Cqia Rivista Il lavoro e l’educazione in Rousseau Aprile 2011
Il lavoro e l’educazione in Rousseau
Andrea Potestio
Scuola Internazionale di Dottorato in “Formazione della Persona e Mercato del Lavoro”
Università di Bergamo
Abstract
This article explores the anthropological view and metaphysical principles that
form the unit basis of political and educational Rousseau’s writings, through the
analysis of the role of work in the Social Contract and in Emilio. Work allows the
fu l expression of human being, through the construction of social bonds that
transform an individual into a citizen able to express his freedom.
Il progetto educativo di Rousseau si manifesta in modo compiuto nell’ Emilio
che, insieme al Contratto sociale , viene pubblicato nel 1762 1 e costituisce il
centro propulsivo della produzione del filosofo ginevrino. Entrambi gli scritti
prendono in considerazione due dimensioni significative per la formazione
dell’uomo: la costruzione di uno stato che, come organismo politico, possa
costituire il fondamento di una società giusta e l’educazione dell’individuo che
possa integrarsi con gli altri e divenire un buon cittadino. La dimensione politica
e quella educativa costituiscono così le direzioni di ricerca che Rousseau
propone ai suoi contemporanei come possibili soluzioni alla degenerazione
della società 2 . Ciò che accomuna le due dimensioni è l’istanza etica che
accompagna e guida sia il percorso politico sia quello educativo. Un’istanza
etica che prende la forma dello stato di natura, ossia dell’origine perduta che,
però, agisce sempre all’interno dei singoli uomini e che può essere svelata
1 Il 1762 è un anno significativo nella vita di Rousseau in quanto coincide con la pubblicazione
dell’ Emilio e del Contratto sociale . Nell’aprile viene dato alle stampe il Contratto sociale , mentre
a metà maggio l’ Emilio . Il pensatore ginevrino nel 1762 è un intellettuale già affermato dopo
l’uscita dei due Discorsi e della Nouvelle Héloise e, forse anche per questa ragione, gli scritti
non passano inosservati e le reazioni negative si fanno sentire quasi immediatamente. In
particolare è l’ Emilio che incappa nei rigori della censura e costringe Rousseau all’esilio. Infatti,
il 3 giugno il libro viene sequestrato e il 19 giugno la prima sezione del Parlamento decreta
l’arresto dell’autore e la condanna dell’opera. Rousseau, pur volendo rimanere a difendere le
proprie ragioni, viene convinto dagli amici ad abbandonare Montmorency per evitare l’arresto.
Inizia così la vita errabonda e solitaria del filosofo che, dai vari luoghi di esilio, continuerà a
difendersi, con grande forza ed energia, dalle accuse. Durante l’estate le condanne ufficiali
contro l’ Emilio si moltiplicano: il 18 giugno il Sinodo di Ginevra si pronuncia contro il testo, la
stessa decisione viene presa in Olanda e anche dai dottori della Sorbonne. Poco dopo il papa
Clemente XIII e l’arcivescovo di Parigi Cristophe de Beaumont approvano la condanna.
2 Rousseau, attraverso la pubblicazione dei due Discorsi , ha già sottolineato con vigore i limiti e
la degenerazione della società contemporanea. Cfr., J.J. Rousseau, Discours sur le Sciences et
les Arte s, in Oeuvres complètes [O.C.], III, Bibliothèque de la Pléiade, Editions Gallimard, Paris
1969; tr. it. Discorso sulle scienze e sulle arti , (1750) in Rousseau , II, Mondadori, Milano 2010,
pp. 526-623 e Id., Discours sur l’origine et le fondements de l’inégalité parmi les hommes , in
O.C., III, cit.; tr. it. Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini , (1754)
in Rousseau , cit., pp. 645-770.
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attraverso una ricerca sui fondamenti sociali e individuali dell’essere umano. Il
Contratto sociale rappresenta il tentativo di «cercare se nell’ordine civile può
esservi qualche regola di amministrazione legittima e sicura, prendendo gli
uomini come sono e le leggi come possono essere 3 ». Partendo dalla
costatazione dei limiti e delle contraddizioni dei legami politici dell’uomo,
Rousseau identifica nel patto sociale 4 la forma di associazione che protegge e
difende il singolo cittadino che vi partecipa, facendo in modo che la libertà e
l’identità personale di ciascuno dei contraenti sia rispettata. L’ Emilio , al
contrario, si occupa dell’essenza della condizione umana e propone l’idea di
educazione naturale come principio per far manifestare la totalità della persona
umana, al di là dei condizionamenti e dei dispositivi sociali che si trova a vivere.
Il giovane Emilio, attraverso il proprio percorso di formazione, potrà realizzare
pienamente se stesso agendo attivamente e responsabilmente nella società
come cittadino, senza accettare passivamente le regole dei contesti culturali in
cui si trova. Le diverse prospettive dei due testi, non impediscono di riconoscere
in atto, in entrambi gli scritti, l’impostazione metafisica rousseauiana e la sua
concezione antropologica che individua nella bontà la condizione originaria
dell’uomo. Lo scopo di questo scritto è di far emergere la visione dell’uomo di
Rousseau e l’unitarietà della sua opera politica ed educativa, attraverso l’analisi
della funzione del lavoro nel percorso educativo dell’ Emilio e nel Contratto
sociale . Il lavoro, non a caso, permette la piena espressione dell’aspetto
relazionale umano, attraverso la costruzione di legami sociali che riescono a far
manifestare la libertà di ciascun singolo cittadino.
Spontaneità e universalità. L’antropologia rousseauiana
La relazionalità umana costituisce il punto di partenza della teoria educativa e
politica di Rousseau. La visione antropologica rousseauiana parte dalla
costatazione della non autosufficienza dell’uomo che, non potendo bastare a se
stesso, mostra fin dalla nascita la propria natura mancante. Il neonato, fin dai
primi giorni di vita, si presenta come un essere relazionale che ha bisogno del
sostegno di altri uomini per poter sopravvivere alle condizioni esterne 5 . Ma la
3 J.J. Rousseau, Du contrat social , in O.C., III, cit.; tr. it. Contratto sociale , (1762) in Rousseau ,
II, cit., p. 5.
4 Rousseau così formula l’essenza del contratto sociale: «ciascuno di noi mette in comune la
sua persona e tutto il suo potere sotto la suprema direzione della volontà generale; e noi, come
corpo riceviamo ciascun membro come parte indivisibile del tutto». L’alienazione volontaria e
responsabile di tutti i diritti, da parte di ciascun partecipante al contratto, permette la
costituzione di una volontà generale che rappresenta, senza riserve, le aspettative e le
esigenze di ciascun contraente. (Cfr., ivi, p. 23).
5 Lo sviluppo dell’uomo dopo la nascita prevede una fase molto lunga, rispetto agli altri animali,
nella quale l’essere umano è dipendente dalle cure dei genitori o di chi si occupa di lui. Inoltre
questo periodo, che gli antropologi chiamano neotenia, è caratterizzato da una mancanza di
istinti predeterminati. Bertagna scrive: «l’ultimo elemento che viene a contraddistinguere gli
appartenenti al genere Homo rispetto agli altri animali […] si riferisce al progressivo aumento
della durata dell’infanzia. Mentre, infatti, tutti i nuovi nati degli altri animali nel giro di qualche
mese o al massimo di qualche anno diventano indipendenti e maturi e abbandonano la famiglia
di origine per farne una propria, per i nuovi nati umani il cammino verso la maturità non solo si
mostra molto più lungo, ma i tratti infantili della non maturità permangono anche in età adulta».
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mancanza originaria dell’uomo, secondo Rousseau, è connotata in modo
positivo da un’apertura etica nei confronti degli altri e del mondo. Le righe
iniziali dell’ Emilio mettono in evidenza il principio fondamentale sul quale si
sviluppa l’intera idea di educazione rousseauiana: «tutte le cose sono create
buone da Dio, tutte degenerano nelle mani dell’uomo 6 ». Proprio il principio
fondamentale e ontologico della bontà originaria dell’uomo assume un ruolo
centrale che guida lo sviluppo della ricerca pedagogica di Rousseau e lo spinge
a pensare le relazioni umane come il luogo duplice di salvezza o
degenerazione.
