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Arti meccaniche: utopia e idea della natura nel Settecento francese

di Paolo Quintili*

Im technisch-rationalen Utopismus
geht das Bürgerlichein Weltgemeinschaftlichkeit,
es geht, wenn man das Wortallgemein genug
und undogmatisch verstehen will,
ins Kommunistische über

Th. Mann


 
 
 

1. La «tecnoutopia»
 

     Il fenomeno dell'utopia settecentesca è stato studiato dagli storici sotto prospettive interpretative assai varie (1). Charles Rihs, studioso di scuola marxista, nel definire l'atteggiamento utopistico nel quadro delle dottrine etico-politiche dell'età dei Lumi, oppose l'opera di Jean Meslier, Morelly e Dom Deschamps al realismo dei philosophes, autori dell'Encyclopédie(2). «Frequentatori di corte», secondo la generalizzazione di un altro storico, questi godevano di un'indubbia notorietà pubblica; «accorti borghesi», gestivano il sapere come valore da investire al meglio, per trarne il proprio utile di partito, il partito della nuova borghesia imprenditoriale (3). Rihs ripropose un cliché storiografico oggi desueto: l'enciclopedismo sarebbe stato una forma di scientismo antiumanistico, filosofia borghese o, a senso unico, «classista», che avrebbe preparato ideologicamente l'azione rivoluzionaria della parte più conservatrice della nuove classi capitalistiche in lotta con l'ancien régime (4). La dinamica storica è, in realtà, più complessa e le posizioni ideologiche più sfumate.
     Fin dai primi del Seicento si affermarono interpretazioni in chiave utopistica della rivoluzione scientifica. La filosofia di Bacone, secondo l'ampia ricostruzione di Charles Webster, costituisce l'espressione più coerente della tendenza della scienza tardo-rinascimentale a fondare prospettive politiche nuove, espressione a loro volta delle nuove metodologie di ricerca connesse alla lotta sociale ed alla rivoluzione scientifica (5).
     Le tesi di Reinhart Koselleck, in Kritik und Krise(1959) hanno illuminato alcuni aspetti significativi della formazione di un concetto utopistico della storia umana nell'età della prima «crisi della coscienza europea», a cavallo tra '600 e '700, dai quali non si può prescindere, per la messa a fuoco di una nozione politica di progresso nel secolo XVIII e delle sue interne aporie. «Poiché è peculiare della critica razionale disconoscere l'autosufficienza dei settori da essa criticati — osservò Koselleck — nella religione così come nella politica, essa dovette cercarsi una copertura capace di rinviarla ad un domani nel cui nome potesse, con buona coscienza, lasciar decadere l'oggi. La critica del secolo decimottavo dovette diventare utopistica per potersi mettere dalla parte del diritto. Infine l'oggetto ultimo della critica, lo Stato assolutistico contribuì a suo modo a fissare l'immagine utopistica della storia propria della borghesia [...]. Nel processo di sviluppo del cogito ergo sum di Descartes, in quanto autogaranzia dell'uomo sottratto al vincolo religioso, l'escatologia si trasforma in utopia. Pianificare la storia diventa importante quanto conquistare la natura» (6). Bronislaw Baczko ha rilevato infine la complessità e l'ambiguità che investono l'oggetto proprio dell'atteggiamento politico utopistico e della visione utopistica della storia, individuando una molteplicità di declinazioni del concetto di Utopia, a seconda dei contesti storico-ideologici in cui una determinata utopia viene affermandosi, in rapporto al terreno sociale sul quale prende piede la sua formulazione letteraria (7).
     Qui trova rilevo centrale il legame tra utopia e «idea della storia-progresso» (8), in autori nei quali viene gradualmente disegnandosi a fine Settecento un'opposizione tra utopia e scienza, sconosciuta ai secoli precedenti, che tanta fortuna avrà nelle filosofie di Marx ed Engels, diventando il fulcro della critica rivoluzionaria della società borghese. In tale contesto Baczko vede giungere a maturazione, nell'Esquisse d'un tableau historique des progrès de l'esprit humain di Condorcet, «quell'assimilazione fra l'utopia e l'idea di progresso che va preparandosi lungo tutto il corso del secolo XVIII [...] in quanto punto di partenza di un discorso utopistico specifico, in cui dell'utopia si parla solo attraverso la mediazione della storia che la produce... Tre elementi si rivelano particolarmente significativi quanto al modo secondo cui si verifica l'unione fra l'utopia e il discorso sulla storia-progresso. La società diversa è situata nel tempo della storia e precisamente nel futuro; la visione di questa società