente come mezzo ma come fine, affinché si possa instaurare una buona armonia tra gli uomini: lordine è armonia, consonanza tra le parti, il che significa che in esso tutti gli esseri sono vicendevolmente fini e mezzi . Chi antepone il dovere allinteresse personale regola il proprio agire sullordine naturale (che è espressione della saggezza divina) e applica di fatto la norma della solidarietà umana e della fratellanza.
Facendo tesoro di questa lezione di Rousseau, Kant distinguerà tra imperativo ipotetico (che è il comando della ragione subordinato ad una condizione) e imperativo categorico, consistente in un comando incondizionato della ragione valido per se stesso, al quale bisogna obbedire perché è razionale; la legge morale devessere oggettiva (valida per tutti gli uomini, in ogni circostanza). Il senso del dovere è inscritto nellanimo di ogni uomo afferma Kant . Che cosa significa Tu devi, dunque puoi? Se devi vuol dire che dentro di te vi è la legge morale e se cè la vita morale cè anche la libertà perché se un atto di grande moralità fosse necessitato non avrebbe alcun senso. Scrive Rousseau in proposito:
Il principio di ogni azione risiede nella volontà di un essere libero... Non è la libertà, bensì la necessità, che è priva di senso; poiché supporre qualche atto o qualche effetto che non derivi da un principio attivo equivale a supporre degli effetti privi di causa... Non cè vera volontà senza libertà .
Emile deve imparare a disciplinare le proprie passioni, le quali è pur vero che sono manifestazioni specifiche dellamor di sé, ma possono degenerare nel rapporto con gli altri e trasformarsi in amor proprio (ossìa nel desiderio di preminenza sugli altri); le passioni richiedono una disciplina morale il cui presupposto è il sentimento di pietà, dal quale derivano tutte le virtù sociali .
Anche la religione deve fondarsi sulla morale; fedele ai principii dellilluminismo, il cittadino di Ginevra enuncia i due capisaldi fondamentali della religione naturale che rivestono un significato morale: infatti il riconoscimento dellesistenza di Dio (inteso come intelligenza suprema ordinatrice del mondo) permette a Emile di concepire un garante, non solo dellordine naturale, ma anche dellordine morale; in secondo luogo laffermazione dellimmortalità dellanima umana consente di garantire la possibilità per Emile di essere soggetto responsabile delle proprie azioni e quindi soggetto passibile di retribuzione positiva o negativa in relazione al suo comportamento . Ciò che guiderà Emile verso ciò che è bene è la voce della coscienza:
O coscienza, o coscienza, divino istinto, immortale e celeste voce, guida sicura di un essere ignorante e limitato, ma intelligente e libero, giudice infallibile del bene e del male, che rendi luomo simile a Dio! Sei tu che conferisci eccellenza alla sua natura e moralità alle sue azioni: senza di te non sento nulla in me che minnalzi al di sopra delle bestie, se non il triste privilegio di smarrirmi di errore in errore ad opera di un intelletto senza regola e di una ragione senza principio .
In questo passo Rousseau ribadisce con tono singolarmente energico la sua convinzione più profonda: il sentimento è superiore alla ragione.
Abbiamo visto, quindi, che il fine ultimo delleducazione naturale è un fine sociale: quello di rendere possibile lo sviluppo di un uomo nuovo, su cui deve fondarsi una nuova struttura sociale .
X. 4. Conclusioni
Alleducazione pubblica del secolo XVIII, che nellintento di formare dei fanciulli prodigio, finisce soltanto col creare degli uomini ipocriti, Rousseau contrappone la sua educazione naturale e negativa:
- naturale, in quanto rispetta i tempi di crescita del fanciullo: la più preziosa regola di tutta leducazione consiste, non già nel guadagnare tempo, ma nel perderne perché il cammino della natura è molto lento e graduale; perciò leducazione si deve adeguare alle fasi di sviluppo della natura umana: essa deve indirizzarsi prima alla facoltà sensibile, poi alla facoltà intellettuale e infine al senso morale e religioso (Rousseau segue lindirizzo sensistico di Condillac);
- negativa, perché leducatore non deve anticipatamente insegnare la virtù al suo allievo, ma lo deve preservare dal vizio affinché lo sviluppo della sua personalità possa avvenire in modo del tutto spontaneo; Emile verrà educato in campagna, intrattenendo rapporti soltanto con il precettore e con la natura: losservazione diretta delle cose, contrapposta ad unistruzione condotta unicamente sui libri, gli permetterà davere una testa ben formata, anziché ben riempita.
Il precettore deve preferire il valore normativo dellesempio alluso autoritario della ragione; senonché egli esercita, comunque, sullallievo unautorità assoluta (che nasce dalla stima della virtù), ben sapendo che non vè soggezione tanto perfetta quanto quella che conserva lapparenza della libertà; daltro canto linsieme di accorgimenti (tuttaltro che naturali) adottati dalleducatore (allo scopo di tenere lontano lallievo da quelle situazioni che potrebbero porlo in conflitto con se stesso) sono indispensabili in quanto leducazione, secondo Rousseau, deve essere il risultato di una libertà ben guidata.
Raggiunti i diciotto anni, Emile comincerà a sentire la voce della coscienza, segno evidente che è pronto per ricevere gli insegnamenti morali e religiosi, indispensabili per lingresso in una nuova società: egli potrà così comprendere lesistenza di un Essere supremo e di possedere unanima immortale; a poco a poco imparerà a disciplinare le proprie passioni e ad anteporre il dovere allinteresse personale cosicché apprenderà che non bisogna mai trattare il proprio simile semplicemente come mezzo, ma come fine (seconda formulazione dellimperativo categorico kantiano).
In conclusione il fine ultimo delleducazione rousseauiana è un fine sociale: quello di rendere possibile lo sviluppo di un uomo nuovo, su cui deve fondarsi una nuova struttura sociale; ma resta, comunque, un interrogativo inquietante: Chi educherà gli educatori?
Capitolo undicesimo La società charmante
La libertà morale rende luomo veramente padrone di sé; perché limpulso del solo appetito è schiavitù, mentre lobbedienza alla legge che ci siamo prescritti è libertà .
XI. 1. Leticismo di Rousseau e lutilitarismo degli altri pensatori politici
Se passiamo in rassegna i teorici dello stato moderno (Hobbes, Locke, Grozio, Pufendorf, per citare solo i più importanti) ci accorgeremo che tutti concepiscono lo Stato in termini utilitari ed egoistici, vale a dire che se gli uomini vogliono essere sicuri nel corpo e nei loro beni devono assoggettarsi ad unautorità politica, rinunciando così a buona parte della loro libertà naturale; perciò lesistenza dello Stato presuppone il sacrificio della libertà individuale in cambio della sicurezza.
Rousseau, invece, non accetta una simile teoria perché, a suo parere, perdere la libertà vorrebbe dire perdere la propria dignità umana, in quanto la libertà è la più nobile delle facoltà delluomo e rinunciarvi significherebbe mettersi al livello delle bestie schiave dellistinto e offendere lo stesso Autore del nostro essere . Perciò qualunque sia il motivo che spinge gli uomini ad unirsi in società, qualunque sia lo scopo dellunione civile, questultima non deve avvenire a danno della libertà .
Con il Contrat social (1762) il nostro Jean Jacques si propone di costruire un sistema nel quale si possa avere la sicurezza senza perdere la libertà; il problema politico si pone in questi termini:
Trovare una forma di associazione che con tutta la forza comune difenda e protegga la persona e i beni di ciascun associato, e mediante la quale ciascuno, unendosi a tutti, obbedisca tuttavia soltanto a se stesso, e resti non meno libero di prima .
Per Rousseau la libertà è un valore inalienabile perchè è ciò che distingue luomo dalla bestia; questa concezione etica della libertà nasce con il pensiero rousseauiano; infatti nel Settecento il criterio fondamentale dellagire degli Stati era quello dellutilità (ossia gli Stati dovevano fare quello che era utile per i loro sudditi); loriginalità di Rousseau consiste nellaver sostituito al criterio dellutilità il criterio delleticità.
Ma Jean Jacques non crede nella possibilità che un grande Stato possa tornare alla virtù; egli è convinto, invece, che leticità sia possibile nei piccoli Stati come Ginevra, la Corsica e la Polonia .
Con il Contrat social la libertà naturale (una libertà precaria !) viene conservata trasformandosi in libertà civile: perciò luomo diventa veramente uomo divenendo cittadino (ossìa un essere morale). Con il passaggio dallo stato di natura allo stato civile luomo rinuncia ad essere un animale stupido e limitato per divenire un essere intelligente e un uomo .
XI. 2. Limpersonalità della volontà generale
Precisiamo che il Contrat social non è inteso da Rousseau come un fatto storico (in altri termini: non è un contratto che è stato stipulato in un determinato momento storico), ma è piuttosto unipotesi logica, ossìa è qualcosa di presente e di futuro (un contratto ancora da stipularsi).
Abbiamo detto precedentemente (nel cap. IX) che luomo primitivo è indipendente in quanto la natura è un padrone impersonale; lungi dal voler tornare a vivere nelle foreste con gli orsi, Rousseau vuole riportare nella società la positività e limpersonalità della condizione naturale, dimodoché ciascun associato, unendosi a tutti, obbedisca tuttavia soltanto a se stesso, e resti non meno libero di prima .
Per poter garantire lindipendenza del cittadino è indispensabile che il sovrano non sia un individuo privato, ma lo stesso corpo politico , di cui lo stesso cittadino fa parte: in questo modo ciascun associato è al tempo stesso suddito e sovrano.
Rousseau teorizza la democrazia diretta che, per essere esercitata, richiede una città-Stato (il modello del nostro pensatore politico è Ginevra): infatti nessun cittadino deve farsi rappresentare, altrimenti si sottometterebbe al volere di un suo simile.
Per il cittadino di Ginevra luomo veramente libero non è colui che può fare quello che più gli piace, ma è, invece, colui che si adegua ad un ordine naturale, che è quello espresso dalla volontà generale (in questo modo obbedirà alle leggi che lui stesso ha stabilito in quanto facente parte del corpo politico); a tal proposito scrive Rousseau:
Il corpo politico, dunque, è anche un essere morale, dotato di volontà; e questa volontà generale che tende sempre alla conservazione e al benessere del tutto e di ciascuna sua parte, e che è la fonte delle leggi, costituisce per tutti i membri dello Stato, sia nei rapporti tra loro che in quelli verso lo Stato, la regola del giusto e dellingiusto .
La volontà generale è la volontà del corpo politico in quanto tale, ossìa non è la volontà di tutti (che si rivelerebbe attraverso un sondaggio) e perciò non è un risultato, ma è un principio; essa è la volontà razionale del corpo politico che mira allinteresse comune e alluguaglianza fra i cittadini, senza tenere conto degli interessi privati .
Luomo veramente virtuoso obbedisce a ciò che la ragione gli comanda (e perciò a quello che gli ordina la volontà generale) in quanto la libertà morale (che acquista entrando a far parte del corpo politico) rende luomo veramente padrone di sé; perché limpulso del solo appetito è schiavitù, mentre lobbedienza alla legge che ci siamo prescritta è libertà .
Per delineare i principii di una nuova società Rousseau si avvale della ragione matematica cartesiana (da questo punto di vista possiamo ritenere Rousseau lo scolaro intelligente di Cartesio); occorre precisare, però, che il suo razionalismo è sempre permeato da una fortissima carica morale. In virtù dellinsegnamento cartesiano le clausole del Contrat rosseauiano si riducono tutte ad una sola:
... lalienazione totale di ogni associato, con tutti i suoi diritti, in favore di tutta la comunità... Poiché questa alienazione si fa senza riserve, lunione è la più perfetta possibile, e nessun associato ha più niente da rivendicare .
Quindi per costituire lo stato civile giusto luomo deve sparire come individuo privato (si è parlato a questo proposito di anti-individualismo rousseauiano); ma è giusto che lindividuo si alieni totalmente? Non cè il pericolo che la collettività invada la coscienza individuale? A queste obiezioni Rousseau risponde che dipendere totalmente dal corpo sociale significa dipendere da qualcosa di impersonale e perciò vuol dire rimanere libero come prima; inoltre la comunità politica non può garantire allindividuo la libertà dellistinto disordinato, ma solo quella di un istinto disciplinato e moralizzato dalla ragione, il che appunto accade con la coincidenza della volontà singola con la volontà generale .
Ritorniamo ora a parlare del razionalismo che Rousseau ha ereditato da Cartesio e cerchiamo di stabilire dei punti in comune nel pensiero di queste due grandi personalità.
Unanalogia formale sussiste fra il dubbio radicale e metodico di Cartesio e lalienazione totale dei diritti naturali che serve a conseguire lo stato civile; in Cartesio il dubbio porta alla certezza, in Rousseau lalienazione totale porta alla libertà vera.
In Cartesio cè il bisogno di un sapere chiaro e definitivo fondato sulla ragione; in Rousseau cè lindicazione di come raggiungere la certezza delle decisioni da prendere; infatti le decisioni devono essere prese dalla volontà generale la quale è sempre giusta perchè è la volontà razionale, ossìa la volontà che trascende gli individui empirici (è quello che gli uomini dovrebbero volere per essere veramente virtuosi).
In Cartesio cè la rottura con il passato; in Rousseau cè altrettanto un distacco dalla tradizione riformistica dei philosophes .
XI. 3. Lillimitatezza della sovranità popolare
I concetti di libertà in senso etico e di sovranità popolare sono pietre miliari nella storia del pensiero e della civiltà; ma nel Contrat social la grande novità non è tanto il principio della sovranità popolare (già teorizzata da Locke), quanto invece quello della sua illimitatezza. A tal proposito scrive Rousseau:
...come la natura dà a ogni uomo un potere assoluto su tutte le proprie membra, così il patto sociale dà al corpo politico un potere assoluto su tutti i propri membri .
Ma Jean Jacques sembra accorgersi dei limiti della sua teoria politica: Ma, oltre alla persona pubblica, dobbiamo considerare le persone private che la compongono, e la cui vita e libertà sono per natura indipendenti da essa . Ora il pensatore ginevrino viene a dire che la volontà generale ha dei limiti ma bisogna anche convenire che solo il corpo sovrano è giudice di questa importanza .
Fiducioso nel fatto che la ragione cartesiana non possa sbagliare, Rousseau apre, inconsapevolmente, un varco al totalitarismo, in quanto se la volontà generale è illimitata il cittadino è totalmente in balìa dello Stato. Ciò vuol dire -scrive G. De Ruggiero- che lidea stessa del diritto naturale è annullata nellatto in cui è apparentemente riconosciuta, una volta che spetta al potere statale determinarne i confini .
Abbiamo visto che per il cittadino rousseauiano essere libero significa obbedire allo Stato; e se qualcuno rifiutasse questimposizione? Risponde Rousseau:
...chiunque rifiuterà di obbedire alla volontà generale, vi sarà costretto da tutto il corpo; ciò non significa altro se non che lo si obbligherà ad essere libero .
Quindi nessuno può sentirsi in contrasto con la volontà generale in quanto è impossibile che il corpo voglia nuocere a tutti i suoi membri .
Nel pensiero rousseauiano è implicita lidea che un uomo che abbia convinzioni morali opposte a quelle della comunità in cui vive è soltanto capriccioso e dovrebbe essere soppresso ; infatti il venir meno al credo civile è per Rousseau il crimine più grave perché significa aver mentito di fronte alle leggi (e quindi a se stessi) e va punito con la morte.