L’individuo nasce buono in quanto è creato da Dio, che diviene la garanzia
positiva della sua natura. L’irruzione dell’elemento negativo avviene in un
secondo momento 7 , quando l’essere umano si pone in relazione con il mondo e
con la società nella quale vive. Eppure l’aspetto relazionale appartiene alla
natura umana poiché ogni individuo nasce in una condizione di tale debolezza
che rende necessario il rapporto con l’altro:
nasciamo deboli e abbiamo bisogno di forza; nasciamo sprovvisti di tutto e abbiamo
bisogno di assistenza; nasciamo stupidi e abbiamo bisogno di giudizio. Tutto ciò che alla
nascita non possediamo e che ci sarà necessario da adulti ce lo fornisce l’educazione 8 .
La debolezza e la fragilità dell’uomo sono le caratteristiche strutturali che gli
impediscono di essere auto-sufficiente. Per questa ragione, fin dalla nascita, il
bambino, attraverso le relazioni che gli permettono di essere in collegamento
con il mondo, costruisce le sue categorie esperienziali e conoscitive. Rousseau
è consapevole del significato e dell’importanza della relazionalità umana e
dell’impossibilità di separare l’individuo dai legami con il mondo. L’uomo, che
nasce mancante di tutto, si trova in una situazione paradossale in quanto non
può sopravvivere nel mondo senza i legami sociali e relazionali che lo
costituiscono, ma proprio questi rapporti lo espongono al negativo e alla
possibile degenerazione. In questa situazione si inserisce il ruolo
dell’educazione che, a partire dall’osservazione della debolezza e mancanza
umana, dovrebbe permettere all’uomo di realizzare, in modo pieno, la propria
natura. L’educazione, nella riflessione di Rousseau, si mostra come un
supplemento 9 volto a colmare le mancanze naturali del fanciullo.
(Cfr., G. Bertagna, Dall’educazione alla pedagogia. Avvio al lessico pedagogico , La Scuola,
Brescia 2010, p. 39).
6 J.J. Rousseau, Émile ou de l’éducation , in O.C., IV, cit.; tr. it. Emilio o dell’educazione , (1762)
Mondadori, Milano 1997, p. 7.
7 L’idea di irruzione del negativo nell’origine buona dell’uomo non deve essere pensata in
termini cronologici in quanto il concetto stesso di bontà originaria è una garanzia ontologica che
si dispiega nel tempo. La purezza del bambino si mostra attraverso le relazioni e, di
conseguenza, è già contaminata dai legami che le impediscono di apparire come bontà pura.
Eppure Rousseau difende l’idea di purezza che, al di là della possibilità di essere recuperata,
nella sua totalità, durante il cammino umano, agisce all’interno delle dinamiche sociali. In
questo senso il primo momento originario costituisce sia il fondamento ontologico dell’uomo sia
la sua finalità più propria.
8 J.J. Rousseau, Emilio o dell’educazione , cit., p. 9.
9 Per un approfondimento sul tema del supplemento all’interno dell’opera di Rousseau si veda
la riflessione di Derrida nella seconda parte della Grammatologia dal titolo Natura, cultura,
scrittura . Il supplemento è inteso dal filosofo francese come il segno e l’artificio che si aggiunge
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È opportuno osservare che, anche se Rousseau descrive il fanciullo come
un essere sprovvisto di tutto, egli sta analizzando le deficienze di carattere
cognitivo, esperienziale e di giudizio che appartengono all’infanzia, senza voler
identificare il bambino con una tavoletta di cera vuota sulla quale le energie
dell’educatore possono agire senza limiti 10 . Al contrario l’infante di Rousseau è
già un essere orientato secondo una direzione naturale, che necessita sempre
di un supplemento esterno, ma che appartiene a ogni essere umano e lo spinge
verso una dimensione etica. Il compito dell’educazione, che agisce come
supplemento, dovrebbe essere quello di farsi carico della tendenza etica
positiva del bambino. Ma l’idea stessa di educazione appartiene al dominio
della relazionalità e mostra, al suo interno, la possibilità di degenerare e di
allontanare il singolo uomo dalla propria natura. Il rapporto educativo è in sé
relazionale e, se da un lato permette al fanciullo di diventare uomo e gli fornisce
le indicazioni per sopravvivere nella società, dall’altro è una modalità di
espressione degli stessi dispositivi sociali che la generano. Per questa ragione
Rousseau propone con forza l’idea di un’educazione che sappia essere
naturale, ossia sia in grado di strutturarsi sulla spinta originaria e buona che
costituisce il fanciullo. A partire da questa scena iniziale dell’ Emilio , è opportuno
analizzare come l’educazione possa svolgere il proprio compito per mostrarne
l’intrinseco aspetto relazionale.
L’idea di natura, che il pensatore ginevrino propone, sembra collocarsi in
una dimensione a-storica che difficilmente può trovare collocazione in una
precisa epoca della tradizione umana. Quando Rousseau si avventura a
descrivere l’ipotetico stato di natura procede, spesso, in opposizione con lo
stato di società che sta osservando concretamente. Per questa ragione si
possono osservare diverse oscillazioni, anche nell’interpretazioni dei critici, su
quale sia l’idea di stato naturale che il filosofo ginevrino propone e se questa
idea coincida con un modello reale, che appartiene alla storia dell’umanità, o se
sia un ideale etico che dovrebbe orientare l’agire umano. La tesi che si vuole
sostenere in questo scritto è che la categoria di natura rousseauiana consista in
a qualcosa che è presente per svolgere la funzione di vicariato di ciò che sostituisce. La logica
di questo movimento prevede due aspetti paradossali che devono coesistere. Da un lato il
supplemento aggiunge una presenza a ciò che già è pieno, diventando un cumulo e un eccesso
di pienezza. In questo modo la tecnica, la cultura e l’educazione stessa, in Rousseau,
divengono supplementi della natura, accumulando presenza e generando i dualismi concettuali
classici del suo procedere. Allo stesso tempo il supplemento non si aggiunge che per sostituire.
Il segno supplementare viene a riempire un vuoto, un qualcosa che era iscritto nella presenza
iniziale e che non poteva essere colmato dalla stessa natura. Il supplemento, in questo modo,
prende il posto e riforma una presenza a partire da un vuoto che lo precede. Un vuoto che non
si può riempire da sé e che si può colmare solamente attraverso un sostituto. Entrambe queste
funzioni del segno sono presenti, secondo Derrida, nei testi di Rousseau e agiscono in modi
differenti, e con diversa intensità, nella idea di natura e di educazione rousseauiana. Cfr., J.
Derrida, De la grammatologie , Les Éditions de Minuit, Paris 1967; tr. it., Della grammatologia ,
Jaca Book, Milano 1998, pp. 141-417.
10 Rousseau si distacca dalla concezione dell’empirismo inglese volta a concepire la mente
come uno spazio vuoto sul quale si vanno a innestare le esperienze. In particolare Rousseau si
riferisce al testo di Locke sull’educazione che critica diverse volte nell’ Emilio a proposito del
ruolo dello studio eccessivo e mnemonico per i bambini. Cfr., J. Locke, Some Thoughts
concerning Education, A. e J. Churchill, London 1693; tr. it. Pensieri sull’educazione , (1693), La
Nuova Italia, Firenze 1970.
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un principio metafisico che garantisce l’origine dell’uomo e ne orienta, anche se
in misura difficilmente definibile, le azioni. Questa lettura si allontana dai
tentativi di identificare lo stato di natura con le epoche primitive dell’uomo più
vicine alla spontaneità umana o con un’utopica età dell’oro originaria 11 e cerca
di cogliere, nello sforzo educativo, la direzione verso la quale realizzare, nella
dimensione sociale e politica, l’agire naturale dell’uomo. Todorov, su questo
tema, afferma:
Rousseau è certamente un critico severo dell’umanità attuale, in nome di un ideale
perduto; ma è anche un primitivista, un fautore del ritorno all’indietro? Assolutamente no;
e, accanto ai due “stati” così definiti, ne aggiungerà un terzo, che non è più nel passato
né nel presente, ma nel futuro, e che indica la direzione da seguire: solo in esso si
troverà il rimedio che permetterà di combattere il male diagnosticato in precedenza 12 .