è presentata come una previsione scientifica; il discorso utopistico si avvale di una modalità che si potrebbe paradossalmente definire l'utopia antiutopistica» (9). A questa categoria di utopisti paradossali — utopisti «scientifici», diremmo, rovesciando certa vulgata marxista — appartengono diversi altri esponenti dell'enciclopedismo francese che hanno sviluppato prima di Condorcet le loro riflessioni sul ruolo delle scienze nel perfezionamento progressivo delle condizioni materiali di vita dell'umanità. Come si configurava, infatti, la scientificità dell'utopia di Condorcet? «L'utopia non intende essere un gioco di immaginazione o l'espressione di desideri e d'attese; essa non fa appello né a un dover essere né ai precetti della Ragione astratta e sovratemporale ... in questa nuova modalità di discorso utopistico è presente ben altro che la realizzazione possibile di un sogno: vi si nega la pratica stessa dei sogni sociali. L'utopia antiutopistica fa propri parecchi temi utopistici tradizionali e, in particolare, quello di una storia che non sarebbe più il risultato di una serie di casi e che non si discosterebbe mai dalle vie tracciate dalla Città Nuova. Ma questi temi e queste immagini sono incorporati a un discorso globale sulla storia come oggetto della scienza, a un discorso quindi che, per la sua stessa struttura, non li tollera che mascherandoli come prodotti della storia e della scienza, formulandoli come non-sogni» (10).
     Ma già gli enciclopedisti téchniciens — Alexandre Deleyre, Jean-Rodolphe Perronet, Jacques de Vaucanson, Denis Diderot — elaborarono una teoria delle «arti meccaniche» incentrata sull'analisi delle prospettive future che la scienza sperimentale apriva nel mondo del lavoro umano, nelle sue forme proto-industriali, che si fondava a sua volta sulla critica delle tipologie dei mezzi di produzione. La Description des arts, inaugurata dall' Accademia delle Scienze al principio del secolo, ne fornì il primo modello, organizzando le proprie «collezioni di macchine approvate» sulla base del criterio di «realizzabilità» secondo i principî desunti dalle nuove scienze meccanico-ingegneristiche.
     Rihs ravvisò invece nel concetto di utopia, sul versante opposto a quello enciclopedico e già dalla prima metà del secolo XVIII, un precorrimento se non addirittura un sinonimo di «società comunitaria» o di comunismo. Ma si tratta di una connotazione che l'utopismo acquisisce solo più tardi, sull'onda dell'influenza di Rousseau e della Rivoluzione. Resta da indagare, in quello stesso contesto, il passaggio dalla concezione escatologica che si trova in Meslier, Morelly, Dom Deschamps e poi in Rousseau — i quali respingono come sintomi di «corruzione» la tecnica e l'industriosità meccanica moderna — a una nuova concezione realistica del mondo sociale ed economico. Anche questa visione della razionalità progressiva della tecnica può, sotto molti aspetti, essere definita ancora utopistica, testimonianza eloquente dei fecondi intrecci tra Utopia (eu-topos) e pensiero scientifico, anche oltre i limiti storici qui considerati.
     Il termine tecnoutopia o utopia razionale-tecnica ci sembra il più appropriato ad indicare questa visione progressiva dell'attività tecnica umana nella storia, cui l'opera degli enciclopedisti techniciens, cultori di arti e mestieri, può senz'altro essere ricondotta. Baczko, rilevando l'ambiguità del termine fin dall'epoca di Moro (11), sembra accantonare in certo modo l'aspetto «eu-topistico» e insieme, paradossalmente, antiutopistico delle riflessioni dense di immagini ingegnose e di profezie razionali che formularono — nella stessa epoca o prima di Condorcet — molti redattori dell'Encyclopédie fra i quali è da annoverare il Diderot descripteur des arts et métiers.
     Prenderemo qui in esame le figure centrali della tecnoutopia(12): la rivalutazione e l'esaltazione progressiva delle arti meccaniche; la nobiltà, l' antichità da cui dipende la loro «reputazione»; il carattere ludico e liberale proprio dell'ingegno che è nella macchina; il potenziale di affrancamento dalle miserie del lavoro nella fondazione di una Nuova Atlantide, in cui l'uomo verrà liberato grazie alla macchina onnipotente, ecc. Sono gli argomenti centrali della critica dei pregiudizi sviluppata nell'Encyclopédie sull'esempio degli umanisti italiani del tardo Rinascimento (13).
     Negli enciclopedisti dell'entourage diderotiano, Alexandre Deleyre e Jacques de Vaucanson, considereremo infine le relazioni fra la tecnoutopia e le filosofie della natura che vi sono sottese.
 