Unimportanza particolare assume, in questanalisi, il contrasto tra la religione naturale -presentata nellEmile come una scoperta che ognuno può e deve fare da sé, ma che non si può imporre a nessuno- e la religione civile, considerata come elemento di coesione sociale:
Vi è dunque una professione di fede puramente civile, di cui spetta al corpo sovrano fissare gli articoli, non già precisamente come dogmi di religione, ma come sentimenti di socialità senza i quali è impossibile essere buoni cittadini e sudditi fedeli... Esso può bandire dallo Stato chiunque non vi creda... non in quanto empio ma in quanto asociale... E se qualcuno, dopo aver riconosciuto pubblicamente questi stessi dogmi, si comportasse come se non ci credesse, sia punito con la morte: egli ha commesso il peggiore dei delitti, ha mentito dinanzi alle leggi .
Vedremo meglio nel prossimo capitolo che la critica di B. Constant al Contrat social si riduce ad una sola osservazione: lesigenza di porre dei limiti alla volontà generale. Rousseau aveva precisato che questi limiti li deve stabilire la volontà generale stessa; egli è convinto che la volontà generale sia sempre giusta, anche se ammette che può esprimersi in maniera errata perché il popolo non viene mai corrotto ma spesso viene ingannato ; perciò sussiste costantemente il pericolo che un qualche demagogo si presenti come linterprete della volontà generale (infatti può accadere che un intero popolo, obbedendo alle proprie inclinazioni, non sia in grado di esprimere la volontà collettiva razionale), contrabbandando la sua volontà al posto della volontà generale.
Concludiamo osservando che Jean Jacques ha messo la politica al servizio della moralità: unorganizzazione politica giusta risolve il problema della teodicea, ridando moralità alle azioni umane . Perciò luomo di Rousseau realizza veramente se stesso nella misura in cui obbedisce alla volontà generale (e quindi a se stesso).
XI. 4. Conclusioni
Rousseau contrappone il suo liberalismo etico allutilitarismo degli altri pensatori politici; egli è convinto che si possa costituire una società nella quale gli uomini ottengano la sicurezza ma senza per questo perdere la libertà, che è un valore inalienabile, essendo il sigillo di nobiltà delluomo.
Entrando in società luomo aliena totalmente i suoi diritti naturali per ottenere in cambio i diritti civili e perciò resta libero comera nello stato di natura; per poter garantire lindipendenza del cittadino è indispensabile che il sovrano non sia un individuo privato, ma lo stesso corpo politico (che è un padrone impersonale come lo è la natura) di cui il cittadino fa parte; in questo modo ciascun associato è, al tempo stesso, suddito e sovrano.
Per essere veramente libero il cittadino rousseauiano non deve farsi rappresentare da nessuno (perciò la democrazia diretta teorizzata nel Contrat è possibile soltanto nei piccoli Stati) e dare ascolto alla propria razionalità e quindi obbedire alla volontà generale, che è la volontà razionale del corpo collettivo che mira allinteresse comune (essa non è un risultato, ma un principio).
Pur avendo fiducia nella buona riuscita del suo metodo (in quanto si avvale del razionalismo cartesiano che presuppone la ragione umana infallibile), Rousseau si accorge che la volontà generale deve avere dei limiti; senonché egli stabilisce che sarà lo stesso corpo politico a fissare questi limiti. Da questo punto di vista il pensatore ginevrino ha aperto un varco al totalitarismo: egli, infatti, ammette che potrebbe accadere che un intero popolo, assecondando le proprie inclinazioni, non sia in grado di esprimere la vera volontà generale; in un caso del genere sussiste il pericolo che un qualche demagogo si presenti come linterprete della volontà generale, contrabbandando il proprio personale interesse al posto dellinteresse comune.
In definitiva la grande novità che emerge dal Contrat social (da intendersi come unipotesi logica, non come un fatto storico) è il concetto della sovranità popolare illimitata; inoltre ricordiamo che Rousseau è stato il primo pensatore politico che abbia teorizzato un reggimento politico di uomini liberi.
Capitolo dodicesimo Libertà e schiavitù delluomo di Rousseau
Luomo è nato libero, e ovunque è in catene. Anche chi si crede padrone degli altri non è per questo meno schiavo di loro .
XII. 1. Il liberalismo etico rousseauiano
Abbiamo visto che per Rousseau la società civile dovrebbe essere il perfezionamento dello stato di natura: il suo sistema dottrinale si propone di assicurare la libertà di ogni uomo (intesa come perfezionamento morale), fornendo, però, dei pretesti funesti a più di un tipo di tirannia .
Si è interpretato Rousseau come un pensatore individualista o come padre della democrazia totalitaria. Proviamo ora a seguire la prima delle due interpretazioni.
A nostro parere il pensatore ginevrino non ha mai creduto veramente che la libertà individuale si potesse realizzare in una determinata società (forse nemmeno in quella teorizzata da lui stesso nel Contrat social); in ogni caso al centro della sua dottrina sta la teoria della coscienza come sede della spiritualità e libertà originaria delluomo, che conferisce allindividuo un valore assoluto e ne fa il titolare di diritti di natura i quali, proprio perché anteriori alla società e da essa indipendenti, lo rendono sacro e inviolabile .
A tal proposito Rousseau, rivolgendosi ad Emile, afferma: E invano che si aspira alla libertà sotto la salvaguardia delle leggi... Sotto questo nome tu non hai veduto regnare che linteresse particolare e le passioni degli uomini; e conclude: la libertà non è in alcuna forma di governo, sta nel cuore delluomo libero, egli la porta dappertutto con sé. Luomo vile porta dappertutto la servitù ; perciò il valore essenziale delluomo non può essere determinato dalla società; egli lo ha in se stesso .
Per Groethuysen (ma anche per Starobinski e Cassirer) il valore dellintimo costituisce il principio cardine dellantropologia rousseauiana.
Luomo naturale, delineato sulla base del Rousseau uomo, non è luomo primitivo.. ma un essere civile senza civiltà, un essere generico, spogliato da tutto ciò che la razza, lepoca e il luogo hanno potuto conferirgli di particolare: in una parola, è luomo universale nei suoi tratti più generali e più durevoli .
Ma se Rousseau uomo non è riuscito a concepire la libertà individuale se non come fuga dalla società corrotta del suo tempo, luomo di Rousseau ha ben compreso che la libertà naturale non gli può dare alcun vantaggio senza la libertà etica: e questa non si può conseguire senza una trasformazione radicale dellordine sociale che cancelli ogni arbitrio e conduca alla vittoria dellinteriore necessità della legge... La legge non è nemica e avversaria della libertà, essa è piuttosto lunica che ci può dare e garantire veramente la libertà .
In base a queste considerazioni Rousseau si presenta come il primo pensatore politico della nostra cultura occidentale a concepire la libertà come fine.
La maggior parte degli uomini ha una concezione strumentale della libertà; nella libertà cercano altra cosa che la libertà stessa; cercano il soddisfacimento delle proprie inclinazioni, e se questo soddisfacimento è per essi conseguibile sotto il dispotismo, non esitano a farsi di questultimo sostenitori .
Così la pensava un secolo prima di Rousseau, Pufendorf il quale, essendo un utilitarista, sosteneva che allo stesso modo in cui si trasferiscono i propri beni ad altri per mezzo di contratti, così ci si può anche privare della propria libertà a favore di qualcuno; Rousseau, invece, gli ribatte (nel suo secondo Discours) che la libertà non può essere considerata alla stregua di qualcosa di materiale perché il bene che io cedo mi diventa qualcosa di completamente estraneo, il cui abuso mi è indifferente; ma mimporta che non si abusi della mia libertà... in quanto rinunciare alla propria libertà significa rinunciare alla propria qualità di uomo... Una tale rinuncia è incompatibile con la natura delluomo, e togliere ogni libertà alla sua volontà significa togliere ogni moralità alle sue azioni .
Per il cittadino di Ginevra la libertà è un valore inalienabile perché è il sigillo di nobiltà delluomo; ma la libertà di cui egli parla nel Contrat social è la libertà politica, ossìa la libertà di partecipare attivamente alle vicende politiche dello Stato (è perciò la libertà attraverso lo Stato): il cittadino rousseauiano fa parte della volontà generale e perciò si sente egli stesso sovrano; il problema consiste nel fatto che questa volontà generale (nella realtà empirica) viene sempre interpretata da alcune persone, cosicché lindividuo finisce con lessere schiacciato da una forza immane (ossìa la volontà generale che è illimitata) a cui non può sfuggire; ecco perché si rende indispensabile la libertà civile (e perciò la libertà dallo Stato) consistente nel diritto di ciascuno di non essere sottoposto che alle leggi, di non poter essere né arrestato, né detenuto, né messo a morte, né maltrattato in alcun modo a causa dellarbitrio di uno o più individui. Ma la libertà civile è anche il diritto di ciascuno di dire la sua opinione, di scegliere la sua industria e di esercitarla, di disporre della sua proprietà..., di andare e di venire senza render conto delle proprie intenzioni e della propria condotta...; ed è infine il diritto di ciascuno di riunirsi con altri individui... , cosa assolutamente vietata nel Contrat dove si legge: ... è importante che nello Stato non ci siano società parziali e che ogni cittadino pensi solo con la propria testa .
Non possiamo certo affermare che nel Contrat venga tutelata la libertà civile; Rousseau teorizza il concetto di libertà democratica: il democratico tende a regolamentare per poter imbrigliare i capricci dellindividuo, non avvertendo fastidio perché si tratta di regole che lui stesso si è dato; perciò egli si sente libero obbedendo a quelle stesse leggi. Al contrario il liberale si sente tanto più libero, quanto meno è regolamentato; infatti la libertà liberale si avvicina al concetto di libertà come assenza di inpedimento.
Da questa distinzione possiamo ben comprendere che la concezione lockiana di libertà è molto diversa da quella rousseauiana; il pensiero liberale nasce nell Inghilterra del Seicento per essere poi interpretato sul continente alla luce di una tradizione filosofica estremamente diversa dalle concezioni evoluzionistiche predominanti in Inghilterra, ossìa alla luce di un orientamento razionalistico o costruttivistico che esigeva unintenzionale ricostruzione dellintera società secondo i principii della ragione . Descartes, Voltaire e Rousseau furono i maggiori rappresentanti del cosiddetto liberalismo continentale di tipo costruttivistico.
Ora vediamo qual è la differenza tra i due tipi di liberalismo sopracitati:
Per la più antica tradizione inglese il valore supremo era costituito dalla libertà individuale intesa come protezione mediante la legge contro ogni forma di coercizione arbitraria, mentre nella tradizione continentale veniva attribuito il massimo rilievo alla rivendicazione del diritto per ciascun gruppo di autodeterminare la propria forma di governo. Ciò condusse assai presto ad associare -e quasi identificare- il movimento liberale continentale con il movimento per la democrazia .
Da queste considerazioni si può comprendere il motivo per cui Rousseau è stato celebrato come il padre della rivoluzione francese: una rivoluzione nata come rivendicazione di libertà che si è poi trasformata in Terrore (1793-94) per garantire luguaglianza di tutti i cittadini.
Vediamo ora in che modo il pensiero politico rousseauiano (o meglio una forzata interpretazione di questo pensiero) possa trasformare la libertà (concepita come sigillo di nobiltà umana) in odiosa schiavitù.
XII. 2. I pericoli della democrazia totalitaria
Le buone istituzioni sociali sono quelle che meglio sanno snaturare luomo, togliendogli la sua esistenza assoluta per dargliene una relativa e per trasportare lio nellunità comune .
Secondo Rousseau le buone istituzioni sociali non formano luomo ma lo snaturano: egli ripete più volte che lo Stato è unopera darte, il prodotto di una costruzione artificiale, giacché quando si tratta di istituire e mantenere il buon ordine politico, la natura cede la parola allarte politica . Perciò se il compito delleducatore consiste nel favorire lo sviluppo delle qualità naturali di Emile, il dovere del legislatore è quello di snaturare luomo per farne un cittadino; a tal proposito commenta Rousseau: Platone ha soltanto purificato il cuore delluomo, Licurgo lo ha snaturato
Colui che nellordine civile vuol conservare la prevalenza ai sentimenti della natura non sa quello che vuole... perché la virtù politica è sacrificio dellinteresse personale, rinuncia a se stessi; essa è anche la base delluguaglianza. Infatti il razionalismo costruttivistico (ossìa lorientamento adottato prima da Cartesio e poi da Rousseau) è tendenzialmente egalitaristico, anti-storicistico e negatore della libertà individuale. Scrive V. Mathieu in proposito:
La virtù, che è lideale etico del giacobinismo , viene ad essere lagire delluniversale; di qui il principio che... non lindividuo ha diritto di proporsi come centro di iniziativa... (ma) solo luniversale ha questo diritto; quindi abbiamo la res publica come rappresentante delluniversale. Lindividuo etico deve agire come strumento di codesta volontà universale .
Ripetiamo:solo luniversale... ha diritto di proporsi come centro di iniziativa; secondo il pensatore ginevrino la volontà personale dellindividuo è sempre sospetta; infatti la libertà è la capacità di liberarsi dalle considerazioni, dagli interessi, dalle preferenze e dai pregiudizi, individuali e collettivi, che oscurano ciò che è oggettivamente vero e buono e che se sono fedele alla mia vera natura devo volere .
S. Cotta ha ben evidenziato che Rousseau, per poter creare una società perfetta, ha ritenuto necessario ispirarsi a principii diametralmente opposti a quelli che regnavano nello stato di natura e quindi subordinare la volontà individuale a una volontà generale che non ammette alcuna diversità di punti di vista e dopinioni. Cotta (concorde con Talmon) non ha dubbi sul fatto che lo sbocco inevitabile di questo sistema politico è quello di una democrazia totalitaria; anzi, se il totalitarismo democratico non sarà sufficiente a rendere gli uomini virtuosi, bisognerà necessariamente arrivare al totalitarismo dispotico; per avvalorare questa sua tesi Cotta ricorda la singolare lettera che nel 1767 Rousseau ha scritto al marchese di Mirabeau:
Il grande problema della politica è di trovare una forma di governo che metta la legge al di sopra degli uomini... Se malauguratamente questa forma non si può trovare, e confesso sinceramente che credo che non si possa trovare, il mio parere è che si debba passare allaltro estremo, e mettere dun sol colpo luomo il più possibile al di sopra della legge; di conseguenza stabilire il dispotismo arbitrario : vorrei che il despota potesse essere Dio .
A tal proposito De Ruggiero osserva che se Rousseau non ha il dispotismo nel cuore lha nel cervello ; la lettera sopracitata rivela leredità cartesiana nel pensiero rousseauiano: Cartesio aveva affermato che la perfezione è più facilmente riscontrabile nelle opere fatte da un solo artefice che non in quelle composte attraverso la collaborazione di più persone perché è disagevole far delle cose perfette lavorando soltanto sulle opere degli altri... (è questa anche la filosofia giacobina). Nel secondo Discours Rousseau scrive che lo stato politico restò sempre imperfetto perché era quasi opera del caso, e perché, una volta male iniziato, sebbene il tempo ne mettesse in luce i difetti e ne suggerisse i rimedi, non fu mai possibile ovviare ai vizi della sua costituzione. Si riaggiustava continuamente, mentre si sarebbe dovuto incominciare col far piazza pulita, scartando tutti i vecchi residui, come fece Licurgo a Sparta, per poter poi costruire un buon edificio . E Cartesio aggiunge: ... io credo che se Sparta è stata un tempo floridissima... lo si deve attribuire... al fatto che, essendo (le leggi) state inventate da uno solo (Licurgo), tendevano tutte ad uno stesso fine .
Scrive F. A. von Hayek: La fede nella necessità del potere illimitato di unautorità suprema... e quindi la convinzione che democrazia significhi necessariamente potere illimitato della maggioranza sono le conseguenze inquietanti di tale costruttivismo .