La dimensione che permette di cogliere il senso dell’idea di natura
rousseuaiana, come sostiene giustamente Todorov, è il futuro e l’educazione è
la modalità attraverso la quale è possibile costruire tale futuro. L’idea di natura è
concepita come un fondamento che appartiene a ogni uomo e orienta il suo
agire. Allo stesso tempo, però, non è possibile identificare nella pura
spontaneità l’ideale che regola il comportamento umano 13 . Infatti non tutte le
direzioni di sviluppo della società o dell’individuo sono conformi all’ideale
regolativo naturale rousseauiano. Eppure l’uomo storico, condizionato dai
rapporti sociali e limitato dal contesto culturale al quale appartiene, è l’unico
punto di osservazione concreto per poter costruire una teoria educativa che
permetta all’individuo libero di inserirsi armonicamente, come cittadino, nella
propria società. Lo sforzo dell’educazione risiede nel tentativo di far emergere
11 Le oscillazioni di Rousseau su questo tema sono evidenti. È infatti lo stesso pensatore a
giustificare l’identificazione dello stato naturale con l’età dell’oro in diversi suoi scritti: «ora, il
risultato di questo esame è che il tempo d’oro, il tempo della virtù di ciascun popolo, è stato
quello della sua ignoranza, mentre col progredire della sua scienza, della sua arte, della sua
filosofia, sono andate perdute la sua virtù e la sua probità. […] Tutti i popoli barbari, anche quelli
privi di virtù, onorano sempre, tuttavia, la virtù, mentre i popoli di scienziati e di filosofi, a forza di
progresso, finiscono col metterla in ridicolo e col disprezzarla». (J.J. Rousseau, Discorso sulle
scienze e sulle arti , cit., p. 593). Però allo stesso tempo è Rousseau che mette in guardia
dall’identificare le civiltà primitive dell’umanità con la virtù: «la virtù, dunque, non è incompatibile
con l’ignoranza. Ma neanche è la sua compagna inseparabile: infatti molti popoli ignorantissimi
erano viziosissimi. L’ignoranza non è un ostacolo né per il bene né per il male; è semplicemente
lo stato naturale dell’uomo». (Ivi, p. 592).
12 T. Todorov, Frêle bonheur. Essai sur Rousseau , Hachette, Paris 1985; tr. it. Fragile felicità.
Saggio su Rousseau , SE, Milano 2002, p. 21.
13 Durkheim afferma che la società naturale: «consiste in una sorta di anarchia pacifica in cui gli
individui, indipendentemente gli uni dagli altri, senza relazioni reciproche dipendono solo dalla
forza astratta della natura. Nella società civile gli individui sono estranei gli uni agli altri,
intrattengono il minimo necessario di relazioni personali, ma dipendono da una nuova forza
sovrapposta alle forze naturali, altrettanto generale e necessaria: la volontà generale». La tesi
di Durkheim sottolinea gli elementi di continuità tra stato di natura e società civile. In questo
modo il comportamento umano sembra svilupparsi in modo naturale grazie al riconoscimento
spontaneo della sovranità della volontà generale. Al contrario nel pensiero di Rousseau
l’adesione al contratto sociale non è un processo spontaneo insito nell’uomo, ma il frutto di una
decisione libera che ha l’obiettivo di limitare la degenerazione implicita nei legami sociali. (Cfr.,
E. Durkheim, Le “Contrat social” de Rousseau , in «Revue de métaphysique et de morale», 25,
1918, p. 159).
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l’elemento naturale dell’uomo, a partire dai limiti della realtà nella quale vive e in
vista della possibilità di trasformarla positivamente. In che cosa consiste, a
questo punto, l’idea di naturalità implicita nell’uomo? Come è possibile educare
un uomo naturale a partire dal contesto sociale nel quale necessariamente
vive?
Per cercare di rispondere a queste domande è opportuno analizzare i
tentativi che Rousseau mette in atto per descrivere l’idea di uomo naturale,
tentando di evidenziare le sfumature e i passaggi che contraddistinguono il
procedere rousseauiano. Questa analisi deve permettere di distinguere l’idea di
stato di natura da forme di spontaneismo o di nostalgia del passato:
prima che l’arte avesse modellato le nostre maniere e insegnato alle nostre passioni un
linguaggio controllato, i nostri costumi erano rozzi, ma naturali; e la diversità dei
comportamenti rivelava al primo sguardo la naturalità dei caratteri. La natura umana, in
fondo, non era migliore; ma gli uomini trovavano la base della loro sicurezza nella facile
penetrazione reciproca; e questo vantaggio, che non siamo in grado di apprezzare, li
salvava da molti vizi 14 .
La riflessione di Rousseau, già nelle prime pagine del Discorso sulle scienze e
sulle arti , mostra una critica nei confronti della società contemporanea. L’arte, il
sapere e la conoscenza rendono l’uomo più controllato e raffinato, ma allo
stesso tempo, producono una serie di stratificazioni nei suoi comportamenti e
nelle sue abitudini che permettono la diffusione del vizio e delle incomprensioni.
L’idea di natura sembra coincidere con la semplicità delle culture primitive.
Rousseau, in particolare, sta pensando al mondo classico latino e greco che
rimane, da un punto di vista politico, il modello di riferimento 15 verso il quale la
società moderna dovrebbe tendere. Eppure proprio la stessa citazione mette in
evidenza che l’idea di natura ontologica dell’uomo non è realmente cambiata.
Rousseau infatti afferma che «la natura umana, in fondo, non era migliore», ma
ciò che è cambiato è il modo di relazionarsi degli individui.
La semplicità dei costumi della società classica facilita l’armonia delle
relazioni civili e consente a tutti gli uomini di manifestare la propria natura
interiore. Il fondamento naturale umano, ossia la sua originaria bontà
appartiene a tutte le dimensioni storiche, sia quella moderna sia quella antica.
Ciò che si modifica sono le condizioni temporali e sociali che permettono la
manifestazione della purezza individuale. La trasparenza 16 degli sguardi porta
14 J.J. Rousseau, Discorso sulle scienze e sulle arti , cit., p. 533.
15 Viroli afferma l’importanza del modello repubblicano classico in Rousseau: «il debito nei
confronti del linguaggio politico repubblicano è perlomeno altrettanto importante di quello verso i
giusnaturalisti. Ma mentre il secondo è stato ampiamente analizzato, in particolare nel classico
lavoro di Robert Derathé Rousseau e la scienza politica del suo tempo , quello nei confronti
della tradizione repubblicana non è stato ancora fatto oggetto di studi adeguati. […] Invece di un
brillante discepolo della scuola giusnaturalista, Rousseau andrebbe piuttosto considerato come
uno degli ultimi esponenti della tradizione repubblicana». (Cfr., M. Viroli, Jean-Jacques
Rousseau e la teoria della società bene ordinata , Il Mulino, Bologna 1993, pp. 20-22). Si veda
anche R. Derathé, Jean-Jacques Rousseau et la science de son temps , Vrin, Paris 1988; tr. it.
Rousseau e la scienza politica del suo tempo , Il Mulino, Bologna 1993.
16 Il concetto di trasparenza nell’opera di Rousseau viene ben analizzato da Starobinski, che
afferma che ciò che non è mai ambiguo all’interno dei testi di Rousseau è l’identificazione
dell’origine come desiderio di trasparenza. Questo desiderio appartiene all’uomo di ogni
società, anche quello compromesso della modernità, e orienta il suo sguardo verso una
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gli esseri umani, nelle società armoniche e senza eccessi razionali, a
comprendere immediatamente l’animo degli altri perché, sia lo sguardo di chi
guarda sia l’animo che viene visto, sono privi di veli e di condizionamenti
prodotti dalla cultura del tempo. La società ideale rousseauiana non coincide
con una particolare dimensione storica primitiva e nemmeno con uno stato di
totale mancanza di cultura, ma, al contrario, si manifesta in determinate
condizioni che permettono alla natura dell’individuo di essere in armonia con la
realtà nella quale vive. Il tentativo di costruire, attraverso il contratto sociale, un
orizzonte politico ben regolato rappresenta al meglio l’obiettivo rousseauiano.
Un obiettivo in cui la dimensione singolare e quella sociale possano trovare un
accordo in una decisione libera e responsabile di tutti i membri della comunità:
solo la volontà generale può dirigere le forze dello Stato secondo il fine della sua
istituzione, che è il bene comune; infatti, se è stato il contrasto degl’interessi privati a
render necessaria l’istituzione della società, è stato l’accordo dei medesimi interessi a
renderla possibile. Il legame sociale risulta da ciò che in questi interessi differenti c’è di
comune, e, se non ci fosse qualche punto su cui tutti gli interessi si accordano, la società
non potrebbe esistere. Ora la società deve essere governata unicamente sulla base di
questo interesse comune 17 .