 

2. Deleyre o del baconismo rousseauiano
 

     L'Encyclopédie — riconosce Rihs — fu «un tentativo di sintesi tra l'umanismo e le scienze... Ricongiungersi col mondo primitivo non significava, come immaginavano Rousseau e gli utopisti, ritrovare il selvaggio pacifico e ignorante, riesumare qualche vestigia dell'Eden biblico; significava accostarsi ai resti dell' "umanità preistorica" [...]. La Chiesa ha fallito, non ha potuto realizzare la felicità terrena; sta all'uomo prendere il suo posto».
     Nel Discours préliminaire D'Alembert scartava l'ipotesi di una condizione umana originaria e felice. Si trattava di stabilire la «genealogia delle nostre conoscenze» che devono plasmarsi sulle forme della storia reale, impresse su di esse attraverso la «storia naturale» dell'uomo tracciata da Buffon. Ultimo prodotto della facoltà umana dell'intelligere, l'entendement enciclopedico è diviso in tre branche — memoria, ragione, immaginazione — cui corrispondono altrettanti ambiti del sapere. In quello della memoria sono compresi «arti meccaniche, mestieri, manifatture». Gli «usi della natura» devono costituire, spiegò Diderot nell'Explication detaillée du système des connaissances, «la cronistoria della conoscenza umana». Mestieri e manifatture sono la «materia prima del filosofo». L'uomo, ridotto al proprio destino, diviene demiurgo.
     Nell'ideale del baconiano albero del sapere le arti meccaniche rappresentano il ramo confinante con la raison e la filosofia. La conoscenza delle arti e l'esperienza del mondo del lavoro costituiscono la condizione metodica del passaggio dalla facoltà «mnemonica» dell'intelletto (mémoire) al dominio razionale della filosofia (raison). Quanto profondo fosse il debito dell'Encyclopédie nei confronti di Baconeè argomento ben dissodato dalla critica. Meno nota è la posizione presa dagli enciclopedisti nella loro pratica di redattori, secondo lo spirito baconiano, di «descrizioni d'arti e mestieri».
     L'idea di natura svolge un ruolo centrale nell' analisi, assumendo sfumature di senso diverse a seconda dei contesti. Tuttavia prevale l'accezione sociale e politica, trasposta per via di metafore dall'ordine fisico a quello etico-politico (14). La «natura» va ad occupare il vuoto ideale prodotto dalla scomparsa di due autorità, garanti, in modi diversi, dell'ordine del mondo fisico e morale: le religioni positive e il modello meccanicistico della scienza cartesiana. Il «descrittore» dei fatti della meccanica — razionale-speculativa (scienza fisica), o pratica (arti manuali) (15) — si investe ora dell'autorità morale, già appartenuta alla Chiesa o al «filosofo corpuscolare (16), di definire in nome della legge di natura le forme e le regole del vero e del falso, del bello e del brutto, del giusto e dell'ingiusto, in ordine ai problemi della società e del sapere umani.
     Il parametro cui conformare il giudizio intorno alle cose umane è dunque stabilito in base al grado di efficacia meccanica, ossia di utilità pratica che questo o quel fatto testimoniano nella vita dell'uomo-produttore della propria esistenza. Ciò corrisponde al concetto meccanicistico di azione reciproca fra i corpi: «Quando si parla della Natura non si intende altro che l'azione dei corpi gli uni sugli altri, conformemente alle leggi del moto stabilite dal Creatore. In ciò consiste tutto il significato del termine, che è solo una forma abbreviata per esprimere l'azione dei corpi e si esprimerebbe forse meglio con il termine meccanismo dei corpi» (17).
     Un'idea non nuova — lo studio delle leggi d'azione reciproca dei corpi fisici — è tradotta metodicamente nel Prospectus nella descrizione dell'operato dell' uomo-demiurgo: lo studio delle arti e dei mestieri. Le forme della vita di società. vengono storicamente modificate e perfezionate grazie all'opera delle arti e dell' «industriosità». Si afferma così quel concetto della storia, come storia-progresso delle arti e dell'industria — ovvero la «storia della natura fattizia» di Deleyre, tratto da Bacone — degli enciclopedisti cultori delle tecniche. Baconiano fu in tal senso Alexandre Deleyre (1726-1797), autore di una Analyse de la philosophie du chancelier François Bacon (18), redattore delle voci «Spillo» e «Fanatismo», collaboratore e amico di Diderot e di Rousseau, cui si deve l'originale espressione citata (19). Anche il baconismo di Deleyre resta una forma, più sottile e articolata, del meccanicismo enciclopedico applicato alla pratica delle arti e alla politica. Di lui tesse l'elogio Diderot, nella chiusa dell'articolo.