B. Constant si permetterà di muovere una rispettosa critica al genio sublime di Jean Jacques Rousseau:
La sovranità non esiste che in un modo limitato e relativo; nel punto in cui comincia lindipendenza dellesistenza individuale si arresta la giurisdizione di tale sovranità... La società non può oltrepassare la propria competenza senza diventare usurpatrice... Rousseau non ha riconosciuto questa verità e questo suo errore ha reso il suo Contratto sociale, così spesso invocato in nome della libertà, il più terribile sostenitore di ogni dispotismo .
Il principio anti-individualistico fece irruzione sulla scena della storia al tempo del Terrore ; i giacobini erano permeati del pensiero di Rousseau portato alle estreme conseguenze. Lanti-individualismo dei rivoluzionari francesi del 1793-94 trovava unespressione simbolica nelluso della ghigliottina, in quanto individuo vuol dire testa pensante autonomamente; perciò il taglio delle teste era lespressione fattuale dellodio viscerale contro lindividualità.
Il marxismo, anziché riportare... il volere dei singoli alla Volontà generale, falcia al volere individuale lerba sotto i piedi togliendogli i mezzi per estrinsecarsi (ossìa i mezzi di produzione) .
La condanna dellindividuo è rintracciabile in S. Agostino nel non posse non peccare proprio delluomo; la riforma protestante, che si ispira ad Agostino, dichiara dannate le opere umane, scorgendo la salvezza solo nella fede e nella grazia. Dietro Rousseau cè il calvinismo e quindi la tendenza a cedere alluniversale che non pecca, in quanto espressione del volere divino, il principio dellazione. Per i teologi protestanti il volere individuale si è corrotto con il peccato originale; per Rousseau il volere individuale si è corrotto con lentrata nella storia. Per i teologi non è possibile rimediare con le opere; per Rousseau è possibile con un'organizzazione politica che metta il cittadino nellimpossibilità di volere come individuo facendo del principio del volere lo Stato .
Come abbiamo visto, dal momento in cui luomo di Rousseau diviene cittadino aliena tutti i suoi diritti naturali, senza poter più protestare perché farlo vorrebbe dire divenire nemico del popolo; infatti quando un regime è per definizione considerato come il realizzatore dei diritti e delle libertà, il cittadino viene privato di ogni diritto per lamentarsi poi di essere privato dei suoi diritti e delle sue libertà ; entrato a far parte della società charmante luomo di Rousseau diventa così schiavo della volontà generale: egli era nato libero, ora, invece, è in catene.
XII. 3. Conclusioni
Si è interpretato Rousseau come pensatore individualista (Groethuysen, Starobinski, Cassirer, Sozzi) o come padre della democrazia totalitaria (Cotta, Talmon e aggiungiamo anche De Ruggiero, Von Hayek , Mathieu).
La concezione etica della libertà (libertà come fine e non come mezzo) nasce con il pensiero rousseauiano: infatti rinunciare alla libertà significa per Jean Jacques rinunciare alla propria qualità di uomo.
Mentre Rousseau uomo sostiene che il valore essenziale delluomo non può essere determinato dalla società in quanto la libertà... sta nel cuore delluomo libero, luomo di Rousseau si sente davvero libero quando la sua volontà individuale coincide con la volontà generale.
Il cittadino di Ginevra si avvicina al concetto di libertà proprio degli antichi (è così che fu interpretato dai giacobini): libertà come partecipazione alle decisioni collettive (libertà come autoregolamentazione); da un punto di vista teorico è questa la libertà politica; da un punto di vista ideologico è questa la libertà democratica.
Von Hayek precisa che quello di Rousseau è il liberalismo continentale di tipo costruttivistico che esige unintenzionale ricostruzione dellintera società secondo i principii della ragione; questo tipo di razionalismo, che trova le sue origini in Cartesio, è tendenzialmente anti-storicistico, egalitaristico e negatore della libertà individuale; infatti solo luniversale... ha diritto di proporsi come centro di iniziativa, in quanto secondo la concezione agostiniana ereditata dai protestanti, luomo non posse non peccare (perciò la volontà personale dellindividuo è sempre sospetta).
Il principio anti-individualistico fece irruzione sulla scena della storia al tempo del Terrore, trovando unespressione simbolica nelluso della ghigliottina, in quanto individuo significa testa pensante autonomamente; il giacobinismo, infatti, si configura come una mentalità etico-politica di tipo manicheo: luniversale è bene, lindividuale è male.
Entrato a far parte della città-Stato rousseauiana, luomo di Rousseau è costretto a sparire completamente come individuo (avendo alienato nello Stato tutti i suoi diritti naturali) senza nessun diritto di protestare perché protestare significherebbe divenire nemico del popolo; egli era nato libero, ora è in catene.
CONCLUSIONI FINALI
Esiste indubbiamente unantinomia insanabile tra ciò che Rousseau avrebbe voluto essere e ciò che realmente è stato: si propone di perseguire il motto Vitam impendere vero ma poi si dimostra incapace di seguirlo; con la sua riforma personale (dettatagli dalla vocazione tipicamente calvinista) egli avrebbe voluto dare lesempio agli uomini riguardo alla vita che tutti, essi dovrebbero condurre per divenire buoni cittadini, anche se poi non esibisce nientaltro che una condotta di vita assolutamente scandalosa, giungendo perfino ad abbandonare i suoi figli in un desolato orfanotrofio senza il minimo scrupolo (come riferisce nelle sue Confessions). Convinto che quando un uomo pecca non è lindividuo che scade ma la società, Rousseau giustifica le sue estravaganze attribuendone lintera responsabilità ai costumi sociali. Inoltre sono state le umiliazioni subite negli anni dellinfanzia e della giovinezza, oltreché le contraddizioni sociali di cui è stato spettatore, a far germogliare nellanimo di Jean Jacques linestinguibile odio contro le vessazioni che soffre il popolo infelice e contro i suoi oppressori; non a caso i suoi due primi Discours (1749 e 1754) scaturiscono dalla sua coscienza offesa, vale a dire da una vera e propria rivolta emotiva che lo trascina fuori di sé, tantoché egli dirà più tardi nelle sue Confessions (1765-1770) di essere diventato autore quasi senza accorgersene.
Qual è dunque il modello duomo a cui Rousseau avrebbe voluto assomigliare e che ha teorizzato nelle sue opere pedagogico-politiche? Luomo ideale rousseauiano non è tanto il selvaggio (come molti erroneamente continuano a credere) quanto invece un essere morale che sa anteporre il dovere allinteresse personale (questo gli permette di trattare il proprio simile, non semplicemente come mezzo, ma come fine), sentendosi libero nellobbedire alle leggi che lui stesso si è dato (è questa la libertà democratica). Non a caso il pensatore ginevrino sostiene (nel Contrat social) che il selvaggio dovrebbe benedire continuamente lattimo felice che lo strappò per sempre da quello stato, e che di un animale stupido e limitato fece un essere intelligente e un uomo.
Dagli scritti autobiografici presi in esame, invece, emerge la figura di un uomo sincero ma non virtuoso: nei Dialogues Rousseau giudica Jean Jacques come un uomo che adora la virtù senza praticarla e che ama ardentemente il bene e poi non lo compie, del tutto somigliante a quel selvaggio da lui teorizzato nel secondo Discours (egli stesso soleva definirsi come lhomme de la nature); Rousseau uomo si è sempre sentito schiavo delle proprie inclinazioni, non avendo per guida che il proprio cuore, mai il proprio dovere o la ragione; egli non ha mai preteso di lottare contro le sue più care inclinazioni... per compiere il proprio dovere in quanto la legge della natura, o almeno la sua voce, non arrivano fino a tal punto.
In una società come quella dei Lumi, in cui non si osa più apparire ciò che si è, il selvaggio, pur essendo un animale stupido e limitato, è buono, spontaneo e altruista, ed è senzaltro preferibile al cittadino del Settecento corrotto, ipocrita e posseduto dallamor proprio (che è desiderio di preminenza sugli altri). Non a caso il cittadino di Ginevra contrappone la propria bontà (sidentifica con la natura, percepita come larchetipo di ogni bontà) alla malvagità dei suoi contemporanei; in effetti tutta la felicità di Rousseau sembra dipendere dalla risposta alla domanda Sono buono o sono cattivo?.
Nellintento di realizzare il suo progetto etico di assoluta trasparenza, egli dipinge luomo naturale quale lui stesso si sentiva dessere: infatti il nostro Jean Jacques, al pari del selvaggio, non aspira che alla quiete e alla libertà, quando invece il cittadino è sempre attivo, suda, sagita e lavora fino alla morte, fiero comè delle catene di ferro che è costretto a portare (così si legge nel secondo Discours).
Ma per conoscere davvero la vera natura delluomo occorre distinguere accuratamente ciò che è artificiale da ciò che è naturale nelluomo civile: con la sua completa rinuncia al mondo (avvenuta nel 1756 in una foresta nei pressi di Parigi), Jean Jacques dimostra che la natura umana è più sentimento che ragione; perciò, volendo conoscere se stessi, occorre ascoltare il proprio cuore. Lhomme de la nature, lontano dal frastuono del mondo, ha potuto finalmente dedicarsi a quello scavo interiore che dovrà servire come pietra di paragone per lo studio del cuore umano; per questo motivo Lévi-Strauss ha intravisto in Rousseau il fondatore dellodierna science de lhomme, pur avendo interpretato il comportamento degli uomini in base al proprio intimo.
Secondo lhomme de la nature quella degli illuministi francesi è una ragione senza saggezza, in quanto essi, collaborando con il potere politico, contribuiscono nel rendere legittima la schiavitù degli uomini; a parere di Rousseau luomo di lettere deve essere indipendente perché chi ha scelto il triste ufficio di dire la verità agli uomini devessere libero da ogni legame che turbi la propria lucidità di giudizio (in questo senso lesilio diviene una necessità ideale).
Unaltra delle tematiche care al nostro promeneur solitaire è quella della libertà individuale: ma, mentre Rousseau uomo non è riuscito a concepirla se non come fuga dalla società corrotta del XVIII secolo, luomo di Rousseau, al contrario, ha ben compreso che la libertà naturale non gli poteva dare alcun vantaggio senza la libertà etica (conseguibile soltanto attraverso una trasformazione radicale dellordine sociale).
Il Rousseau uomo afferma (nellEmile) che la libertà non è in alcuna forma di governo, sta nel cuore delluomo libero; perciò, come dice bene Groethuysen, il valore essenziale delluomo non può essere determinato dalla società in quanto egli lo ha in se stesso. Non a caso Jean Jacques si è sentito veramente se stesso soltanto lontano dagli artifici sociali, ossìa in quei luoghi solitari e selvaggi da lui percepiti come un ritorno allo stato di natura; questo sta a dimostrare qualè sempre stata la sua vocazione segreta, divisa tra il ritiro in spazi circoscritti ed il moto continuo del promeneur solitaire (come ha sottolineato L. Sozzi).
Ma luomo di Rousseau concepisce la libertà in tuttaltro modo: infatti soltanto la libertà morale (che acquista entrando a far parte del corpo politico)... rende luomo veramente padrone di sé; perché limpulso del solo appetito è schiavitù, mentre lobbedienza alla legge che ci siamo prescritta è libertà (si legge nel Contrat).
In realtà questo individualismo è solo apparente: infatti il pensatore ginevrino sa bene che non vè soggezione tanto perfetta quanto quella che conserva lapparenza della libertà. Esiste quindi unevidente analogia tra leducazione naturale e la politica rousseauiana: infatti allo stesso modo in cui Emile sillude di essere libero, ma in realtà dipende totalmente della volontà del suo precettore, il cittadino del Contrat presume di essere il sovrano, quando invece aliena tutti i suoi diritti naturali nello Stato.
Ma se, come abbiamo visto, con la sua costruzione pedagogico-politica il nostro Jean Jacques ha aperto un varco al totalitarismo, è pur vero che egli, in quanto uomo, ha difeso strenuamente unindividualità di tipo eccezionale e romantica. Vedendo infranto il suo sogno più grande, consistente nel poter vivere in una comunità di uomini liberi e trasparenti gli uni agli altri, Jean Jacques dal 1762 (anno della condanna del Contrat e dellEmile e del mandato darresto contro la sua persona, sia in Francia che in Svizzera) si è rassegnato ad essere per sempre sfigurato dagli uomini del suo secolo per scoprire che la felicità esiste: non va ricercata nelle cose esteriori in quanto è dentro di noi, cosicchè non dipende dagli uomini di rendere veramente miserevole chi sa voler essere felice . Ormai convinto di essere vittima di un complotto universale, Rousseau si sente tranquillo in fondo allabisso (lo dice nelle Rêveries du promeneur solitaire) in quanto il male, giunto al culmine, non può più accrescersi; nei luoghi solitari e selvaggi (simbolo trasparente di una confortante interiorità) egli sabbandona al solo sentimento dellesistenza (proprio come il selvaggio che non ha nessuna idea dellavvenire) e al sottile piacere di fantasticare, convertendo così il dolore in gioia (è questo il significato profondo della rêverie). Ora sappiamo perché nel secolo dei Lumi il cittadino di Ginevra si è sempre sentito un essere a parte, definendo la propria vita come una lunga fantasticheria divisa in capitoli dalle mie passeggiate di ogni giorno.
Perciò nella contrapposizione tra ciò che è anti-naturale (la società, intesa come regno della corruzione e dellipocrisia) e ciò che è, invece, autentico, naturale e trasparente (Rousseau uomo e la natura) possiamo intravedere la difesa dei diritti sacri dellio; con il nostro promeneur solitaire ha inizio quel rapporto maledetto tra individuo e società, caratteristica peculiare delletà romantica. Ecco che cosa ci ha insegnato questanima dolce e tormentata: a non naufragare nel dilagante conformismo e a difendere strenuamente la nostra preziosa individualità.
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Una bibliografia completa delle opere critiche su Rousseau (fino al 1990) è contenuta nel recente lavoro di G. Roggerone e di Pia I. Vergine, Bibliografia degli studi su Rousseau (1941-90), Milella, Lecce, 1992. La possibilità di utilizzare questo strumento ci solleva dallobbligo di compilare una nuova bibliografia delle opere e degli studi critici. Ci limitiamo pertanto a segnalare i titoli delle opere apparse immediatamente dopo il 1990.
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Tra le riviste più importanti nate in nome di Rousseau ricordiamo la rivista ginevrina Annales de la Societé J. J. Rousseau, fondata nel 1905 e tuttora esistente, pur se di irregolare periodicità (a cui è stata affiancata dal 1986 Etudes J. J. Rousseau per iniziativa di Tanguy LAminot), oltreché il fondamentale Dictionnaire de J. J. Rousseau a cura di Raymond Trousson e Frédéric S. Eigeldinger (Champion, Paris, 1996) in cui si trovano esaurienti voci e aggiornate bibliografie, non solo per ogni opera, ma anche per i temi salienti, le persone, i luoghi delluniverso rousseauiano.
1 Vedrine M., Les Charmettes, Les amis des musées, Chambéry, s.d., p. 3.
2 Lettera IV a Malesherbes, in Lettere, p. 210.
3 B. Constant, De la liberté des anciens comparée à celle des modernes (1819), in Constant, a cura di C. Cordié, Hoepli, Milano, 1946, p. 215 (dora in poi soltanto De la liberté...). Per la rispettosa critica di Constant si veda il cap. XI (par. 3) del presente lavoro.
4 H. Taine, Les origines de la France contemporaine, vol. I, Lancien Régime (1876), trad.it. di P. Bertolucci, Boringhieri, Torino, 1961, p. 438. Dora in poi soltanto Les origines..., vol. I.