L’interesse privato che spinge il singolo individuo a cercare solo il proprio utile
rende necessaria la costituzione del patto sociale. Ma allo stesso tempo è l’idea
universale di accordo che appartiene agli uomini a garantire la decisione del
contratto e il suo mantenimento. Nella costituzione dei legami sociali emerge
l’ambivalenza della relazionalità umana: necessaria per la sopravvivenza degli
individui, ma anche elemento di disordine e ingiustizia. Nella riflessione di
Rousseau, però, alla base di ogni contratto civile e di ogni relazione umana vi è
un’idea di accordo e di ordine che ha la funzione di originare e garantire i diversi
legami politici. La società, che si basa sul bene comune, ha il compito di
garantire l’ordine tra i cittadini. Viroli sostiene:
per Rousseau il buon ordine politico deve rappresentare la risposta al problema
dell’ordine in tutte le sue dimensioni. Una società è ben ordinata quando le passioni degli
uomini sono temperate dalle leggi e dai costumi e quando una moderata armonia si
sostituisce al conflitto generale. Vi è un buon ordine dove i più virtuosi e non i potenti o i
più astuti accedono ai gradi più elevati della gerarchia sociale e dove ognuno è in grado
di moderare le passioni 18 .
L’idea di ordine sociale è un punto centrale della teoria politica rousseauiana e
coincide con l’armonia e l’equilibrio che permette di moderare le passioni
dell’uomo e impedire la degenerazione dell’amor proprio. Come Viroli sottolinea
giustamente, l’idea di ordine è sempre accompagnata dall’aggettivo buono.
L’ordine buono costituisce l’obiettivo politico e sociale del pensatore ginevrino.
Contrariamente al contrattualismo di Hobbes, lo stato rousseauiano non deve
garantire solamente la pace e la tranquillità dei cittadini, ma deve costituire dei
direzione che rappresenta l’origine, la natura e la sua essenza. Cfr., J. Starobinski, La
transparence et l’obstacle , Gallimard, Paris 1971, tr. it., Jean-Jacques Rousseau. La
trasparenza e l’ostacolo , Il Mulino, Bologna 1982.
17 J.J. Rousseau, Contratto sociale , cit., p. 35.
18 M. Viroli, Jean-Jacques Rousseau e la teoria della società bene ordinata , cit., p. 10.
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legami “buoni” che consentano ai singoli di manifestare la propria natura
positiva. Per questa ragione la possibilità di costruire una società armonica e
ordinata si basa sull’idea di uomo naturale e sul processo educativo che
permette di far manifestare agli individui le proprie caratteristiche 19 .
L’educazione diviene così una linea sottile di supplemento che permette di
collegare le polarità del procedere rousseauiano. La natura si manifesta
attraverso un’educazione privata, come avviene in Emilio , che però ha lo scopo
di giungere al cittadino e alla costruzione di una società bene ordinata.
L’educazione di Emilio, se pur ideale e utopica, non si pone l’obiettivo di
ricreare uno stato naturale ideale nel quale le persone siano auto-sufficienti,
bastino a se stesse e vivano senza legami con la realtà. Al contrario Emilio, alla
fine del suo percorso, riuscirà a costruirsi una famiglia, sarà in grado di lavorare
per mantenersi e avrà viaggiato e conosciuto il mondo. Emilio rappresenta così
il cittadino che, al meglio, sa manifestare le caratteristiche dell’uomo naturale e
sa vivere in modo armonico all’interno della realtà rurale e contadina che,
secondo Rousseau, costituisce il modello insuperabile di legame sociale ed
economico. Proprio il lavoro diviene, quindi, il filo conduttore significativo tra la
dimensione formativa e quella politica dell’uomo. Emilio si forma imparando il
mestiere di artigiano e, attraverso questa pratica, riesce a equilibrare le forze e i
bisogni che lo costituiscono e a manifestare la natura positiva che gli
appartiene. In questo modo, attraverso la sua capacità di fare esperienza del
mondo e di operare con le mani e con la ragione sulla realtà, il giovane Emilio
può diventare un cittadino e un padre libero e responsabile.
Il lavoro come espressione della relazionalità umana
19 L’interpretazione, sostenuta da molti autori del Novecento, che la modernità del pensiero
politico di Rousseau risieda nel aver separato la riflessione politica da quella etica, non sembra
del tutto convincente. Il valore del Contratto sociale può essere compreso al meglio se si tiene
conto dell’intera produzione del filosofo givevrino. L’importanza dei testi autobiografici e di quelli
educativi non assume solo il significato storico della completezza, ma permette di cogliere nella
sua totalità l’idea di natura che fonda anche le categorie politiche di Rousseau. L’insistenza
sull’autonomia della dimensione politica nell’opera rousseauiana e sulla separazione tra natura
e cultura nasconde, spesso, il tentativo di considerare Rousseau come il pensatore moderno
che si è occupato solo del funzionamento dei meccanismi sociali e di formulare una dottrina
politica che sia in grado di trovare nel contratto sociale la migliore forma di governo possibile.
Lo stesso Viroli insiste sulla modernità di Rousseau come pensatore politico che è in grado di
separare la riflessione sulle strutture politiche dalle considerazioni etiche o teleologiche. Il
contratto sociale diviene la massima espressione dell’autonomia degli uomini che possono
stabilire le regole migliori, a partire dalle proprie debolezze e mancanze, per costruire una
società bene ordinata. Il limite di questa interpretazione risiede nel non riconoscere il valore
dell’idea di natura come un riferimento originario e teleologico anche nel procedere politico di
Rousseau. La natura, infatti, intesa come paradigma metafisico, assume diverse forme e
rimane il modello che permette a Rousseau di strutturare la propria idea di ordine e le diverse
assiologie che appartengono alla società e all’identità personale. Si veda M. Viroli, Jean-
Jacques Rousseau e la teoria della società bene ordinata , cit., e A. Burgio, Eguaglianza,
interesse, unanimità. La politica di Rousseau , Bibliopolis, Napoli 1988. Per un approfondimento
sull’interpretazione marxista dell’idea di lavoro in Rousseau si veda la riflessione di Manacorda.
Cfr., M.A. Manacorda, Momenti di storia della pedagogia , Loescher, Torino 1977, pp. 144-163.
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La relazionalità, che costituisce un tratto essenziale dell’uomo civile, impone,
secondo Rousseau, che ogni individuo sia in grado di costruire positivamente i
rapporti con gli altri membri della società nella quale vive. Un aspetto
significativo della relazionalità umana si manifesta nella capacità di operare e di
trasformare la realtà. Attraverso le azioni e il lavoro l’essere umano ha la
possibilità di fare esperienza, di comprendere ciò che gli può essere utile per la
sopravvivenza e di mettersi in relazione con altri uomini per giungere a uno
scopo comune. L’idea di lavoro, che emerge dagli scritti rousseauiani, è
complessa e stratificata e affonda le sue radici nella critica di stampo illuminista
nei confronti dell’ozio improduttivo del clero e dell’aristocrazia di fine Settecento.
La pratica lavorativa permette all’uomo di aprirsi e di orientarsi nel mondo
costruendo i legami sociali. Seguendo la propria visione antropologica,
Rousseau concepisce il lavoro come la modalità di relazione positiva dell’uomo
che può superare i limiti dell’ amour propre 20 e mostrare la natura originaria che
lo costituisce. Ma come può il lavoro, in quanto dinamica produttiva della
società, sottrarsi alle critiche e alla degenerazione che Rousseau individua nella
cultura contemporanea? La strada che il pedagogista sembra percorrere per
rispondere, almeno parzialmente, a questa domanda è quella dell’educazione
che porta il singolo, anche attraverso il lavoro, a diventare un cittadino
responsabile e libero.