     Pochi anni prima, Maupertuis, nella Lettre sur le progrès des sciences (1752), aveva trattato del progresso scientifico nei termini di un perfezionamento della capacità applicativa delle conoscenze umane ai principali scopi della vita pratica. Contro l'ideale teoretico-sistematico del De augmentis scientiarum — pure osservato con rispetto — si affermava un fine in apparenza più modesto: «qui voglio solo attirare la vostra attenzione su alcune ricerche utili al genere umano, curiose per i dotti, nelle quali lo stato attuale delle Scienze sembra consentirci di aver successo» (20). La Lettre è indirizzata all'attenzione benevola del dispensatore di beni utili, il monarca, cui l'homme de lettres affida il destino delle scienze. ll fine ultimo del progresso nelle conoscenze è la felicità del genere umano, grazie ai vantaggi derivanti dallo sviluppo delle arti o scienze applicate, sotto l'egida paterna del sovrano. Arti e scienze si pongono, secondo Maupertuis, le une alle dipendenze delle altre e definiscono un nuovo ambito di comunicazione delle conoscenze e delle competenze, che darà forma alle prime tipologie produttive industriali.
     La Lettre di Maupertuis fa eco alle intenzioni esposte nel Prospectus dell'Encyclopédie Deleyre nella sua Analyse, correggendo in senso repubblicano Bacone e lo stesso Maupertuis, ne riprende le formule più incisive. Le critiche si concentrano nell'attacco alla «retorica dei metafisici», la perorazione contro la gratuità delle belle formule, «reddito della letteratura che si incrementa a fondo perduto». I criteri dell'invenzione utile e della progressività-produttività costituiscono insieme il merito delle arti meccaniche. «Cosa singolare! - esclama Deleyre - le arti meccaniche, abbozzate dai loro inventori, sono cresciute e si sono perfezionate lentamente e gradualmente; mentre invece la maggior parte delle scienze, condotte dal primo germoglio alla maturazione, sono sempre degenerate, come fossero piante estranee alla natura, che devono seccare in piedi e scomparire nel seno dell'oblio; mentre le arti, radicate, per così dire, nei bisogni dell'uomo, hanno uno spirito di vita che le sostiene contro le rovine del tempo e le risuscita dopo la rivoluzione degli incendi e dei diluvî»(21).
     Segue l'elogio della meccanica, nuova scienza capace di fondere insieme, riconciliandole, teoria e prassi, metafisica e filosofia sperimentale. La figura del meccanico incarna la doppia anima positiva del technicien e del philosophe, vista con ammirazione da Deleyre. Il filosofo sperimentale si trova in vantaggio rispetto al metafisico perché ha la capacità di «scendere» nelle botteghe partendo dalle più alte contemplazioni della filosofia. Ciò spiega lo spirito segretamente polemico di Deleyre nei confronti di Rousseau. «La meccanica e la filosofia non vanno troppo d'accordo: l'una trascura le osservazioni, considerandole sterili per il successo pratico, l'altra disprezza le operazioni manuali, considerandole indegne per lo spirito. La filosofia ha edificato molti principî su pochi fatti; la meccanica, come la chimica, adotta pochi principi sulla base di molti fatti: abuso ed eccesso da entrambe le parti. Un meccanico, intento alla propria invenzione, non osa portare lo spirito né la mano al di là di essa. Vorrebbe erigere un trofeo alla propria vanità, prima di aver fatto conquiste nell' impero della filosofia. Eppure un'esperienza luminosa è il capolavoro dei capolavori, perché racchiude in sé la fonte di tante scoperte» (22).
     Il motivo della sterilità di molte scienze non è da cercare nei loro elementi, bensì nell'atteggiamento metodico dei dotti, mossi da vanità e da spirito di adulazione; disperdendosi nella «moltitudine dei fatti» non guidati dall'esperienza, essi riproducono gli idola theatri della filosofia. L'accento è posto sul nuovo metodo fondato sull'interrogazione della natura, «volume immenso da divorare» ma nel quale «bisogna iniziare dall'abbecedario» (23).