5 Nell Introduzione alle Confessioni (traduzione di M.Rago, Torino, Enaudi, 1978, p. XII) Guéhenno sostiene che Rousseau, con le sue «memorie», ci ha ridato il senso della vita interiore e che «gli scrittori sono divenuti sulle sue orme, come una sorta di confessori, di direttori di coscienza, di pescatori di anime, stabilendo tra loro e i lettori una complicità deliziosa. Quanti discepoli Rousseau ha trovati! Goethe, Byron, Chateaubriand, Stendhal, Baudelaire, Whitman,Thoreau, Amiel, Tolstòj, Dostojevskij, Proust».
6 Nello scrivere le sue «memorie» Rousseau si abbandona al ricordo dellimpressione ricevuta e al sentimento presente: «facendo rinascere per me il tempo passato, la mia esistenza, direi quasi, ha da risultarne come raddoppiata» (Rêveries, I, in Opere, p. 1324); in tal modo egli avvia una ricerca analoga alla Recherche di M. Proust: vivere doppiamente, del ricordo dellimpressione passata e dellimpressione presente, nel godimento acuto dellintervallo che separa il momento che non è più dal momento che non è ancora.
7 Si è verificato quel processo che lo psicologo tedesco W. Wundt ha denominato eterogenesi dei fini, una legge secondo la quale «... la storia realizza fini diversi da quelli che gli individui o i gruppi si propongono. Il che agevolmente sintende quando solo si pensi che se la volizione e lazione sono del singolo, laccadimento è del Tutto...» (F. Focher, C. Cattaneo: luomo e la storia, Ed. Mursia, Milano, 1973, p.151).
8 Questidea non sarebbe potuta nascere senza lettura del saggio introduttivo di L. Sozzi agli Scritti autobiografici (Torino, Einaudi, 1997, p. 14).
9 Rêveries, II, in Opere, p. 1330.
10 H. Taine, Les origines..., vol. I, p. 387.
11 Confessions, IX, in Opere, p. 977.
12 J. Roussel, J. J. Rousseau en France après la Révolution, 1795-1830. Lecture et légende, A. Colin, Paris, 1972.
13 E questo il Rousseau teorico dei piccoli Stati che conserva gli usi e i costumi tradizionali, di cui si fanno portavoce nel secolo scorso Musset-Pathay (Storia della vita e delle opere di Rousseau del 1821) e, in tempi più recenti, I. Fetscher (La filosofia politica di Rousseau, Feltrinelli, Milano, 1972) e R. Derathé, il quale scrive nellIntroduzione al Contratto sociale (a cura di V. Gerratana, Torino, 1966, p. XIV) che «Rousseau si rivolge ai popoli rustici, come la Corsica o la repubblica di Ginevra, perché è un paese libero e semplice dove si trovano uomini antichi in tempi moderni».
14 E. Garin, Introduzione agli Scritti politici, a cura di M. Garin, 3 voll., Laterza, Bari, 1971.
15 P. Burgelin, La philosophie de lexistence de J. J. Rousseau, Slatkine, Genève, 1978.
16 A. Muzzarelli, Gian Jacopo Rousseau accusator de filosofi (1798); già qualche anno prima (1794) in un opuscolo intitolato La verità, o Jean Jacques che mostra a Robespierre il libro dei destini Ptivar aveva scritto: «O buon Jean Jacques se tu avessi potuto vedere come si è abusato del tuo nome e delle tue opere immortali per ricavarne lezioni di oppressione e di tirannia! Gli scritti dellapostolo della libertà e della dolcezza sono diventati catene e pugnali nelle mani di pochi sanguinari».
17 J. Martin, Jean Jacques Rousseau ai francesi (1803); lanno precedente nella sua Legislazione primitiva L. de Bonald si era detto lieto che Rousseau, «linsensato che ha teorizzato la rivolta contro la natura», fosse stato posto nel Panthéon accanto a Marat, «il pazzo che quella rivolta ha messo in pratica».
18 H. Taine, Les origines..., vol. I, op. cit., p. 328.
19 G. De Ruggiero, Storia del liberalismo europeo, Laterza, Bari, 1925, p. 68.
20 G. H. Sabine, Storia delle dottrine politiche, Etas Kompass, Milano, 1967 (1 ed. it. 1953) : lautore vede in Rousseau il fondatore del nazionalismo romantico in quanto questultimo, intendendo luniversale incarnato nella volontà generale di uno Stato particolare, finisce per dare alla volontà generale una connotazione particolare (che diviene così la volontà della Nazione).
21 J. L. Talmon, Le origini della democrazia totalitaria, Il Mulino, Bologna, 1967 (1 ed. 1952).
22 L. G. Crocker, Il «Contratto sociale» di Rousseau, tr. it. di P. Pasqualucci, Torino, 1971. Si veda anche limportante lavoro di J. W. Chapmann, Rousseau totalitario o liberale?, tr. it. a cura di A. Prontera e N. DElia, Lecce, 1974.
23 S. Cotta, La position du problème de la politique chez Rousseau, in AA. VV., Etudes sur le «Contrat social» de J. J. Rousseau. Actes des journées d'étude tenue à Dijon, Les Belles Lettres, Paris, 1964.
24 F. A. Hayek, Nuovi studi di filosofia, politica, economia, storia delle idee, Armando Editore, Roma, 1988, p.135.
25 V.Mathieu, Cancro in Occidente, Editoriale Nuova, Milano, 1980, p.37.
26 Paolo Rossi, Introduzione alle Opere, op. cit.
27 D. Felice, J. J. Rousseau in Italia. Bibliografia dal 1816 al 1986, Clueb, Bologna, 1987.
28 G. Della Volpe, Rousseau e Marx e altri saggi di critica materialistica, Roma, 1956.
29 L. Colletti, Ideologia e società, Laterza, Bari, 1970. In proposito vanno tenuti presenti anche i lavori di U. Cerroni, Marx e il diritto moderno (Roma, 1962) e di V. Gerratana, Ricerche di storia del marxismo (Roma, 1972).
30 R. Derathé, J. J: Rousseau e la scienza politica del suo tempo, Il Mulino, Bologna, 1993 (1 ed. 1950). Lautore sostiene che nel sistema politico rousseauiano le garanzie destinate a difendere concretamente i diritti individuali non sono sufficientemente definite.
31 B. Constant, De la liberté..., op. cit., p.215.
32 R. Trousson, Rousseau et sa fortune litteraire, Ducros, Bordeau, 1971.
33 E. Cassirer, Il problema G. G. Rousseau, La Nuova Italia, Firenze, 1938.
34 R. Derathé, J. J: Rousseau e la scienza politica del suo tempo, op. cit.
35 M.Viroli, J. J. Rousseau e la teoria della società bene ordinata, Il Mulino, Bologna, 1993.
36 L. Rizzi, Liberalismo etico e religione civile in Rousseau, Franco Angeli, Milano, 1998.
37 H. Taine, Les origines..., vol. I, op. cit., p.322.
38 J. Guéhenno, Jean Jacques, 3 voll., Gallimard, Paris, 1962 (1 ed. 1948-52).
39 L. G. Crocker, Jean Jacques Rousseau, 2 voll., The Macmillan Company - Collier Macmillan Limited, New York - London, 1968-73.
40 R. Trousson, Jean Jacques Rousseau, 2 voll., Tallanider, Paris, 1988-89.
41 M. Cranston, Jean Jacques, 2 voll., Allen Lane, London, 1983-91.
42 J. Starobinski, La trasparenza e lostacolo, Il Mulino, Bologna, 1982.
43 B. Groethuysen, Filosofia della rivoluzione francese, trad. it. a cura di G. Tarizzo, Milano, 1967.
44 P. Casini, Introduzione a Rousseau, Laterza, Roma, 1981.
45 L. Sozzi, Introduzione agli Scritti autobiografici, Einaudi (Biblioteca Pléiade), Torino, 1997.
46 E. Cassirer, Il problema G. G. Rousseau, La Nuova Italia, Firenze, 1938, p. 14.
1 Oeuvres complètes, vol.I, p. 1165.
V. Sottile Scaduto, Introduzione alle Confessioni, Torino, Utet, 1956, p. 7.
La tesi del patto con il lettore, ripresa da L. Sozzi e da J. Guéhenno, è stata per la prima volta formulata da F. Orlando nel suo Infanzia, memoria, storia da Rousseau ai romantici, Liviana, Padova, 1966.
Confessions, VIII, in Opere, p. 975.
ivi, VII, in Opere, p. 904.
J. Guéhenno, Introduzione alle Confessioni, op. cit., p. VI.
ivi.
Nel 1757 Diderot scrive nel suo Fils naturel questa considerazione, chiara allusione alla scelta fatta da Rousseau.
Confessions, X, in Opere, p. 1041.
Lettera I a Malesherbes, in Lettere, p. 197. Il corsivo è nostro.
Confessions, XI, in Opere, p. 1071.
Lettera II a Malesherbes, in Lettere, p. 199.
Confessions, I, in Opere, p. 747. Il titolo in esteso di questopera «senza esempi e senza imitatori» (ivi) è il seguente: Le confessioni di J. J. Rousseau contenenti i particolari della sua vita e dei suoi sentimenti in tutte le situazioni nelle quali si è trovato.
J. Guéhenno, Introduzione alle Confessioni, pp. 5, 6.
Confessions, XII, in Opere, p. 1085; Confessions, VII, in Opere, p. 904.
A. Pizzorusso, Le «personae» nei Dialoghi, in AA.VV., Rousseau secondo Jean Jacques, Università di Ginevra, 1979 (Treccani, Roma,1980, p. 72). Lautore nota che in questo scritto Rousseau si sdoppia: si descrive quale gli altri lo vedono deformando la sua immagine e ignorando la sua vera natura per poi farla emergere nel suo ideale profilo. Riguardo alla tematica del «misantropo» scrive Rousseau: «...il vero misantropo...non si nasconderebbe in solitudine...Chi odia gli uomini vuole fare loro del male, e per far del male non deve fuggirli. I malvagi non sono nel deserto, sono qui in mezzo a noi» (Dialogues, II, in Opere, p. 1198).
Ci riferiamo allepigrafe di Ovidio contenuta in apertura dei Dialogues (in Opere, p. 1123) «Barbarus hic ego sum, quia non intelligor illis» («Per loro sono un barbaro perché non mi capiscono»).
Rimandiamo la trattazione del significato della rêverie al capitolo VI del presente lavoro.
Rêveries, I, in Opere, p. 1324. Abbiamo ritenuto opportuno sostituire nella presente traduzione il termine «fantasie» con «fantasticherie». Rousseau ritiene il fantasticare unattività che «mi riposa e mi diverte», mentre considera il pensare «un occupazione penosa» (Rêveries, VII, in Opere, p. 1358).
Rêveries, II, in Opere, p. 1325.
ivi, I, p. 1324.
Oeuvres complètes, vol.I, p. 1165.
H. Taine, Les origines..., vol I, p. 322.
Scrive V. Mathieu. «Ciò che non si lascia dividere, non si lascia neppure ricostruire, e ciò che non si lascia ricostruire, non può essere oggetto di scienza. Non sarà mai il risultato di un processo, non è un concetto scientifico. La scienza verifica costruendo, o ricostruendo, perchè afferma solo ciò che produce secondo un progetto; ma lindividuo non può essere prodotto secondo un progetto; dato che ciò che si progetta è sempre un assembramento di parti, non «lindivisibile» (V. Mathieu, Perchè punire, Rusconi, Milano, 1978, p. 31 in F. Focher, La consapevolezza dei principii, Franco Angeli, Milano, 1995, p. 131).
H. Taine, Les origines..., vol. I, p. 321.
Oeuvres complètes, vol.I, p. 1165.
Confessions, III, in Opere, pp. 808, 809.
P. Casini, Introduzione a Rousseau, Laterza, Roma, 1981, p. 9.
Confessions, IV, in Opere, p. 836; ivi, III, p. 809.
Seconda Prefazione alla Nouvelle Héloïse, in Giulia o la Nuova Eloisa, a cura di E. Pulcini, Bur, Milano, 1994 (II ed.), p. 37.
Confessions, I, in Opere, pp. 764, 765. Cfr. lautoritratto presente nella lettera II a Malesherbes, in Lettere, p. 199.
Lettera IV a Malesherbes, in Lettere, p. 210.
H. Taine, Les origines..., vol. I, p. 382.
Lettera II a Malesherbers, in Lettere, pp. 199, 200.
Confessions, I, in Opere, p. 756: «Questa prima impressione... dellingiustizia è rimasta... profondamente incisa nella mia anima» (ivi, p. 755).
«Veniamo ingannati dallapparenza del giusto» : la massima è di Orazio (De Arte Poetica, verso 25) e si trova nella prefazione al Discours sur les sciences et les arts (dora in poi soltanto primo Discours), in Opere, p. 3.
Confessions, I, in Opere, p. 762.
Ivi, p. 769.
Ivi, II, in Opere, p. 784.
Ci stiamo riferendo rispettivamente allanno 1731 (Confessions, IV, in Opere, p. 835) e agli anni 1743-44 (Confessions, VII, in Opere, pp. 913-924).
Confessions, VII, in Opere, p. 932. Nel libro IX delle Confessions (in Opere, p. 984). Rousseau scrive: «Presto, a furia di occuparmene, non vidi più che errore e follia nella dottrina dei nostri saggi, che oppressione e miseria nel nostro ordine sociale».
Scrive H. Taine: «Si riconoscono, attraverso la teoria, laccento personale, il rancore del plebeo povero, inasprito, che entrando nel mondo, ha trovato tuttti i posti già presi e non ha potuto farsi il suo, che nota nelle sue confessioni il giorno a partire dal quale egli ha smesso di soffrire la fame, che, in mancanza di meglio, vive in concubinaggio con una serva e mette i suoi cinque figli allospedale...» (Les origines ..., vol. I, p. 329).
P. Casini, Introduzione a Rousseau, p. 9.
J. Starobinski, La trasparenza e lostacolo, Il Mulino, Bologna, 1982, p. 12.
Oeuvres complètes, vol. I, pp. 1150, 1151.
H. Taine, Les origines ..., vol. I, p. 329.
Confessions, XI, in Opere, p. 1074.
Lettera IV a Malesherbes, in Lettere, p. 208.
Confessions, IV, in Opere, pp. 837, 838. In queste pagine Rousseau racconta di avere incontrato un contadino che doveva fingersi povero per non pagare le tasse.
«Si sa che i cattivi e i tiranni mi hanno sempre avuto nellodio più mortale anche senza conoscermi, solo per aver letto i miei scritti « scrive Rousseau nel libro XII delle Confessions (in Opere, p. 1085).
Queste idee sono nate grazie alla preziosa lettura del libro di Taine, già citato più volte (Les origines..., vol. I); il Taine descrive con grande maestria il successo strepitoso ottenuto da Rousseau : la sua «voce potente si apre una breccia al di là dei salotti fino alla folla sofferente e rozza..., i cui sordi risentimenti trovano per la prima volta un interprete» (ivi, p. 326); possiamo ben dire che «la seconda metà del secolo gli appartiene» (ivi, p. 383).
H. Taine, Les origines ..., vol. I, p. 450.
Rêveries, VI, in Opere, p. 1355.
Confessions, XII, p. 1121.
Lettera II a Malesherbes, in Lettere, p. 200.
Confessions, VIII, in Opere, p. 946.
ivi, VIII, in Opere, p. 945. Nel gennaio del 1762 Rousseau confessa a Malesherbes che «quandanche vivessi altri centanni non scriverei più una riga da pubblicare, e crederei davvero di ricominciare a vivere solo quando fossi stato del tutto dimenticato» (lettera IV a Malesherbes, in Lettere, p. 209); nelle Rêveries (VII, in Opere, p. 1358) lo scrittore parla degli «inconvenienti di una fama sciagurata» ; nelle Confessions (XII, in Opere, p. 1093) egli ritiene un «mestiere funesto» lo «scrivere libri»; nei Dialogues (I, in Opere, p. 1170) Rousseau afferma che «questo mostro ha vissuto per quarantanni generalmente stimato e ben voluto. Dobbiamo precisare che in alcuni momenti della sua vita il pensatore ginevrino ha, invece mostrato una notevole sensibilità alla gloria letteraria: per esempio dopo aver abbandonato il lavoro al catasto di Chambéry (1732) è ben contento di essere accolto nel «bel mondo» (Confessions, V, in Opere, p. 851) così come in seguito al successo del suo Devin du village egli sostiene: «a Parigi non vi fu uomo più ricercato di me...» (Confessions, VIII, in Opere, p. 956).
ivi. Si risolve il dualismo emozione-ragione (vedi cap. I, par. 3, del presente lavoro).