Nell’ Emilio il lavoro viene considerato un momento significativo nel
percorso formativo del giovane allievo. Rousseau identifica il periodo giusto per
avvicinare Emilio all’attività lavorativa tra i dodici e i quattordici anni 21 , in un
momento della crescita in cui «il progresso delle forze oltrepassa quello dei
bisogni e il giovane animale che cresce, pur restando debole in senso assoluto,
diventa forte in senso relativo 22 ». La rigida divisione delle fasi di sviluppo del
fanciullo porta Rousseau a considerare gli anni finali che precedono
l’adolescenza come il periodo più fecondo per istruire l’allievo. La relativa
tranquillità di questi anni è data dalla mancanza degli stimoli e delle pulsioni
sessuali che non si sono ancora manifestati 23 nel fanciullo e dall’aumento delle
forze fisiche del giovane.
Il maestro può agire su Emilio con una certa tranquillità, sfruttando le
energie supplementari del ragazzo per indirizzarle verso lo studio e il lavoro:
20 Rousseau descrive le passioni come gli strumenti principali per la conservazione dell’uomo.
Di conseguenza è impossibile fermare la nascita delle passioni, ma è anche opportuno, per una
buona educazione, fare in modo che il sentimento positivo e originario, che Rousseau chiama
amore di sé, non venga sostituito da quello negativo che lo porta all’orgoglio e a voler
primeggiare sugli altri (amor proprio): «l’amore di sé, che prende in considerazione
esclusivamente noi stessi, è contento quando i nostri veri bisogni sono soddisfatti; ma l’amor
proprio, che implica il confronto, non è mai contento né potrebbe esserlo, perché questo
sentimento, portandoci a preferire noi stessi agli altri, esige anche che gli altri ci preferiscano a
loro, e questo è impossibile». (Cfr., J.J. Rousseau, Emilio o dell’educazione , cit., p. 207).
21 Il periodo giusto non è una scelta arbitraria, ma viene indicato, secondo la ricostruzione del
pedagogista, dalla stessa natura che impone determinate tappe di sviluppo nel giovane: «ecco
dunque il tempo di lavorare, di istruirsi, di studiare, e notate che non sono io a fare
arbitrariamente questa scelta, è la natura stessa che la indica». (Cfr., ivi, p. 209).
22 Ivi, p 207.
23 Rousseau afferma, per prevenire possibili critiche, che Emilio non è un ragazzo come gli altri,
ma è un giovane cresciuto secondo i principi naturali e, per questa ragione, i suoi bisogni e i
suoi impulsi sono minori e più equilibrati rispetto a quelli degli altri coetanei. Cfr., ivi, p. 208.
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che farà dunque di questa eccedenza di facoltà e di forze che per il momento è superflua
e che in seguito gli verrà a mancare? Cercherà di adoperarla per esperienze che possano
un giorno servirgli in caso di bisogno, proietterà, per così dire, nel futuro l’eccedenza del
suo essere attuale: l’esuberante fanciullo di oggi farà provviste per l’uomo debole di
domani. Non accumulerà però tali provviste in forzieri che qualcuno potrebbe rubargli, né
in magazzini che non gli appartengono; per appropriarsi davvero delle sue acquisizioni, è
nelle braccia, nella sua mente, è in se stesso che dovrà collocarle. Ecco dunque il tempo
di lavorare, di istruirsi, di studiare. 24
Le energie devono essere indirizzate dal maestro verso ciò che può essere utile
in futuro al giovane Emilio. Emerge con chiarezza l’ideale rousseauiano
dell’armonia tra mente e corpo che devono agire in equilibrio per sviluppare
l’integralità della persona in formazione. Durante le diverse fasi della sua
crescita, Emilio deve costantemente essere in relazione con il contesto in cui
vive e il maestro ha il compito di guidare le sue esperienze verso ciò che gli
potrà essere utile in futuro.
Le idee di esperienza e di utile costituiscono l’obiettivo e il metro di
misurazione del procedere di una buona educazione. Ma cosa significa
esperienza 25 naturale, quando può essere considerata utile e come si relaziona
alla pratica lavorativa? L’idea di esperienza naturale si oppone alle varie forme
di mediazione, tra cui l’esaltazione della razionalità, i libri e l’eccesso di sapere,
che secondo Rousseau impediscono il rapporto diretto del fanciullo con la realtà
esterna e con la purezza dell’interiorità. L’esperienza si costituisce nella
relazione che il fanciullo, buono per essenza, si trova ad avere nei confronti
della realtà. Il rapporto esperienziale con il mondo non prende la forma della
spontaneità perché, fin dalla nascita, l’idea di utile e, successivamente quella di
giusto, orientano l’agire del fanciullo. Per questa ragione l’esperienza umana
deve essere guidata dal maestro che assume il compito di armonizzare i
rapporti tra forze e bisogni, pulsioni e razionalità, sensazioni e riflessioni che
agitano il proprio allievo. Questa tensione verso l’equilibrio e l’armonia delle
energie dell’uomo mostra la matrice stoica che orienta il sistema educativo
rousseauiano – come ha ben messo in evidenza Starobinski 26 - e rappresenta
una delle finalità che caratterizzano la riflessione teorica del pedagogista
ginevrino.
24 J.J. Rousseau, Emilio o dell’educazione , cit., p. 209.
25 Il termine esperienza etimologicamente deriva dal latino ex-perièntia e dal greco peirao
(tentare). La parola è composta dalle due particelle ex (da) e per (attraverso) e manifesta un
duplice movimento interno all’esperienza a partire da qualcosa e attraverso qualcosa. In questo
senso colui che esperisce si allontana da un oggetto e, allo stesso tempo, lo attraversa
evidenziando il duplice movimento della conoscenza che si allontana dalla realtà rimanendovi
immersa. Si vedano G. Bertagna, Dall’educazione alla pedagogia. Avvio al lessico pedagogico
e alle teoria dell’educazione , Editrice La scuola, Brescia, 2010, pp. 78-80 e M. Serres, Statues ,
Bourin, Paris 1987, pp. 89-94.
26 Starobinski, si sofferma sulla matrice stoica che agisce nella riflessione rousseauiana e si
manifesta nella tendenza all’equilibrio tra forze e bisogni per la costruzione dell’identità
soggettiva. Un equilibrio che non coincide con una forma di spontaneità, ma si mostra come
una finalità, mai pienamente raggiungibile, verso la quale l’uomo tende e attraverso la quale
orienta le proprie pratiche. (Cfr., J. Starobinski, Jean-Jacques Rousseau. La trasparenza e
l’ostacolo , cit., p. 58).
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Rousseau sostiene l’importanza dell’equilibrio tra forze e bisogni come
elemento per costruire un’identità personale positiva. Per questa ragione l’uomo
che riesce a diminuire i propri bisogni e a non crearsene di illusori potrà vivere
una vita serena e armonica nelle relazioni con sé e gli altri. Il lavoro assume, di
conseguenza, il ruolo positivo di convogliare le energie supplementari del
ragazzo verso esperienze concrete che possano risultare utili per generare un
equilibrio positivo nelle forze che costituiscono la sua interiorità. Il lavoro
manuale, più di ogni lettura e astrazione razionale, permette all’uomo di
manifestare l’amore di sé, inteso come passione positiva che lo porta a
soddisfare i bisogni concreti e che limita la generazione di fantasie e illusioni
che lo spingerebbero a considerarsi superiore agli altri.
L’intreccio tra esperienza, lavoro e utile costituisce lo snodo significativo
dell’educazione naturale durante la pre-adolescenza del giovane Emilio. L’idea
di lavoro che Rousseau propone non coincide con il mestiere che ogni cittadino
è tenuto a svolgere durante l’età adulta. Infatti la pratica lavorativa non si
caratterizza solo per la necessità che porta a soddisfare un bisogno per la
sopravvivenza, ma diviene l’elemento che conduce dall’esperienza immediata e
sensibile dei primi anni di vita all’esperienza utile per il futuro. La scelta di
utilizzare il lavoro come apprendistato formativo è evidente nelle indicazioni che
Rousseau fornisce ai precettori:
attirate dapprima tutta la sua attenzione verso l’industria e le arti meccaniche che
rendono gli uomini utili gli uni agli altri. Conducetelo a visitare fabbriche ed opifici, sempre
esigendo che di ogni lavoro cui assiste faccia esperienza anche con le proprie mani e
che non si allontani da quei luoghi senza sapere perfettamente la ragione di tutte le
attività che vi si svolgono o almeno di quelle che ha potuto osservare. A tale scopo,
lavorate voi stessi, dategli dunque l’esempio: perché diventi maestro, recitate ovunque la
parte di apprendista e state certi che un’ora di lavoro, gli insegnerà più cose di quante ne
terrebbe a mente dopo una giornata di spiegazioni teoriche 27
Il primo momento di avvicinamento dell’allievo verso il lavoro è osservativo. Egli
deve comprenderne il valore e l’importanza per la società e i legami che la
costituiscono. Nonostante Rousseau consideri l’agricoltura l’arte più naturale e
consona per l’uomo, sostiene che nelle società moderne anche il commercio e
l’artigianato assumono un valore positivo perché rendono gli uomini utili tra loro.