Lettera II a Malesherbers, in Lettere, pp. 200, 201. A conseguenza di questo episodio «tutte le mie piccole passioni furono soffocate dallentusiasmo per la verità, la libertà, la virtù...» (Confessions, VIII, in Opere, p. 946.
Ivi, p. 200.
Confessions, IX, in Opere, p. 977.
La critica di Paolo Rossi (Introduzione alle Opere, p. XXIII) verso coloro che tendono a semplificare in modo eccessivo lanalisi di Rousseau uomo ci trova pienamente concordi.
Confessions, I, in Opere, p. 747; «egli è luomo della natura» afferma Rousseau sul conto di Jean Jacques (Dialogues, III, in Opere, p. 1286).
«Consacrare la vita alla verità»: Giovenale, Satirae, IV, 91. Questo motto funge da epigrafe alle Lettres écrites de la montagne (in Scritti politici, p. 847).
Jean Jacques è nato a Ginevra, la città di Calvino, che dal 1541 (anno di riorganizzazione della Chiesa in senso protestante) era diventata il centro dirradiazione di una fede intransigente. Calvinismo significa morale austera, ascesi intramondana, senso della « vocazione» che deriva dal sentirsi predestinati dal Dio inflessibile del Vecchio Testamento: le «opere buone» non contano ai fini della salvezza ma sono valide come «frutti della vocazione» e doverose come modo per onorare Dio.
«Mio padre... mi amava molto teneramente, ma amava anche i suoi piaceri» commenta Rousseau (Confessions, II, in Opere, p. 775), il quale viene abbandonato dal padre nel 1722: in seguito ad una rissa Isaac si vide costretto a riparare a Nyon per non finire in galera.
Confessions, IV, in Opere, p. 883.
ivi, XI, p. 1062.
ivi, XII, p. 1092.
ivi, XI, p. 1077. Il corsivo è nostro.
ivi, XII, p. 1089.
Emile, V, in Opere, p. 707 ; Confessions, IX, in Opere, p. 978.
In unepoca in cui la regola era la pubblicazione anonima, Rousseau ha sempre voluto firmare i suoi scritti «J.J. Rousseau cittadino di Ginevra» per assumersene la piena responsabilità (come ci riferisce lui stesso nella prima prefazione alla Nouvelle Héloïse ). Lorgoglio dessere nato a Ginevra si fa sentire anche nelle prime pagine del Contrat social : «Nato cittadino di uno stato libero...» recita con fierezza lhomme de la nature et de la vérité (nel libro I, in Scritti politici, p. 720); evidentemente la consapevolezza dessere nato in una città-Stato famosa per la serietà e lefficienza dei suoi magistrati gli ha sempre permesso di non strisciare di fronte ai potenti (infra, cap. II, par. 1).
Confessions, VIII, in Opere, p. 970.
Lettera IV a Malesherbes, in Lettere, p. 208; Confessions, VIII, in Opere , p. 949.
Rêveries, III, in Opere, p. 1332. Sulla riforma esteriore cfr. Confessions, VIII, in Opere, pp. 953-954. Il posto che Rousseau occupava nel 1751 era quello di segretario presso Francueil. Ricordiamo che già nel 1732 Jean Jacques aveva lasciato un posto di lavoro «onesto e con una retribuzione fissa» (al catasto di Chambéry) per « guadagnarsi il pane» dando lezioni di musica (Confessions, V, in Opere, pp. 850-851); «sicuramente debbo esser nato per questarte (la musica), giacché ho cominciato ad amarla dalla mia infanzia, ed è stata la sola che ho amata costantemente in tutti i tempi» sostiene lo scrittore (ivi, p. 847). Oltre a scrivere gli articoli riguardanti la musica sullEncyclopédie (1749), Rousseau ottiene un grande successo con le sue opere teatrali e musicali (memorabile il consenso ottenuto di fronte al re Luigi XV a Fontainebleu nel 1752 con il Devin du village).
Confessions, I, in Opere, p. 766.
ivi, p. 749.
ivi, IX, in Opere, p. 976. Nei Dialogues Rousseau dice di Jean Jacques: «fa il suo lavoro quando e come gli piace e non deve rendere conto a nessuno della propria giornata... E se stesso e appartiene a se stesso tutti i giorni...» (II, in Opere, p. 1233).
L. Sozzi, Introduzione agli Scritti autobiografici, op. cit., p. XVI.
Rêveries, III, in Opere, p. 1332: «tutto mi obbligava a quella grande revisione di cui sentivo da tempo il bisogno...» -recita lo scrittore ginevrino.
Emile, I, in Opere, p. 353.
Rêveries, III, in Opere, p. 1332.
Nelle Rêveries (IV, in Opere, p. 1337) lo scrittore ginevrino è costretto ad ammettere che il «Conosci te stesso» non era «una massima facile da seguire».
Primo Discours, parte II, in Opere, p. 17.
J. Starobinski, La trasparenza ..., op. cit., p. 121.
E. Garin, Introduzione agli Scritti politici, 3 vol., a cura di M. Garin, Laterza, Bari, 1971 ; dora in poi soltanto Scritti politici (Garin). Il passo citato è di L. Colletti, Ideologia e società, Laterza, Bari, 1969, p. 198.
Confessions, I, in Opere, p.747.
Fragment sur la liberté, in Opere, p. 193.
Lettera IV a Sophie dHoudetot, in Lettere, p. 157.
Dialogues, III, in Opere, pp. 1284, 1285: «Il pittore e lapologista della natura... donde può aver tratto il proprio, se non dal proprio cuore? Lha descritta quale lui sentiva di essere». Cfr. ivi, I, p. 1163.
Confessions, X, in Opere, p. 1041.
R. Vitiello, Introduzione alle Lettere morali, op. cit.
J. Starobinski, La trasparenza... ,op. cit.
Confessions, XI, in Opere, p. 1064.
Dialogues, II, in Opere, p. 1240. Si veda anche il libro IX delle Confessions, in Opere, p. 1001.
Confessions, XII, in Opere, p. 1122.
Rêveries, IV, in Opere, p. 1345.
Confessions, I, in Opere, p. 747. Ritroviamo la stessa affermazione nelle Rêveries (IV, in Opere, p. 1344).
Rêveries, IV, in Opere, p. 1345.
ivi .
J. Guéhenno, Introduzione alle Confessioni, op. cit., p. XI.
V. Sottile Scaduto, Introduzione alle Confessioni, op. cit., p. 6.
Rêveries, VI, in Opere, p. 1353.
ivi, IV, in Opere, p. 1337; Confessions, II, in Opere, pp. 792,793.
Rêveries, IV, in Opere, p. 1337.
Confessions, II, in Opere, p. 793.
Rêveries, IV, in Opere, p. 1346.
Dialogues, II, in Opere, p. 1190.
Confessions, VIII, in Opere, p. 949.
ivi, I, in Opere, p. 748. Rousseau nasce il 28 giugno 1712, mentre la madre muore il 7 luglio di febbre continua; il piccolo Jean Jacques verrà allevato da zia Suzanne.
J. Starobinski, La trasparenza... , op. cit., p. 263.
P. Casini, Introduzione a Rousseau, p. 12.
ivi. Il passo citato è tratto dalla prima lettera a Malesherbes (in Lettere, p. 198). Legocentrismo di Rousseau scaturisce anche dai seguenti passi tratti dalle Confessions: «mi credo ancora il migliore degli uomini...» (X, in Opere, p. 1041) ; «Essere eterno... raccogli attorno a me linnumerevole folla dei miei simili: che ascoltino le mie confessioni, che arrossiscano per le mie indegnità, che gemano per le mie miserie... e poi uno solo Ti dica, se osa: io fui migliore di quelluomo...» (ivi, I, p. 747).
Rêveries, X, in Opere, p. 1377.
Confessions, II, in Opere, p. 772. Luisa Eleonora di Warens, allora ventinovenne, di nobile famiglia, divorziata dal 1727, viene descritta dal parroco di Confignon come una «buona signora molto caritatevole, che i benefici del re (di Sardegna) mettono in condizione di liberare le anime dallerrore dal quale lei stessa è uscita (si era convertita al cattolicesimo, abiurando la religione protestante)...» (ivi, p. 771).
Confessions, III, in Opere, p. 804: «Sin dal primo momento si stabilì tra noi la più dolce familiarità... Piccolo fu il mio nome; mammà il suo e restammo sempre Piccolo e mammà».
Rêveries, X, in Opere, p. 1378. Cfr. Confessions, VI, in Opere, p. 872: «Comincia ora la breve felicità della mia vita; cominciano ora i dolci ma fuggitivi momenti che mi hanno dato il diritto di dire che ho vissuto».
Confessions, V, in Opere, p. 872.
Rêveries, X, in Opere, p. 1378.
Confessions, VI, in Opere, p. 879: «Cominciamo a farci un magazzino di idee vere o false, ma precise, in attesa che la mia testa ne sia ben fornita per poterle confrontare e scegliere».
ivi, V, in Opere, p. 856.
ivi. Siamo nel 1733 a Chambéry; lui ha 21 anni, lei 34.
Confessions, V, in Opere, p. 859.
ivi, VI, pp. 893-895.
ivi, VII, p. 935 e p. 905 (nota dellautore). Rousseau fa la conoscenza di Thérèse nel 1745 in un albergo di Parigi dovella svolgeva il mestiere di cucitrice; Marie-Thérèse Levasseur, allora poco più che ventenne, proveniva da una «buona famiglia orléanese».
ivi, IX, p. 982.
ivi, VII, p. 905.
ivi, IX, p. 989.
E. Pulcini (a cura di), Introduzione a Giulia o la Nuova Eloisa, Bur, Milano, 1994 (II ed.), p. XLII. Rousseau spiega la sua paura delle donne nel libro V dellEmile (in Opere, pp. 612, 613).
Confessions, III, in Opere, p. 794.
J. Starobinski, La trasparenza..., op. cit., p. 265.
Confessions, I, in Opere, p. 753.
Ci riferiamo ai soli piaceri del sesso che Rousseau confessa daver provato nel 1737 con Madame de Larnage, quarantacinquenne (Confessions, VI, in Opere, p. 889), e alle diverse avventure con prostitute (durante il soggiorno veneziano del 1743-44) che Jean Jacques giustifica con «la vergogna di mostrare diffidenza» verso gli amici che avevano avuto lidea «e, come si dice a quel paese per non parere troppo coglione...» (ivi, VII, p. 926); egli attribuisce la colpa di questa decisione ai costumi veneziani, avendo sempre sentito «avversione per le ragazze pubbliche» (ivi, I, p. 765).
A Parigi, così come a Venezia, il nostro homme de plaisir provvede, insieme ad una compagnia di «libertini», al mantenimento di una ragazzina appena adolescente; ma mentre a Venezia egli aveva sentito «orrore davvicinarmi a questa bimba... come di un incesto abominevole...» (ivi, VII, pp. 929, 930), a Parigi le cose andarono diversamente: una sera «i discorsi e il vino ci misero in allegria al punto da farci dimenticare noi stessi... Uno alla volta passammo... nella camera vicina con la povera piccola che non sapeva se dovesse ridere o piangere...» (ivi, VIII, p. 948).
ivi, IX, p. 999.
ivi, IX, p. 997 e p. 1000. A Sophie Rousseau scriverà le sei Lettres morales (nel 1758) che possono essere viste come una specie di breviario della saggezza: lo scrittore, infatti, simprovvisa direttore spirituale della contessa dHoudetot.
ivi.
Nella situazione sopradescritta loggetto reale (Sophie) si sovrappone alloggetto immaginario (Julie), ereditandone agli occhi di Jean Jacques ogni perfezione ed incanto: «Venne, la vidi, io ero ebbro damore senza oggetto; questa ebbrezza affascinò i miei occhi, questo oggetto si fissò su lei, vidi la mia Giulia nella signora dHoudetot, ma rivestita di tutte le perfezioni di cui avevo ornato lidolo fittizio del mio cuore» (ivi, p. 998).
J. Guéhenno, Introduzione alle Confessioni, op. cit., p. VII. Non è esatto dire -come Voltaire ha inteso dire- che Rousseau «fece morire la madre « di Thérèse; è semplicemente accaduto che nel 1757 Jean Jacques si era stancato di avere presso di sé la suocera (accusata di fare parte della «cricca holbacchiana»), decidendo così di rimandarla a Parigi (impegnandosi nel «provvedere al suo sostentamento»); lepisodio è narrato dallo scrittore nel libro IX delle Confessions (in Opere, p. 1025). Al pari di Voltaire, H.Taine giudica Rousseau come un uomo che, «in mancanza di meglio, vive in concubinaggio con una serva e mette i suoi cinque figli allospedale...» (Les origines... , vol. I, p. 329).
J. Guéhenno ci spiega (ivi, pp. VII, VIII) che Jean Jacques «chiese al suo editore di Parigi, Duchesne, di riprodurre lopuscolo al quale si accontentò di aggiungere alcune note nelle quali negava... labbandono dei figli: Non ho mai esposto -dichiarava- né fatto esporre nessun figlio alla porta di alcun ospedale o altrove. Rousseau sapeva di mentire» ma forse non era abbastanza lucido per avvedersi che «quellopuscoletto sarebbe bastato a comprovare» che egli non era lhomme de la vérité (come voleva far credere nelle sue opere), bensì un «saltimbanco».
Confessions, VII, in Opere, p. 942. La compagnia dei «libertini» ha sempre entusiasmato Rousseau fin dallepoca dei suoi primi vagabondaggi: nelle Confessions (III, in Opere, p. 815) parla di un «amabile libertino», suo grande amico.
ivi, VIII, pp. 949, 950.
ivi, p. 949.
ivi.
Confessions, XII, in Opere, p. 1086.
Emile, I, in Opere, pp. 360, 361: «Ma gli affari, le funzioni, i doveri... Ah! i doveri! Senza dubbio lultimo è quello di padre... I fanciulli allontanati, dispersi nei convitti, nei conventi, nei collegi... vi contrarranno labitudine a non essere affezionati a niente!... Un padre, quando genera e alimenta dei figli, non fa con ciò che una terza parte del suo compito. Egli deve dare uomini alla sua specie, uomini socievoli alla società, cittadini allo stato. Ogni uomo che, potendo pagare questo triplice debito, non lo fa è colpevole, e più colpevole forse quando lo paga soltanto a metà... Non cè povertà, né lavoro, né rispetto umano, che lo dispensino dal nutrire i suoi figlioli e dalleducarli da sé.»
Rêveries, XI, in Opere, p. 1372. Nella stessa promenade lo scrittore dice di amare la vista dei fanciulli che giocano insieme e che se ha «fatto qualche progresso nella conoscenza del cuore umano, la debbo proprio al piacere provato nel guardare e osservare i fanciulli» (ivi).
Ivi, p. 1371.
Dialogues, II, in Opere, p. 1218.