Emilio deve osservare e comprendere come funzionano i contesti lavorativi. In
questo modo egli può fare esperienza della capacità dell’uomo di trasformare il
reale e di relazionarsi positivamente con gli altri. L’osservazione non è però
sufficiente. Infatti il maestro, attraverso il suo esempio, deve coinvolgere
l’allievo e trasformare l’osservazione in un’attività di apprendistato.
La funzione educativa e armonizzatrice del lavoro si mostra all’opera nella
pratica. Emilio è totalmente coinvolto dal suo apprendistato, può fare
esperienza diretta e può mettere in atto, attraverso azioni concrete, ciò che ha
osservato e colto con la ragione. Il lavoro descritto nell’ Emilio ha la funzione di
unire ciò che si presenta separato: la mente e il corpo, la natura e la cultura, la
teoria e la prassi. La scelta da parte di Emilio e del suo maestro di imparare il
27 J.J. Rousseau, Emilio o dell’educazione , cit., p. 239.
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mestiere del falegname 28 mostra l’importanza che Rousseau attribuisce a
questa pratica nella formazione dell’uomo naturale. Una funzione che risulta
esemplare 29 per l’equilibrio dell’identità umana nella sua relazione trasformativa
e produttiva con il mondo. Ma è opportuno non dimenticare che nell’ Emilio
Rousseau parla del mestiere di falegname come di un’attività di apprendistato
che è interessata allo sviluppo futuro del giovane e alla sua educazione. Infatti
Rousseau si sofferma sul ruolo del maestro:
il fanciullo deve immergersi completamente in ciò che fa, ma voi dovete dedicare al
fanciullo tutta la vostra attenzione, osservarlo, spiarlo senza tregua e senza che se ne
accorga, indovinare in anticipo tutti i suoi sentimenti ed impedire che nascano quelli che
non deve provare, dovete infine impegnarlo in tal maniera che non solo si senta idoneo al
suo lavoro, ma se ne compiaccia, per aver compreso a che cosa serve 30
Il maestro assume una posizione significativa nella descrizione rousseauiana 31 .
Egli, non solo, attraverso il suo esempio stimola e guida il giovane, ma ha
anche il compito di osservare e valutare le emozioni, le passioni e i
miglioramenti di Emilio. Il precettore, facilitato dal fatto di stare svolgendo la
stessa attività, non deve dimenticarsi del ragazzo, ma sostenerlo e aiutarlo in
modo che, in lui, si sviluppino sentimenti positivi e che sia in grado di
apprezzare l’esperienza che sta vivendo. Il lavoro, in questo modo, non è
pensata come un’attività in sé, volta a soddisfare un bisogno immediato o ad
acquistare una posizione sociale, ma assume un ruolo educativo in quanto
permette lo sviluppo armonico e pieno della persona che ne è coinvolta.
La pratica lavorativa, inserita in un contesto formativo, diviene nel
procedere rousseauiano un momento sintetico che tenta di conciliare le
28 Rousseau, dopo aver preso in considerazione diverse attività, afferma: «tutto considerato, il
mestiere che vorrei andasse a genio al mio allievo è quello di falegname. È pulito, è utile, si può
fare in casa; mantiene il corpo in esercizio; esige dall’operaio ingegno destrezza di mano e,
benché la forma dell’opera sia determinata dall’utilità, eleganza e buon gusto non ne sono
esclusi». Come emerge in queste righe il lavoro unisce diverse qualità dell’uomo in un’unica
azione che è in grado di armonizzare l’abilità manuale, il gusto e la conoscenza tecnica. (Cfr.,
ivi, p. 254).
29 Il tema del maestro che assume un valore esemplare nel processo educativo del giovane
allievo è certamente un punto nodale dell’educazione naturale rousseauiana e, in generale, di
ogni processo formativo. Il precettore nell’ Emilio costituisce l’unica figura di riferimento nel
processo di crescita del giovane e, di conseguenza, diviene il modello esemplare a cui il
ragazzo si rivolge. La parola esempio rimanda a una natura duplice in quanto traduce i due
termini latini exemplar e anche exemplum che significano ritratto, copia, riproduzione originale e
infine modello ed esempio. Infatti l’idea di esemplarità porta con sé un duplice valore sia di
originale unico sia di copia riproducibile. Entrambi questi significati agiscono nel percorso
educativo di Emilio.
30 J.J. Rousseau, Emilio o dell’educazione , cit., p. 244.
31 Bertagna, sul ruolo positivo del maestro come modello da imitare all’interno dei processi
formativi in atto nelle pratiche di apprendistato, afferma: «chi apprende a scrivere o a tornire, a
sua volta, non è chiamato a capire concetti e teorie su un’esperienza già compiuta, ma è
invitato a produrla in azione e a viverla in prima persona nella complessità che ogni volta, in
tempi e luoghi diversi, presenta. Il grado di circuitazione tra teoria e pratica di cui l’allievo sarà
capace potrà essere certo inferiore a quello del maestro. D’altra parte, proprio perché ogni
esecuzione esperta non è mai riducibile alla verbalizzazione logica che ne dà il maestro,
l’allievo è chiamato a riprodurre la medesima dinamica attraverso l’imitazione». (Cfr., G.
Bertagna, Lavoro e formazione dei giovani , Editrice La Scuola, Brescia 2011, p. 84).
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opposizioni tra l’origine pura dell’uomo e la sua tendenza a degenerare
all’interno dei contesti sociali. Come sostiene Starobinski 32 , a partire dalle
interpretazioni di Kant e Cassirer 33 , l’educazione rappresenta l’elemento di
congiunzione che permette di riconciliare natura e cultura. Il valore educativo
del lavoro permette di ritrovare le modalità naturali di manifestazione della
propria interiorità anche all’interno delle dinamiche sociali. La pratica lavorativa
spinge l’uomo ad armonizzare le istanze contrapposte che lo costituiscono. Le
pulsioni, le energie, l’operosità manuale e la razionalità divengono gli elementi
che, attraverso il lavoro, manifestano l’integralità della persona e la tensione
etica che orienta le sue azioni.
Se la funzione educativa del lavoro dispiega la propria forza armonizzante
che tende a riconciliare le separazioni dell’uomo, è però lo stesso lavoro, inteso
come attività produttiva, che nel procedere sociale ha portato alle separazioni e
all’ingiustizia. Infatti nel Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza
tra gli uomini Rousseau sottolinea come le conoscenze tecniche e il
perfezionamento delle attività lavorative hanno prodotto la disuguaglianza e
l’ingiustizia nei rapporti sociali:
finché si dedicarono a lavori che uno poteva fare da solo, finché praticarono arti per cui
non si richiedeva il concorso di più mani, vissero liberi, sani, buoni, felici quanto potevano
esserlo per la loro natura, continuando a godere tra loro le gioie dei rapporti indipendenti;
ma nello stesso momento in cui un uomo ebbe bisogno dell’aiuto di un altro; da quando ci
si accorse che era utile a uno solo aver provviste per due, l’uguaglianza scomparve, fu
introdotta la proprietà, il lavoro diventò necessario, e le vaste foreste si trasformarono in
campagne ridenti che dovevano essere bagnate dal sudore degli uomini, e dove si videro
germogliare e crescere con le messi la schiavitù e la miseria. Questa grande rivoluzione
nacque dall’invenzione di due arti: la metallurgia e l’agricoltura 34 .