Rousseau ha svolto il mestiere di precettore nel 1740 a Lione presso il magistrato J. Bonnot de Mably, fratello del celebre abate filosofo e di Condillac («quando i miei allievi non mi comprendevano andavo fuori dai gangheri e quando mostravano cattiveria li avrei uccisi...», racconta Jean Jacques nelle Confessions, VI, in Opere, p. 897) e nel 1742-43 a Parigi presso Madame Dupin ( «... trascorsi questi otto giorni in un suplizio che solo il piacere di obbedire alla signora Dupin poteva rendermelo sopportabile... Non mi sarei accollati altri otto giorni, neanche se la signora Dupin (di cui era innamorato) si fosse data a me per ricompensa» spiega lo scrittore nelle Confessions, VII, in Opere, p. 912).
J. Starobinski, La trasparenza..., p. 357; il passo sopracitato è contenuto nei Dialogues, II, in Opere, p. 1218.
Dialogues, II, in Opere, p. 1219. Cfr. le stesse affermazioni nel presente lavoro al cap. III, par. 2.
M. A. Raschini, Da Bacone a Kant. Storia del pensiero occidentale, Marzorati, Milano, 1973, p. 426.
Rêveries, VIII, in Opere, p. 1369; ivi, IX, p. 1376. Osserva P. Rossi: «... le passeggiate hanno due versanti che si presentano strettamente intrecciati: luno volto verso luomo, ed è il versante oscuro, laltro volto verso la natura, ed è il versante chiaro» (Introduzione alle Opere, p. LXVII).
L. Sozzi, J. J. Rousseau, Franco Angeli, Milano, 1985, p. 18.
Fragment sur la liberté, in Lettere, p. 193.
Emile, V, in Opere, p. 706. Il corsivo è nostro.
B. Groethuysen, Filosofia della rivoluzione francese, a cura di G. Tarizzo, Milano, 1967, p. 230.
Rêveries, III, in Opere, p. 1332: «Da questepoca posso datare la mia completa rinuncia al mondo e il vivo gusto della solitudine, che da quel tempo non mi lascia». Cfr. Confessions, XII, in Opere, p. 1112.
Confessions, I, in Opere, p. 768.
Lettera I a Malesherbes, in Lettere, p. 197.
ivi, p. 196.
Lettera II a Malesherbes, in Lettere, pp. 201, 202. Evidentemente la felicità di Rousseau dipende in gran parte dalla risposta alla domanda «Sono buono o sono cattivo?» ; per essere buoni bisogna rispettare questa «grande massima morale»: «evitare le situazioni che mettono i nostri doveri in opposizione con i nostri interessi e che ci mostrano il nostro bene nel male degli altri...» (Confessions, II, in Opere, p. 776).
Confessions, IX, in Opere, pp. 1006, 1007.
Dialogues, II, in Opere, pp. 1198, 1199.
Rêveries, VII, in Opere, p. 1360.
J. Starobinski, La trasparenza..., p. 88.
Dialogues, I, in Opere, p. 1130. Qui Rousseau si sta riferendo alla «morale negativa», consistente nellastenersi dall agire.
Confessions, IX, in Opere, p. 975.
Rêveries, I, in Opere, p. 1321. Starobinski ha osservato che «il luogo abitato da Rousseau nelle Rêveries è il vuoto, la nullità, la totale assenza di relazione» (La trasparenza..., p. 409).
Fragment sur la liberté, in Lettere, p. 193.
F. Nietzsche, Umano, troppo umano (1879), ed ital. a cura di G. Colli e M. Montinari, "Piccola Biblioteca", VI ed., Adelphi, Milano, 1995, p. 274, af. 508.
Rêveries, VII, in Opere, p. 1360.
Confessions, IV, in Opere, p. 836. Si veda anche Rêveries, VII, in Opere, p. 1360: «Provo estasi, rapimenti inesprimibili nel fondermi, direi quasi, col sistema degli esseri, nellidentificarmi con tutta la natura».
P. Casini, Introduzione a Rousseau, p. 10.
Primo Discours, in Opere, p. 4.
Confessions, II, in Opere, p. 775.
ivi, III, pp. 800, 802; nel libro IV delle Confessions (in Opere, p.827) Rousseau racconta: «lincertezza dellavvenire mi ha fatto sempre guardare i progetti dalla lunga esecuzione come le lusinghe di un inganno... Il più piccolo piacere... mi tenta più delle gioie del paradiso».
ivi, IV, p. 842.
ivi, III, p. 803.
ivi, II, p. 785. La «semplicità di gusto» e, in generale lavere pochi bisogni sono le condizioni necessarie per raggiungere la libertà in quanto «chiunque desidera poco dipende da pochi» (Emile, IV, in Opere, p. 513). Inoltre Rousseau è convinto che laffannoso desiderio del superfluo renda luomo infelice perché tutto ciò che oltrepassa la necessità fisica è fonte del male.
W. Pasini, Il cibo e lamore, Mondadori, Milano, 1994, pp. 88, 89. «Come la storia ci ha tristemente insegnato -precisa Pasini- questa equazione non funziona, e della schiatta dei vegetariani ha fatto parte anche Adolf Hitler» (ivi, p. 89).
Rêveries, VII, in Opere, p. 1362; Confessions, XII, in Opere , p. 1114.
J. Starobinski, La trasparenza..., p. 405.
Rêveries, II, in Opere, p. 1326. Si colgono nel «paesaggio dellanima» rousseauiano le prime avvisaglie delletà romantica; il nostro promeneur solitaire usa per la prima volta nella storia della letteratura il neologismo romantique : infatti nella quinta promenade (in Opere, p. 1346) egli osserva che «le rive del lago di Bienne sono selvagge e romantiche». Nella nota n. 32 (ivi, p. 1427) P. Rossi specifica che «nel 1776 Pierre Letourner... definisce il romantico una qualità di pittoresco che parla allanima e inspira idee melanconiche...»
Confessions, VI, in Opere, p. 879. Nel libro XII (ivi, pp. 1113, 1114) Rousseau racconta di una vecchietta «che, per tutta preghiera, non sapeva dire che Oh!, manifestando così il proprio stupore di fronte al «meraviglioso spettacolo della natura». Aggiunge lo scrittore: «... capisco come gli abitanti delle città, i quali non vedono che muri e strade, abbiano poca fede, ma non posso capire come i campagnoli, e soprattutto i solitari, possano non averne». Inoltre nelle Rêveries (III, in Opere, p. 1331) egli sostiene che «la meditazione nel suo ritiro, lo studio della natura, la contemplazione delluniverso costringono un solitario a slanciarsi incessantemente verso il Creatore delle cose, e a cercare con dolce inquietitudine lo scopo di tutto ciò che vede e la causa di tutto ciò che sente». Qui Jean Jacques riprende un concetto molto caro a S. Agostino, il quale, rivolgendosi a Dio soleva dire: «Hai fatto il nostro cuore inquieto, finché non riposi in te».
L. Sozzi, Introduzione agli Scritti autobiografici, p. XVIII.
Rêveries, VII, in Opere, p. 1364. Riguardo alla passione per la botanica, Rousseau osserva che vi è «in questoziosa occupazione un incanto che non si sente se non nella completa calma delle passioni» (ivi, p. 1362). Sullargomento si vedano anche le Confessions (XII, in Opere, p. 1113) e i Dialogues (II, in Opere, p. 1201).
Rêveries, VII, in Opere, p. 1364.
L. Sozzi, Introduzione agli Scritti autobiografici, p. XXXIX. Il corsivo è nostro.
Rêveries, V, in Opere, p. 1347. Cfr. Confessions, XII, in Opere, pp. 1115-1117 e anche la lettera I a Malesherbes, in Lettere, p. 197.
Confessions, I, in Opere, p. 751. Nel 1722, in conseguenza di una rissa, il padre Isaac si vide costretto a fuggire da Ginevra, affidando così il piccolo Jean Jacques allo zio Bernard, il quale lo spedisce, insieme ad un cugino, a Bossey in pensione presso il ministro Lambercier (che viveva con la sorella Gabrielle con la quale correva voce avesse dei rapporti illeciti) «per apprendere, col latino, tutto quel raffinato guazzabuglio che chiamano educazione...» (ivi).
Confessions, III, in Opere, pp. 803, 804.
ivi, VI, p. 872. Si veda il cap. IV, par. 2, del presente lavoro.
ivi, p. 885.
ivi, p. 883.
ivi, V, p. 872.
ivi, VI, p. 877.
ivi, VIII, p. 972; ivi, IX, p. 996.
Lettera III a Malesherbes, in Lettere, p. 203. Allo stesso modo scrive Rousseau nelle Confessions (IX, in Opere, p. 976): «Fu il 9 aprile 1756 che abbandonai la città per non abitarvi più».
Lettera III a Malesherbes, in Lettere, p. 204; il pensatore ginevrino si sta riferendo al suo soggiorno allErmitage, nei pressi di Parigi,
Confessions, X, in Opere, p. 1029.
ivi, IX, in Opere, p. 976; ivi, X, p. 1044.
Rêveries, V, in Opere, p. 1348; cfr. Confessions, XII, in Opere, p. 1113.
ivi, p. 1346.
ivi, pp. 1349, 1350.
Rêveries, VIII, in Opere, p. 1370.
Scrive Jean Jacques nella seconda promenade : «tutto questo universale accordo mi sembra troppo straordinario per essere semplicemente fortuito» (Rêveries, II, in Opere, p. 1329).
Rêveries, IX, in Opere, p. 1371: «io avevo messo i miei figli ai Trovatelli: era abbastanza per travestirmi da padre snaturato...» ammette Rousseau.
P. Rossi, Introduzione alle Opere, p. XXXVII.
Rêveries, I, in Opere, p. 1321; probabilmente lo scrittore allude alla grave crisi che lo colse nel maggio 1767, verso la fine del suo soggiorno in Inghilterra. Ora egli si sente un «seppellito vivo» perchè nellautunno 1776 correva voce della notizia della sua morte; il «Corriere dAvignone» aveva anticipato, in quelloccasione, il «tribuno doltraggi e dinfamie che si prepara alla mia memoria dopo la morte, in forma d orazione funebre» (Rêveries, II, in Opere, p. 1329). Riguardo alla tematica del «mostro» si veda anche lottava promenade : «io che mi sentivo degno damore e di stima, io che mi credevo onorato e amato come meritavo desserlo, mi vidi trasformato ad un tratto in un mostro orrendo, quale mai vi fu... senza che mai possa essere venuto a conoscere la causa dello strano rivolgimento» (Rêveries, VIII, in Opere, p. 1366).
Confessions, XII, in Opere, p. 1105; Dialogues, II, in Opere, p. 1216. Anche nelle Rêveries Rousseau sostiene: «non appartengo a me stesso che quando sono solo; fuori di qui sono il trasrullo di tutti quelli che mi circondano...» (IX, in Opere, p. 1376); allo stesso modo nelle Confessions egli si rimprovera di lasciarsi «soggiogare e menare come un bimbo dai sedicenti amici, i quali... non si occupavano che a rendermi ridicolo...» (VIII, in Opere, p. 952).
C. Baudelaire, Lalbatros, in Les fleurs du mal et petits poèmes en prose (1857), Stamperia editoriale Rattero, Torino, 1966, p. 9.
Dialogues, II, in Opere, p. 1214.
«Mi sento troppo al di sopra di loro per odiarli -afferma Rousseau nelle Rêveries (VI, in Opere, p. 1355)- Al massimo possono interessarmi fino al disprezzo, mai sino allodio; insomma amo troppo me stesso per poter odiare chichessia. Sarebbe un restringere, un comprimere la mia esistenza; e vorrei piuttosto estenderla a tutto luniverso».
Dialogues, II, in Opere, p. 1197.
P. Rossi (Introduzione alle Opere, p. XXXVII) fa riferimento a J. Guéhenno il quale ha intravisto lanalogia tra il complotto di cui si sente vittima Rousseau e la paradossale situazione descritta ne Il processo di Kafka. Mentre con la memoria lo scrittore ginevrino «ricorda solo cose piacevoli», limmaginazione «spaurita» gli fa prevedere «crudeli avveniri » (Confessions, VII, in Opere, p. 903).
Dialogues, Storia dello scritto precedente, in Opere, p. 1316. Si veda sullo stesso argomento anche il primo dialogo (in Opere, p. 1152) -»Quello che rende più ammirevole lesecuzione di questo piano è il mistero con cui hanno dovuto coprirlo...»-, il terzo dialogo (in Opere, p. 1293) -in cui si parla dell «immenso edificio di tenebre che hanno elevato attorno a lui»-, la terza promenade (Rêveries, in Opere, p. 1334) -«trascinato nel fango senza mai sapere né da chi né per quale causa, sprofondato in un abisso dignominia, avvolto di tenebre orrende traverso le quali non scorgevo che cose sinistre, al primo colpo fui atterrato»- e lundicesimo libro delle Confessions (in Opere, p. 1071) -«vedo avviarsi, senza ostacoli, alla sua più nera escuzione il complotto più orribile che sia stato mai tramato contro la memoria di un uomo».
Correspondance générale, ed. Th. Dufour et P. P. Plan, Paris, Colin, 1924-34, opera in XX vol., XIX vol., pp. 248, 249, cit. nellintroduzione alle Opere, p. XXXVIII. Alla fine del libro VIII, delle Confessions (in Opere, p. 973) Rousseau scrive: «questo è sempre stato il mio destino: non appena ho avvicinato, luno allaltro, due amici che avevo separatamente, questi non hanno mancato di unirsi contro di me».
Rousseau è convinto che gli «holbacchiani» abbiano appositamente sostituito il suo ritratto eseguito da La Tour (che gli assomoglia) con quello dipinto da Ramsey (in Inghilterra) in cui egli sembra uno «spaventoso ciclope» (Dialogues, II, in Opere, p. 1193) e che siano colpevoli di aver favorito la condanna dellEmile nel 1762 (Confessions, XI, in Opere, p. 1072); inoltre egli è sicuro che il fantoccio di paglia bruciato in una festa popolare in Rue Plâtrière (dove lo scrittore vive in un piccolo alloggio che al principe di Ligne appare «dimora di topi, ma santuario della virtù e del genio») nel 1776 rappresenti la sua immagine (Dialogues, I, in Opere, p. 1155).
Rêveries, VIII, in Opere, p. 1369.
Dialogues, Storia dello scritto precedente, in Opere, p. 1309.
Ivi, p. 1313; ivi, p. 1314.
Rêveries, III, in Opere, p. 1332.
Ivi, I, p. 1322.
Rêveries, I, in Opere, p. 1323. Scrive Rousseau: «A questo ritorno su noi stessi ci costringe la sventura; il che forse la rende sì insopportabile alla maggior parte degli uomini» (ivi, VIII, p. 1365). Il passo citato ci ricorda Pascal il quale ha dato all ennui (noia) una delle definizioni più efficaci: «niente è così insopportabile alluomo quanto lessere in pieno riposo, senza passioni, senza da fare, senza divertimento. Egli sente allora il suo niente, il suo abbandono, la sua impotenza, il suo vuoto. Immediatamente uscirà dal fondo della sua anima la noia, lumor nero, la perfidia, la disperazione» (B. Pascal, Pensieri, in Pensieri, opuscoli, lettere, Rusconi, Milano, 1978, pp. 471, 472).
Ivi, II, p. 1325.
J. Starobinski, Rousseau e la fantasticheria, introduzione alle Fantasticherie del passeggiatore solitario, Rizzoli, Milano, 1979, in Le passeggiate solitarie, a cura di B. Segre, Biblioteca Ideale Tascabile, Milano, 1996, p. 125.
Rêveries, VIII, in Opere, p. 1364.
J. Starobiski, Rousseau e la fantasticheria, in Le passeggiate solitarie, op. cit., p. 125.
Rêveries, I, in Opere, p. 1323.