Il lavoro naturale, secondo Rousseau, è l’attività che un uomo compie in
solitudine per la propria sopravvivenza e per il soddisfacimento immediato dei
bisogni. Nel momento in cui l’uomo si accorge della possibilità di lavorare con
32 Cfr., J. Starobinski, Jean-Jacques Rousseau. La trasparenza e l’ostacolo , cit., pp. 66-69.
33 Cassirer, riprendendo alcune tesi di Kant, afferma l’insita unitarietà dell’opera rousseauiana
basata sulla possibilità dell’educazione di mostrare l’integralità etica dell’uomo: «si lasci dunque
che l’alunno cerchi, ciò che necessariamente troverà e dovrà trovare, non appena è venuto per
lui il tempo nel quale parteciperà alla “visione delle idee”. Allora, secondo la ferma concezione
di Rousseau, da questa specie di idealismo etico sorgerà un idealismo politico sociale genuino.
L’uomo non vedrà più lo scopo della società nel soddisfacimento dei semplici istinti, e non la
giudicherà più perciò in base al grado di soddisfacimento ch’essa procura. Egli vedrà piuttosto
in essa la fondatrice e la protettrice del diritto – e comprenderà che l’adempimento di questo
compito, se non assicura la felicità, assicura però la dignità dell’umanità. In questo senso Kant
ha letto e interpretato l’ Emilio di Rousseau: e si può ben dire che questa è l’unica
interpretazione che sostiene l’interiore unità dell’opera di Rousseau, che permette di includerlo
senza interiori rotture e contraddizioni, nell’opera complessiva». (Cfr., E. Cassirer, Il problema
Gian Giacomo Rousseau , tr. it. di M. Albanese, La Nuova Italia, Firenze 1938, p. 122.). Il saggio
pubblicato nel 1932 è la rielaborazione di una conferenza che Cassirer ha tenuto il 27 febbraio
1932 a Parigi dal titolo L’unité dans l’oeuvre de J.J. Rousseau . Si veda anche I. Kant,
Fragmente , VIII, pp. 635-636 in Kant’s gesammelte Schriften , a cura della Deutschen Akademie
der Wissenschaften, Berlin 1900, XX, pp. 93-94.
34 J.J. Rousseau, Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini , cit., p.
707.
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l’aiuto degli altri 35 e scopre gli strumenti che gli permettono di coltivare la terra e
di fare provviste, si genera la società e, di conseguenza, l’ingiustizia e
l’infelicità. Il lavoro, inteso come possibilità umana relazionale di trasformare la
realtà, porta all’uscita dall’ipotetico stato di natura e alla rottura dell’idea di
felicità originaria che, nella finzione rousseauiana, sembra coincidere con la
mancanza di legami civili.
La stessa agricoltura, che il pedagogista ginevrino celebra come attività
positiva per il suo stato ideale, viene considerata un’arte che genera ingiustizia
e miseria in quanto impone la disuguaglianza. L’immagine dell’uomo che si
dichiara, per primo, possessore della terra 36 costituisce, secondo Rousseau,
l’origine stessa della disuguaglianza che impone legami di subordinazione tra le
persone generando la schiavitù e, allo stesso tempo, costituendo le basi per i
legami sociali. La tesi rousseauiana sull’origine dell’ingiustizia sociale, come
risulta evidente dalla pagine del Contratto sociale , non ha, però, come obiettivo
la costituzione di uno stato senza proprietà privata 37 e nemmeno il ritorno verso
una civiltà primitiva, ma si propone di mostrare i limiti e le mancanze di tutte le
forme sociali che non sappiano rispettare la libertà del singolo cittadino che le
compone. Per questa ragione Rousseau individuerà nel contratto sociale la
soluzione che, a partire dalla coincidenza tra volontà singola e generale, possa
rispettare al meglio la libertà di ogni cittadino in modo tale che «la giustizia e
l’utilità non si trovino a essere separate 38 ».
La prospettiva teorica del Contratto sociale cerca di trovare una soluzione
politica alla degenerazione delle istituzioni sociali che, secondo il pensatore
ginevrino, costringono l’uomo, nato libero, a vivere in uno stato di schiavitù 39 .
35 È interessante osservare che Rousseau insiste sul lavoro come dinamica che porta a
superare, per interesse, la tendenza alla solitudine dell’uomo che vive nell’ipotetico stato di
natura. L’aspirazione al benessere conduce l’uomo a cercare nell’aiuto degli altri un vantaggio
per le sue attività e un miglioramento delle sue condizioni di vita.
36 Nel secondo Discorso Rousseau afferma, a proposito del possesso della terra: «il primo che,
cintato un terreno, pensò di affermare, questo è mio, e trovò persone abbastanza ingenue da
credergli fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, quante guerre, quante uccisioni,
quante miserie e quanti orrori avrebbe risparmiato al genere umano colui che strappando i
paletti o colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: guardatevi dall’ascoltare questo
impostore». Questo passo è stato interpretato come una critica alla proprietà privata e
un’anticipazione delle tesi di Marx. Al contrario Rousseau, come emerge con chiarezza nel
Contratto sociale , non pensa a una società senza proprietà privata, ma individua proprio nel
lavoro la misura per una distribuzione equa della terra a partire dal diritto alla proprietà. (Cfr.,
J.J. Rousseau, Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini , cit., p.
699).
37 Wolker, sul ruolo della proprietà privata nell’opera di Rousseau, afferma: «convinto che
l’uguaglianza sia indispensabile per la libertà, Rousseau non dimentica tuttavia che essa non
può essere perseguita per se stessa. Nonostante la veemenza della sua critica alla proprietà
privata, egli non ne propugnò mai l’abolizione, come fecero le generazioni successive di
socialisti, se non altro perché un mondo dal quale fosse eliminata la proprietà privata porrebbe il
principio di uguaglianza in conflitto con quello della libertà. Se fosse necessario impedire ai
singoli di acquistare una o più proprietà attraverso il lavoro e di propria iniziativa, la colpa
dell’assoggettamento passerebbe semplicemente dal ricco allo stato, e la libertà ne sarebbe
soffocata». (Cfr., R. Wokler, Rousseau , Oxford University Press, Oxford-New York, 1995; tr. it.
Rousseau , Il Mulino, Bologna 2001, pp. 75-76).
38 J.J. Rousseau, Contratto sociale , cit., p. 5.
39 Rousseau si confronta anche con la possibilità di applicare il suo sistema politico in situazioni
contingenti riflettendo sul sistema legislativo della Corsica e della Polonia. Si veda J.J.
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Senza poter approfondire gli snodi teorici della riflessione politica di Rousseau e
della sua proposta contrattualista, è opportuno soffermarsi sul ruolo significativo
che il lavoro assume anche nel Contratto sociale per comprenderne la funzione
all’interno del sistema sociale. Dopo l’istituzione del patto sociale che
costituisce il passaggio tra stato di natura e società e vincola tra loro i cittadini,
l’uomo civile: «perde la libertà naturale e un diritto senza limiti a tutto ciò che lo
attira e che può raggiungere; guadagna la libertà civile e la proprietà di tutto
quanto possiede 40 ». Rousseau pensa alla libertà naturale come a ciò che trova
un limite solo nelle forze dell’individuo, mentre la libertà civile consiste
nell’adesione e nel rispetto della volontà generale. Per questa ragione ogni
cittadino, che ha liberamente scelto di aderire al contratto, deve attenersi alle
leggi che sono espressione della volontà generale della quale anch’egli fa
parte.
La volontà generale, che è costituita da tutti i cittadini che hanno alienato i
propri diritti e le proprietà, deve garantire la libertà civile di ogni individuo 41 . Per
questa ragione Rousseau afferma l’importanza dell’idea di proprietà che serve a
ogni uomo per soddisfare i propri bisogni e per possedere ciò che gli è
necessario per vivere. La riflessione rousseauiana propone un paradigma
economico di tipo agricolo e, di conseguenza, il possesso alla terra diviene il
fondamento sul quale costruire una società armonica ed equilibrata. Ma come
stabilire un’equa distribuzione della terra? Come può la volontà generale
dividere la terra in modo tale che ogni cittadino possa avere ciò che gli è
necessario per vivere?
La risposta di Rousseau è nel legare il diritto del primo occupante con il
lavoro. Un singolo cittadino può prendere possesso di una terra a condizione
che non sia già abitato, che si limiti a occuparne una parte adeguata per
soddisfare i propri bisogni naturali e che lavori e coltivi la terra che ha
occupato 42 . Proprio la capacità lavorativa del singolo assume la funzione
Rousseau, Considérations sur le gouvernement de Pologne , O.C., III, cit.; tr. it. Considerazioni
sul governo di Polonia , in Rousseau , III, cit., pp. 473-577 e Id., Projet de constitution pour la
Corse , O.C., III, cit.; tr. it. Progetto di costituzione per la Corsica , in Rousseau , III, cit., pp. 411-
470.
40 J.J. Rousseau, Contratto sociale , cit., p. 29.
41 Xodo mette bene in evidenza, a partire da un’analisi accurata delle Lettere della montagna di
Rousseau, la differenza tra l’indipendenza naturale e la libertà civile: «l’indipendenza naturale e
la libertà civile sono così diverse che possono escludersi a vicenda. Infatti, “quando ognuno fa
ciò che gli piace, spesso si fa ciò che dispiace agli altri, e questo non si chiama essere liberi”. Al
contrario, la libertà civile deve esprimere una volontà che ognuno deve sentire sempre come
propria, senza che sia di nessuno in particolare: “la libertà consiste meno nell’agire secondo la
nostra volontà che nel non essere soggetti alla volontà altrui; consiste anche nel non sottoporre
la volontà altrui alla nostra”. Dunque, la libertà civile è espressione della volontà generale, e
Rousseau conferma, anche a questo livello, la sua concezione legalista della libertà: una libertà
che si identifica appunto con la volontà, ma che è soprattutto obbedienza alla legge». (Cfr.,
Maître de soi. L’idea di libertà nel pensiero pedagogico di Rousseau , Editrice La Scuola,
Brescia 1984, p. 93 e si veda anche J.J. Rousseau , Lettres écrites de la montagne , VIII, O.C.,
vol. III; tr. it., Lettere dalla montagna , in Rousseau , vol. III, cit., pp. 336-337.
42 Rousseau afferma che ogni diritto alla proprietà rimane comunque subordinato alla volontà
generale: «ma comunque avvenga l’acquisto, il diritto di ciascun privato sul suo terreno è
sempre subordinato al diritto della comunità sul tutto; altrimenti non vi sarebbe né stabilità nel
vincolo sociale, né forza reale nell’esercizio della sovranità». (Cfr., J.J. Rousseau, Contratto
sociale , cit., p. 33).
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sociale di misurazione della quantità di terra che può possedere. Il singolo
cittadino può esercitare il proprio diritto alla proprietà senza oltrepassare i diritti
degli altri e nei limiti delle sue capacità lavorative sul terreno che occupa. La
pratica lavorativa diviene così un criterio che permette di equilibrare l’interesse
privato a soddisfare i propri bisogni e le idee di giustizia e uguaglianza sulle
quali si basa il contratto sociale. Non solo. Il lavoro è anche la condizione di
possibilità dello stato civile che, come sistema amministrativo, può sussistere
poiché le attività dei singoli producono un’eccedenza superiore ai loro bisogni.
Di conseguenza il lavoro all’interno della società diviene per il cittadino un
dovere nei confronti degli altri membri della comunità 43 . Un dovere che vincola
un cittadino all’altro nella formula della reciprocità:
siamo d’accordo che quanto, col patto sociale ciascuno aliena del proprio potere, dei
propri beni, della propria libertà, è solo la parte di tutto ciò il cui uso importa alla comunità,
ma bisogna anche ammettere che solo il sovrano è giudice di questa importanza. Tutti i
servigi che un cittadino può rendere allo Stato glieli deve non appena il sovrano li
richiede; ma il sovrano, per parte propria, non può gravare i sudditi di nessuna catena
inutile alla comunità. E neanche può volerlo, perché sotto la legge di ragione niente si fa
senza una causa, né più né meno che sotto la legge di natura. Gli impegni che ci legano
al corpo sociale sono obbligatori solo in quanto reciproci, e la loro natura è tale che
nell’osservarli non si può lavorare per gli altri senza lavorare in pari tempo per se stessi. 44
Il singolo individuo e la volontà sovrana sono legati da un rapporto reciproco,
garantito dal patto sociale, che si deve manifestare in azioni e lavoro. Il singolo
ha l’obbligo di rispondere alle richieste della società, ma, allo stesso tempo, nel
momento in cui agisce e lavora nella comunità produce le condizioni per il
proprio interesse e utile. Probabilmente l’eccessivo razionalismo del Contratto
sociale , che si pone l’obiettivo di costituire le basi per una società bene
ordinata, non riesce a mettere in evidenza, in modo completo, l’aspetto
innovativo, trasformativo del reale e formativo per la persona della pratica
lavorativa. Inoltre la piena coincidenza tra volontà generale e libertà individuale
può sembrare un’illusione difficilmente raggiungibile. Se nel Contratto sociale il
lavoro può essere interpretato come la risposta doverosa del singolo nei
confronti della società e permette di misurare il merito e le capacità del
cittadino, è nell’ Emilio che la pratica lavorativa mostra maggiormente il suo
aspetto formativo, che spinge l’uomo a poter esprimere, in modo integrale, la
sua libertà. Attraverso il lavoro che coinvolge corpo e spirito, il giovane Emilio
può prendere coscienza del proprio sé e diventare consapevole dei legami con
la realtà e con la società nella quale vive. In questo modo Rousseau indica la
via per armonizzare le opposizioni tra mente e corpo, natura e cultura, volontà
generale e individuale. Un percorso che lega, in modo profondo, l’educazione
43 Rousseau, in aperta polemica con le rendite delle classi più ricche che esentavano il clero e
la nobiltà dal lavorare, afferma: «fuori dalla società, l’uomo isolato, nulla dovendo ad alcuno, ha
diritto di vivere come più gli piace; ma nella società, dove necessariamente vive a spese degli
altri, deve ad essi sotto forma di lavoro il prezzo del suo mantenimento: è una regola che non
ammette eccezioni. Lavorare dunque è un dovere indispensabile per l’uomo sociale, ricco o
povero, umile o potente, ogni cittadino ozioso è un furfante». (Cfr., J.J. Rousseau, Emilio o
dell’educazione , cit., p. 254).
44 J.J. Rousseau, Contratto sociale , cit., p. 43.
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Cqia Rivista Il lavoro e l’educazione in Rousseau Aprile 2011
naturale con l’azione pratica e che permette di manifestare al meglio l’essenza,
non esauribile, dell’uomo.
La pratica lavorativa diviene all’interno delle regole sociali il modo
responsabile attraverso il quale l’uomo rispetta il contratto sociale e mostra la
propria libertà. Bertagna, sulla connessione tra lavoro, libertà e legami sociali,
afferma che Rousseau ha identificato: «il proprium ontologico intangibile,
indisponibile e inalienabile dell’uomo non solo nella sua libertà, ma anche nel
lavoro del suo corpo e nell’opera delle sue mani, per cui tutto ciò che è frutto di
lavoro è in realtà suo, di se stesso, e non lo può cedere nel contratto sociale, e
nessuno glielo può togliere, nemmeno il sovrano 45 ». Il lavoro assume così il
ruolo sintetico e armonizzante di una pratica 46 che permette all’uomo di
mostrare la propria natura più profonda che coincide con la libertà e la
relazionalità. Proprio per questa ragione l’idea di lavoro rousseauiana diviene
un diritto inalienabile che non può coincidere con un’operazione meccanica che
porta ad eseguire degli ordini, ma mostra sempre all’opera una tensione
formativa armonizzatrice che spinge l’uomo a manifestare, in modo perfettibile,
la propria natura libera e responsabile.
45 G. Bertagna, Lavoro e formazione dei giovani , cit., p. 12.
46 La concezione di lavoro che emerge dai testi rousseauiani si avvicina all’idea di azione
arendtiana. L’azione è la dimensione concreta e pubblica nella quale l’uomo può manifestare la
sua essenza: «senza l’azione, senza la capacità di iniziare qualcosa di nuovo e di articolare
così il nuovo inizio che interviene nel mondo con la nascita di ogni essere umano, la vita
dell’uomo, tesa tra la nascita e la morte, sarebbe davvero condannata senza possibilità di
salvezza. […] Con tutte le sue incertezze, l’azione è come un memento sempre presente che gli
uomini, anche se devono morire, non sono nati per morire ma per dare inizio a qualcosa di
nuovo». (Cfr., H. Arendt, Labor, Work, Action , McCarthy West, Trustee 1987; tr. it. Lavoro,
opera, azione. Le forme della vita attiva , Ombre corte, Verona 1997, p. 68).
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