J. Starobinski, Rousseau e la fantasticheria, in Le passeggiate solitarie, op. cit., p. 125.
J. Starobinski, La trasparenza..., op. cit., p. 386, 390. Scrive Rousseau alla fine della seconda promenade: «Dio vuole che io soffra, ma sa che sono innocente» (Rêveries, II, in Opere, p. 1330).
J. Starobinski, Rousseau e la fantasticheria, in Le passeggiate solitarie, op. cit., p. 126.
Nouvelle Héloïse, parte VI, lettera VIII, in Giulia o la Nuova Eloisa, p. 718.
ivi.
Rêveries, V, in Opere, pp. 1349, 1350: «Di che cosa si gioisce in una simile situazione? Di nulla che sia esteriore a se stessi, di nulla che non sia di se stessi e della propria esistenza; sino a tanto che questo stato dura, si basta a se stessi come Dio».
ivi, II, p. 1325.
ivi, V, p. 1350.
Primo Discours, parte II, in Opere, p. 17.
J. Starobinski, La trasparenza..., p. 400.
Rêveries,V, in Opere, pp. 1349, 1350. Lo scrittore descrive il sentimento dellesistenza anche in seguito allincidente di Ménilmontant (era stato investito da «un grosso cane danese» nellinverno 1776): «La notte calava. Vidi il cielo, qualche stella e un lembo di verzura. La prima sensazione fu un attimo delizioso: non mi sentivo ancora che in essa, nascevo in quello stesso istante alla vita, mi sembrava di riempire con la mia breve esistenza tutti gli oggetti veduti. Per intero nel momento attuale, non mi ricordavo di nulla, non avevo nessuna distinta nozione di me stesso, la minima idea di quello che mi era accaduto; non sapevo né chi ero né dovero; non sentivo né male né timore né inquietitudine. Vedevo colare il mio sangue come avrei veduto colare un ruscello, senza pensare affatto che quel sangue in qualche maniera mi appartenesse. In tutto il mio essere sentivo una calma incantevole, a cui, ogni volta che ci ripenso, non trovo nulla di paragonabile in tutta la frenesia dei piaceri conosciuti» (ivi, II, in Opere, p. 1327).
J. Starobinski, La trasparenza..., p. 406.
Confessions, I, in Opere, pp. 767, 768; lettera II a Malesherbes, in Lettere, pp. 199, 200: «A sei anni mi capitò tra le mani Plutarco, a otto lo conoscevo a memoria; avevo letto tutti i romanzi che mi avevano fatto versare torrenti di lacrime...» Nelle Confessions Rousseau ricorda: «La mia fanciullezza non fu quella di un fanciullo ho sentito e pensato sempre da uomo. Solo diventando grande sono rientrato nella classe ordinaria; nascendo ne ero uscito. Riderete nel vedermi presentare modestamente me stesso come un prodigio; sia, ma, dopo che avrete riso a lungo, trovatemi un bambino che a sei anni si lasci interessare, conquistare e trasportare dai romanzi al punto da piangerne a calde lacrime, allora riconoscerò ridicola la mia vanità e converrò che ho torto. Così, quando ho detto (nellEmile ) che ai bambini non bisogna parlare di religione se si vuole che un giorno ne abbiano... ho tratto il mio pensiero dalle mie osservazioni, non dalla mia stessa esperienza; sapevo che essa non avrebbe significato niente per gli altri. Trovate dei J. J. Rousseau a sei anni e parlate loro di Dio ai sette, vi dico che non correte nessun rischio» (II, in Opere, p. 779).
Rêveries, V, in Opere, pp. 1350, 1351: «Uscendo da una lunga e dolce fantasticheria, vedendomi circondato di verzura, di fiori, duccelli, e lasciando errare i miei occhi in lontananza, sulle romanzesche rive che orlavano una vasta distesa dacqua chiara e cristallina, assimilavo alle mie finzioni tanti e amabili oggetti (cosicché) ogni cosa concorreva egualmente a rendermi cara la vita raccolta e solitaria che menavo in quel bel soggiorno».
Così Rousseau aveva scritto sul retro di una carta da gioco, in Oeuvres complètes , vol. I, p. 1165.
infra, cap. V, par. 1.
Dialogues, II, in Opere, p. 1216.
Rêveries, VI, in Opere, p. 1356. Il corsivo è nostro. Si veda anche la prima lettera a Malesherbes (in Lettere, p. 197): «In una parola, il tipo di felicità che mi è necessario non consiste tanto nel fare ciò che voglio, quanto nel non fare ciò che non voglio... ed ho pensato cento volte che non sarei vissuto in maniera troppo infelice alla Bastiglia per il semplice fatto che non sarei stato tenuto ad altro che a restarvi».
Rêveries, VIII, in Opere, p. 1367.
Discours sur linégalité parmi les hommes (dora in poi soltanto secondo Discours), parte II, in Scritti politici, pp. 349, 350. Quel sentimento dellesistenza, che Jean Jacques considerava un limite per il selvaggio, si trasforma, dal 1762 in poi, in una meta da raggiungere.
Rêveries, V, in Opere, pp. 1349, 1350: «Ho osservato nelle vicissitudini di una lunga vita che le epoche delle dolcissime gioie e dei vivissimi piaceri non sono quelle il cui ricordo maggiormente mi attira e mi commuove. Quei brevi momenti di delirio e di passione, per quanto vivi possano essere, non sono tuttavia, per il loro stesso carattere, che punti scarsamente distribuiti lungo il corso della vita. Sono troppo rari e troppo rapidi per costituire una condizione; e la gioia che il mio cuore rimpiange non si compone di fuggitivi istanti, ma di una condizione semplice e duratura, che non ha nulla di vivo in se stessa, ma la cui costanza accresce il piacere, sino a trovarci infine la supema gioia.
Tutto scorre in un continuo flusso sulla terra. Niente vi conserva una forma stabile e fissa, e i nostri affetti che ineriscono alle cose esteriori passano e mutano necessariamente comesse. Sempre davanti o didietro di noi, esse rammemorano il passato, che ha cessato di essere, o prevengono il futuro, che sovente non ha da essere: non cè nulla di solido, cui il cuore possa aggrapparsi. Di modo che non si hanno, sulla terra, se non piaceri che passano; quanto alla gioia che dura, dubito che vi sia conosciuta. Appena appena nelle nostre gioie vivissime vi è un istante in cui il cuore può veramente dirci: Vorrei che questistante durasse per sempre. E come potremmo chiamare gioia una condizione fuggevole che ci lascia ancora vuoto e inquieto il cuore, che ci fa rimpiangere qualcosa prima, o desiderare ancora qualcosa dopo?»
Nouvelle Héloïse, parte VI, lettera VIII, in Giulia o la Nuova Eloisa, pp. 718, 719.
G. Leopardi, Il sabato del villaggio, in Canti , a cura di A. Tartaro, Laterza, Bari, 1984, p. 150.
Confessions, IX, in Opere, p. 1000: «...se fossi stato libero di soddisfarmi, se di sua di sua volontà si fosse data a me...avrei rifiutato di essere felice a quel prezzo. Lamavo troppo per volerla possedere».
L. Sozzi, Introduzione agli Scritti autobiografici, p. XXIX.
G. Leopardi, Zibaldone, I, 274.
L. Sozzi, Introduzione agli Scritti autobiografici, p. XXIX.
Confessions, IX, in Opere, p. 990.
Lettera III a Malesherbes, in Lettere, p. 205.
L. Sozzi, Introduzione agli Scritti autobiografici, pp. XXXV, XXXVI. Scrive Rousseau nelle Confessions : «avevo sempre sentito che i gesuiti non mi amavano... perché i miei principi di religione erano molto più contrari alle loro massime e alla loro autorità dellincredulità dei miei confratelli (i philosophes), giacché il fanatismo ateo ed il fanatismo devoto, toccandosi per la loro comune intolleranza, possono anche unirsi... come hanno fatto contro di me» (XI, in Opere, p. 1072). Similmente nelle Rêveries lo scrittore racconta: «Vivevo allora con certi filosofi moderni..., ardenti missionari dellateismo, dogmatici imperiosissimi, non sopportavano senza collera che su qualsiasi punto qualcuno osasse pensare diversamente da loro... Non ho mai adotato le loro desolate dottrine... I loro argomenti mi avevano scosso senzavermi mai convinto... e il mio cuore rispondeva loro più della mia ragione» (III, in Opere, pp. 1332, 1333).
Ivi, p. XXXVI.
Rêveries, II, in Opere, p. 1325.
Emile, IV, in Opere, p. 501.
Rêveries, IX, in Opere, p. 1375. Scrive Rousseau: «Soprattutto i segni di dolore e di pena mi sono sensibili, al punto da essermi impossibile il sopportarli senza essere agitato io stesso da emozioni che forse superano quelle che tali segni denotano. Limmaginazione, rinforzando la sensazione, midentifica con la creatura che soffre, e sovente mi da una maggiore angoscia di quella chessa provi. Un viso malcontento, ecco unaltra vista che non posso sopportare, soprattutto se ho motivo di pensare che tale scontentezza mi riguardi» (ivi, IX, in Opere, p. 1375).
Emile, IV, in Opere, p. 556. Il corsivo è nostro.
Rêveries, IX, in Opere, p. 1372.
Primo Discours, parte II, in Opere, p. 16.
ivi, Prefazione, in Opere, p. 3.
ivi.
Confessions, I, in Opere, p. 749.
ivi, IX, p. 976. Si veda il cap. III, par.2, del presente lavoro.
Primo Discours, parte II, in Opere, pp. 11, 12 , 14.
Il Seicento è il secolo in cui le discussioni avvenivano sempre con il timore dincorrere nelleresia ed è anche il tempo dei libertini: sono dei materialisti, dei relativisti e i primi illuministi clandestini perchè si limitano a professare le loro idee in circoli piuttosto ristretti.
I. Kant, Was ist Aufklärung?, in Kant, a cura di G. Sasso, Il Mulino, Bologna, 1961.
Nel Saggio sullintelletto umano del 1690 J. Locke evidenzia lattività di controllo che lesperienza è chiamata ad esercitare sullattività razionale in tutti i suoi gradi. Oltre agli illuministi, anche Kant accoglierà leredità lockiana (da collocare nellambito dellempirismo inglese).
Ricordiamo che il termine philosophe indica uno spregiudicato indagatore del vero.
Un ulteriore approfondimento delle motivazioni che legano Rousseau alla filosofia cartesiana si trova nel cap. XI, par.2, e nel cap. XII, par.2, del presente lavoro.
Ci riferiamo alle voci dellEncyclopédie riguardanti la musica (1749) e allarticolo Economie politique (1754) firmati Rousseau.
Emile, II, in Opere, p. 412 (nota).
Nel secolo XVIII le cosiddette guerre di successione venivano combattute per il prestigio o per il semplice capriccio dei sovrani.
Nel suo Saggio di un quadro storico dei progressi dello spirito umano (1794) Condorcet inneggia alle magnifiche sorti progressive dellumanità.
Primo Discours, parte I, in Opere, p. 6.
ivi, parte II, p. 10.
B. Mandeville, La favola delle api, Laterza, Bari, 1994 (2 ed.), p. 266.
Prefazione al Narcisse (opera in musica), in Opere, p. 27. Il corsivo è nostro.
R. J. Howells, The Metaphisic of nature, in Studies on Voltaire and the eighteenth century, vol. LX, Genève, 1968, p. 126, cit. in Scritti politici (P. Alatri), p. 11.
Confessions, IX, in Opere, p. 977. Anche nellarticolo Economie politique Rousseau ribadisce lo stesso concetto: I popoli sono, alla lunga, ciò che il governo li fa essere (in Scritti politici, p. 384).
Confessions, IX, in Opere, p. 977; Emile, IV, in Opere, p. 513.
Emile, IV, in Opere, p. 554.
ivi, I, p. 350. Il corsivo è nostro. E questo il principio basilare dellintera filosofia rousseauiana.
Lettera II a Malesherbes, in Lettere, p. 200. Il corsivo è nostro.
Confessions, VII, in Opere, p. 932.
Lettera II a Malesherbes, in Lettere, p. 200.
Trovai allora che lo sviluppo della conoscenza e dei vizi avveniva sempre di pari passo, e non negli individui ma nei popoli scrive Rousseau nella lettera allarcivescovo di Parigi C. de Beaumont (in Lettere, p. 65).
Emile, III, in Opere, p. 395. Le osservazioni di E. Garin sono contenute nellIntroduzione agli Scritti politici (a cura di M. Garin).
Contrat social, I (cap. I), in Scritti politici, p. 721. Come si spiega lapparente paradosso chi si crede padrone degli altri, non è per questo meno schiavo di loro? NellEmile (II, in Opere, p. 387) Jean Jacques spiega: il dominio stesso è servile, quando dipende dallopinione; poiché tu dipendi dai pregiudizi di coloro che tu governi coi pregiudizi: per guidarli come ti piace, bisogna guidarti come piace loro.
Emile, I, in Opere, p. 355.
Primo Discours, in Opere, p. 4. Il corsivo è nostro.
ivi, p. 5. Il corsivo è nostro. Nel 1835 un altro grande pensatore politico, Alexis de Tocqueville, parlerà dei pericoli del conformismo in questi termini: Vedo una folla innumerevole di uomini simili e uguali, i quali non fanno che ruotare su se stessi per procurarsi piccoli e volgari piaceri con cui saziano il loro animo (A. de Tocqueville, La democrazia in America, libro II, parte IV, cap. VI, in Scritti politici, a cura di N. Matteucci, Utet, Torino, 1968, p. 812).
Primo Discours, parte I, in Opere, p. 5.
H. Taine, Les origines... , vol. I, p. 329.
ivi, pp. 326, 328.
Secondo Discours, nota III, in Scritti politici, p. 359.
Emile, III, in Opere, p. 475.
Primo Discours, parte II, in Opere, p. 14.
Prefazione al Narcisse, in Opere, p. 24 (nota).
Osservazioni sulla risposta data al suo discorso, in Scritti politici (a cura di M. Garin), vol. I, p. 44.
L. Luporini (a cura di), Introduzione ai Discorsi, Rizzoli, Milano, 1997, pp. 16, 17.
Economie politique, in Scritti politici, pp. 404, 405. Nelle Rêveries (V, in Opere, p. 1346) si legge: la sostanza del debole serve sempre a vantaggio del potente.
Secondo Discours, parte II, in Scritti politici, p. 350. Il corsivo è nostro.
Emile, IV, in Opere, p. 514.
P. Rossi, Introduzione alle Opere, p. XXXV.
Lévi-Strauss, J.J. Rousseau fondateur des sciences de lhomme (1962), cit. nella trad. it. di P. Caruso dal volume Lévi-Strauss, Razza e storia e altri studi di antropologia, Einaudi, Torino, 1967, p. 94. In Tristes tropiques Lévi-Strauss scrive: Rousseau il nostro maestro, Rousseau il nostro fratello, verso cui abbiamo dimostrato tanta ingratitudine, ma al quale ogni pagina di questo libro potrebbe essere dedicata, se lomaggio non fosse indegno della sua grande memoria (Tristi tropici, trad. it. B. Garuti, Il Saggiatore, Milano, 1960, pp. 378, 379).
Secondo Discours, Prefazione, in Scritti politici, p. 279.
B. Groethuysen, J.J. Rousseau, Gallimard, Paris, 1949, p. 238.
Confessions, I, in Opere, p. 747.
Dialogues, III, in Opere, p. 1285: ... era necessario che un uomo dipingesse se stesso per mostrarci luomo primitivo.
Interpretando sempre in base al mio intimo quello che vedevo fare agli altri, attribuivo loro gli stessi motivi che avrebbero fatto agire me al loro posto e sbagliavo sempre... (Dialogues, II, in Opere, p. 1195).
Oeuvres complètes, I, pp. 1149, 1153.
B. Pascal, Pensieri , in Pensieri, opuscoli, lettere, op. cit., p. 585.
Confessions, I, in Opere, p. 747.
Emile, IV, in Opere, p. 557.
ivi, I, in Opere, p. 353.
Lettera a Beaumont, in Lettere, p. 65.
Emile, IV, in Opere, p. 514.
Secondo Discours , parte II, in Scritti politici, pp. 349, 350.
Oeuvres complètes, I, p. 1149.
Secondo Discours, Prefazione, in Scritti politici, p. 281.
ivi, Premessa, in Scritti politici, p. 289. Mentre gli illuministi francesi intravedono la positività che la storia ricava dalla negatività del comportamento umano, Rousseau è convinto che la storia sia sostanzialmente regresso: lanima umana, alterata in seno alla società..., ha... mutato daspetto, fino al punto da essere quasi irriconoscibile... (ivi, Prefazione, pp. 279, 280). Nellanalisi filosofica rousseauiana non cè mai una comprensione di carattere storico: qualsiasi riferimento storico è per una lode oppure per una condanna. Daltronde è questo anche latteggiamento condiviso da tutto il movimento illuministico: infatti nel Settecento possiamo senzaltro parlare di storiografia giudiziaria (si guarda al passato come ad unetà di tenebra) mentre quella dellottocento sarà una storiografia giustificatrice (ogni fatto storico, pur crudele e ingiusto che sia stato, ha avuto una sua ragion dessere).
Confessions, VIII, in Opere, p. 968.
Secondo Discours, Premessa, in Scritti politici, p. 289.
R. Derathé, Rousseau e la scienza politica del suo tempo, Il Mulino, Bologna, 1993 (I ed. 1950), p. 158. La dottrina del diritto naturale è denominata giusnaturalismo: i giusnaturalisti sostengono che in natura esistono dei principii rispettando i quali è possibile vivere associati. Nel medioevo si riteneva che ciascuno sentisse dentro di sé questo diritto di natura perché Dio lo aveva stampato nella sua anima; nelletà moderna, con la laicizzazione della cultura, vi è la convinzione che luomo, affidandosi alla propria intuizione intellettuale (Sapere aude!) possa trovare dentro di sé i diritti fondamentali della socievolezza.
Essai sur lorigine des langues, ed. Belin, Paris, 1817, p. 521.
Secondo Discours, parte II, in Scritti politici, p. 328.
ivi, p. 321.
ivi, p. 328.
ivi, p. 333.
Rousseau capovolge la tesi di Thomas Hobbes: luomo non era lupus nello stato di natura ma lo è diventato entrando a far parte di una società ingiusta: I ricchi... appena conosciuto il piacere di dominare... non pensarono ad altro che a soggiogare e ad asservire i loro vicini: simili a quei lupi famelici che, una volta assaggiata la carne umana, rifiutano ogni altro cibo, e vogliono ormai divorare soltanto altri uomini (ivi, p. 332).
ivi, p. 335.
ivi, pp. 335, 336.
ivi, parte I, p. 309.
ivi, p. 360 (nota III). Questa precisazione di Rousseau non ebbe molto successo; infatti Voltaire gli scrisse una lettera nellagosto del 1755 dove si legge: A leggere il vostro libro (da lui definito come il nuovo libro contro il genere umano) viene voglia di camminare a quattro zampe.
Contrat social, I (cap. VIII), in Scritti politici, p.735.
Nel secondo Discours (parte I, in Scritti politici, p. 312) Rousseau scrive che dalla pietà discendono tutte le virtù sociali.
ivi, p. 295. Il corsivo è nostro.
Secondo Discours, parte I, in Scritti politici, p. 313. Nella prefazione al Narcisse (in Opere, p. 26) si legge:il gusto per la filosofia allenta tutto i legami di stima... che collegano luomo alla società.
Prefazione al Narciso, in Opere, p. 28.
Secondo Discours, parte I, in Scritti politici, p. 301: La sua anima, che non è turbata da nulla, si abbandona al solo sentimento della sua esistenza attuale, senza nessuna idea dellavvenire Quel che per il selvaggio sembra un limite, diventerà per Rousseau uomo una meta (Rêveries, V, in Opere, p. 1349).
Emile, II, in Opere, p, 387.
Secondo Discours, parte II, in Scritti politici, pp. 349, 350.
Ivi, p. 350.
Emile, IV, in Opere, p. 508.
Secondo Discours, parte I, in Scritti politici, p. 300.
Emile, II, in Opere, p. 385.
ivi, IV, p. 513.
ivi, IV, p. 495.
ivi, I, p. 376. Il corsivo è nostro.
Emile, II, in Opere, p. 396.
F. e P. Richard, Introduzione allEmilio o Delleducazione, a cura di P. Massimi, Mondadori (1 ed. Oscar Grandi Classici), Roma, 1997, p. XI.
G. Lanson, Storia della letteratura francese, vol. II, Longanesi, Milano, 1961, p. 957. Il corsivo è nostro.
Emile, I, in Opere, p. 354.
ivi. Pur facendo riferimento alle Opere per quel che riguarda lindicazione dei numeri di pagina citati abbiamo preferito la traduzione italiana dellEmile a cura di P. Massimi, in quanto ci è sembrata più attuale (Emilio o Delleducazione, Mondadori, Roma, 1997).
Pietro Rossi, Il pensiero di J. J. Rousseau, Loescher, Torino, 1987 (1 ed. 1967), p. XXIV.
Lettera a Beaumont, in Lettere, p. 43.
N. Abbagnano, Storia della filosofia, vol. IV, Tea, Milano, 1995, pp. 273, 274. Scrive Rousseau: Che non sappia nulla perché glielo avete detto, ma soltanto perché lha capito da solo; che non apprenda la scienza ma che linventi (Emile, III, in Opere, p. 458). Inoltre Jean Jacques sostiene che leducazione negativa non consiste nellinsegnare la virtù... ma nel tutelare il cuore dal vizio e la mente dallerrore (ivi, II, p. 396).
Locke aveva posto in luce la derivazione di tutte le idee dallesperienza; Condillac ha poi ricondotto lesperienza alla sensazione, individuando in questa la radice ultima di qualsiasi operazione umana.
Emile, II, in Opere, p. 429.
Lindirizzo anti-retorico è stato teorizzato da Montaigne nei suoi Essais (1588).
Emile, III, in Opere, p. 461. Il corsivo è nostro. Le idee chiare e distinte ricordano il razionalismo cartesiano di cui parleremo nei prossimi due capitoli.
Emile, II, in Opere, p. 396.
P. Casini, Introduzione a Rousseau, op. cit., p. 127.
Emile, II, in Opere, p. 397. Il corsivo è nostro.
Emile, II, in Opere, p. 419; nel libro I (ivi, p. 355) si legge: il bambino, per essere ben diretto, deve affidarsi ad una sola guida.
N. Abbagnano, Storia della filosofia, op. cit., p. 274.
Emile, IV, in Opere, p. 495.
ivi, III, p. 490.
Emile, V, in Opere, pp. 683, 684. Il corsivo è nostro.
I. Fetscher, La filosofia politica di Rousseau, trad. it. di L. Derla, Feltrinelli, Milano, 1972, p. 76.
Emile, IV, in Opere, pp. 549, 550. Il corsivo è nostro.
Secondo Discours, parte I, in Scritti politici, p. 312. Scrive Rousseau: Le passioni dolci e affettuose nascono dallamor di sé, le passioni dellodio e dellira nascono dallamor proprio (Emile, IV, in Opere, p. 495); la pietà è dolce, perché mettendosi al posto di colui che soffre si sente tuttavia il piacere di non soffrire come lui... (ivi, p. 501).
Pietro Rossi, Il pensiero di J. J. Rousseau, op. cit., p. 117. I principii religiosi rousseauiani sono enunciati nella Profession de foi du vicaire savoyard, contenuta nel libro IV dellEmile .
Emile, IV, in Opere, p. 558. La superiorità del sentimento nei confronti della ragione è largomento principale del cap. VIII, par. 2, del presente lavoro.
Pietro Rossi, Il pensiero di J. J. Rousseau , op. cit., p. 117. Il corsivo è nostro.
Contrat social, I (cap. VIII), in Scritti politici, pp. 735, 736.
Secondo Discours, parte II, in Scritti politici, p. 340.
ivi . Scrive Rousseau nel Contrat social (I, in Scritti politici, p. 726): Rinunciare alla propria libertà significa rinunciare alla propria qualità di uomo, ai diritti dellumanità, e perfino ai propri doveri... Una tale rinuncia è incompatibile con la natura delluomo, e togliere ogni libertà alla sua volontà significa togliere ogni moralità alle sue azioni. Si veda il cap. X, par. 3, del presente lavoro.
R. Derathé, Rousseau e la scienza politica... , op. cit., p. 443.
Contrat social, I (cap. VI), in Scritti politici, p. 730.
Rousseau tenterà di applicare i principii del Contrat social a determinate condizioni concrete: nel 1765 scrive il Projet de constitution pour la Corse e nel 1770 redige le Considérations sur le gouvernement de Pologne.
Contrat social, I (cap. VIII), in Scritti politici, p. 735.
ivi, I (cap. VI), p. 730.
Linsistenza di Rousseau è sul corpo politico, ossìa sullassemblea dei cittadini nella sua attività legislatrice: tutti devono ugualmente partecipare alla formulazione delle leggi.
Economie politique, in Scritti politici, p. 377; in questo articolo scritto per lEncyclopédie vi è la prima formulazione del concetto di volontà generale che Rousseau attribuisce (molto stranamente) a Diderot.
Il concetto di volontà generale è qualcosa di nebulosamente mistico perché, a rigore, la volontà è soltanto particolare; noi rileviamo della volontà soltanto il carattere volontaristico e attivistico; per Rousseau, invece, la volontà generale è un qualcosa di intellettualizzato, è una specie di punto di vista, ma non uno dei tanti punti di vista possibili, bensì lunico veramente valido. Forse, ai giorni nostri, il termine più appropriato per indicare la volontà generale è opinione generale.
Contrat social, I (cap. VIII), in Scrittti politici, pp. 735, 736. Il corsivo è nostro.
ivi, I (cap. VI), in Scritti politici, p. 731. Il corsivo è nostro.
N. Abbagnano, Storia della filosofia, vol. IV, op. cit., p. 273.
Per un ulteriore approfondimento delle analogie tra Rousseau e Cartesio rimandiamo al cap. XII, par. 2, del presente lavoro.
La sovranità popolare è la volontà generale in atto.
Contrat social, II (cap. IV), in Scrittti politici, pp. 743, 744.
ivi, p. 744.
ivi. Il corsivo è nostro.
G. De Ruggiero, Storia del liberalismo europeo, Laterza, Bari, 1925, p. 68.
Contrat social, I (cap. VII), in Scritti politici, p. 734. Il corsivo è nostro.
ivi.
G. H. Sabine, Storia delle dottrine politiche, Etas Kompass, Milano, 1967 (1 ed. it. 1953), p. 453.
Contrat social, IV (cap. VIII) in Scritti politici, p. 841. Il corsivo è nostro.
ivi, II (cap. III), p. 742.
Dello stesso avviso S. Cotta: la politica si presenta... in Jean Jacques come... lunica soluzione possibile dei problemi dellesistenza umana (S. Cotta, La position du problème de la politique chez Rousseau, in AA. VV., Etudes sur le Contrat social de Rousseau. Actes des journées détude tenue à Dijon, Les Belles Lettres, Paris, 1964, p. 179); anche L. Colletti, P. Burgelin, R. Derathé concordano con la tesi di Cotta.
Contrat social, I (cap. I), in Scritti politici, p. 721.
B. Constant, De la liberté..., op. cit., p. 215.
P. Alatri, Introduzione agli Scritti politici, p. 47; Alatri si sta riferendo allinterpretazione di Rousseau come pensatore individualista (quindi non è un suo personale parere).
Emile, V, in Opere, p. 706. Il corsivo è nostro. Sullargomento si veda il cap. V, par. 1, del presente lavoro.
B. Groethuysen, Filosofia della rivoluzione francese, op. cit., p. 230.
F. e P. Richard, Introduzione allEmilo o Delleducazione, op. cit., pp. XVI, XVI. Il corsivo è nostro.
E. Cassirer, Il problema G. G. Rousseau , op. cit., p. 32.
F. Focher, La consapevolezza dei principii, Franco Angeli, Milano, 1995, p. 123; l'autore fa riferimento a Tocqueville, il quale sostiene che Chi cerca nella libertà altra cosa che la libertà stessa è fatto per servire (LAncien Régime et la Révolution, 1856, nel finale del cap. Come i francesi vollero riforme prima che libertà, in LAntico Regime e la Rivoluzione, a cura di G. Candeloro, Rizzoli, Milano, 1981, p. 204).
Secondo Discours, parte II, in Scritti politici, p. 341.
Contrat social, I (cap. IV), in Scritti politici, p. 123. Il corsivo è nostro.
B. Constant, De la liberté..., op. cit., p. 203.
Contrat social, II (cap. III), in Scritti politici, p. 742.
F. A. Hayek, Nuovi studi di filosofia, politica, economia e storia delle idee, Armando Editore, Roma, 1988, p. 135.
ivi, pp. 135, 136.
Emile, I, in Opere, p. 353.
M. Viroli, J. J. Rousseau e la teoria della società bene ordinata, Bologna, Il Mulino, 1993, p. 60.
Emile, I, in Opere, p. 353.
ivi.
Ricordiamo che il Contrat rousseauiano era nientemeno che il vangelo di Robespierre e di Saint-Just (ossìa dei rivoluzionari francesi denominati giacobini perché si riunivano nel convento di San Jacopo); il giacobinismo è una mentalità etico-politica di tipo manicheo: luniversale è bene, lindividuale è male.
V. Mathieu, Cancro in Occidente, Editoriale Nuova, Milano, 1980, p. 37.
J. L. Talmon, Le origini della democrazia totalitaria, Il Mulino, Bologna, 1967, pp. 61, 62.
S. Cotta, La position du problème de la politique chez Rousseau, in AA.VV., Etudes sur le Contrat social de Rousseau. Actes des journées détude tenue à Dijon, Les Belles Lettres, Paris, 1964, pp. 177-190. Il corsivo è nostro.
G. De Ruggiero, Storia del liberalismo europeo , op. cit., p. 68.
R. Descartes, Discorso sul metodo, a cura di E. Gilson e E. Carrara, La Nuova Italia, Firenze, 1996 (37 ristampa), p. 48.
Secondo Discours, parte II, in Scritti politici, p. 337.
R. Descartes, Discorso sul metodo, op. cit., p. 49.
F. A. von Hayek, Nuovi studi..., op. cit., p. 13. Al razionalismo costruttivistico von Hayek oppone lempirismo evoluzionistico: un atteggiamento politico, collocabile sulla linea dei filosofi scozzesi del Settecento, che concepisce la grande società come il prodotto di uninfinità di adattamenti reciproci di individui, che per lo più nemmeno si conoscono, mossi ciascuno da una varietà infinita di impulsi grazie ad informazioni ricevute dal mercato.
B. Constant, La sovranità del popolo e i suoi limiti, in Constant, Il Mulino, Bologna, 1962, pp. 60, 61.
V. Mathieu, Cancro in Occidente, op. cit., pp. 48, 49; lautore sostiene che esiste un rapporto di reciprocità tra giacobinismo e marxismo: il giacobinismo ha bisogno del marxismo per uscire dalla fumosità della volontà generale e il marxismo ne ha bisogno per beneficiare dellautoflagellazione dellindividualismo borghese (ivi, p. 47).
Queste idee sono nate grazie alla lettura del saggio di V. Mathieu Cancro in Occidente, op. cit., p. 38.
J. L. Talmon, Le origini della democrazia totalitaria, op. cit., p. 53.