     Il capitolo IV dell'Analyse, «Della natura», introduce la riflessione intorno al valore delle arti e all'uso dell'esperienza per la conoscenza. Tre sono le forme sotto le quali la natura si presenta all'osservazione: a) il corso ordinario, b) il cammino irregolare, c) «quella metamorfosi che le presta l'arte e l'industria degli uomini: è il regno dell'esperienza». Nel suo aspetto «artistico» la natura è il mezzo stesso dell'esperienza la quale, prima di ordinarsi in sistema o di essere «ridotta ad arte», ha bisogno di ripetuti tentativi e di lunghi esperimenti. «L'arte - sottolinea Deleyre - non è tanto diversa dalla natura: è la natura stessa nelle sembianze che le presta l'industria degli uomini e degli animali. L'arte non sempre è un puro ornamento, fa qualcosa di più che accrescere la perfezione della natura, correggere le sue ineguagliaze e dar libero corso alla sua potenza. Talvolta riesce persino a rovesciare l'ordine delle sue operazioni e addirittura a mutare interamente le leggi della sua costituzione. Questa è la potenza della meccanica, che può essere definita la storia della natura fattizia. Poche sono le macchine di pura invenzione. Quelle che ricaviamo dalle nostre ricerche piuttosto che dal caso sono imitate o composte, e richiedono più ingegno che filosofia. Tutto quello che sembra singolare si deve alla buona sorte, ai tentativi dell'esperienza o ai lumi della fisica: ma in qualsiasi campo è necessario possedere le cose a fondo per partorire il nuovo; bisogna dunque essere un fisico profondo se si vuol diventare con certezza un abile meccanico» (24).
     Il potere plasmatore delle arti per gli scopi della vita umana è riconosciuto come la caratteristica su cui si fonda la conoscenza filosofica vera. I «fatti intermedi» svolgono la funzione di elementi che colmano l'intervallo tra la base empirica e le generalizzazioni assiomatiche. Si tratta propriamente delle scoperte e delle invenzioni che stanno a fondamento dello sviluppo delle arti meccaniche, le macchine, le quali «arrivano talvolta a rovesciare l'ordine delle operazioni della natura, e addirittura a cambiare le leggi della sua costituzione». Non è più l'arte che imita la natura, ma la natura stessa assomiglia sempre più a un prodotto dell'arte (25). Ciò significa che le arti meccaniche iniziano a fornire un modello di comprensione dei fatti naturali e costituiscono la condizione della loro possibile trasformazione. Deleyre riassume il percorso metodico da seguire, esortando: «Filosofi! lasciate prima agire la meccanica, non ragionate se non in base alle prove da essa addotte: allora le voste riflessioni amplieranno l'arte e la perfezioneranno. L'esperienza ha bisogno di lunghi tentativi prima di essere ridotta ad arte; ma il gran difetto degli uomini è la smania di godere. Si vuol subito rendere la fisica utilitaria, per attribuirsi la gloria di una scoperta o per dar credito alla propria professione. Sono come mele d'oro gettate lungo il vostro cammino per strapparvi la vittoria. Bisogna attenersi per lungo tempo ai fatti illuminanti prima di arrivare ai fatti pratici. Date a questi fecondi principî il tempo di svilupparsi e vedrete nascerne un esercito di fatti che si schiereranno da soli in ordine di sistema e formeranno quella filosofia sperimentale che garantisce il dominio della filosofia razionale» (26).
     Primato della filosofia sperimentale, affermazione della «storia sperimentale» — definita «storia della natura fattizia» — come seguito e spiegazione della «storia naturale»: questi sono i cardini del baconismo di Deleyre, il quale riprende l'argomento analizzando l'operato «di alcune arti». Qui s'afferma l'opinione che le scienze fisiche e matematiche, l'una isolata dall'altra, appartenenti al corpo della metafisica, «combinate insieme formano le arti pratiche». Qual è l'origine dell'errore che ha insterilito queste scienze, isolandole? Deleyre la individua mettendo a punto una genealogia comune delle scienze astratte. «Un errore che ha viziato gli spiriti e rovinato le arti (quello di attenersi alla superficie e all'universalità, piuttosto che al contenuto e al dettaglio delle cose) ha dato corso allo studio delle matematiche. È un campo libero in cui lo spirito va avanti senza fermarsi; lo stesso piacere della verità, che non l'abbandona mai, sembra giustificare il suo gusto. Ma quanto sono sterili queste verità! Come può l'uomo, naturalmente avido e interessato, accontentarsene? Tale è dunque il destino della sua inquieta attività: appena non si sente più capace del solido e dell'utile, ecco che si consuma e si perde in cose vaghe e superflue» (27).
     Come rimedio contro l'errore metafisico Deleyre propone quindi una serie di «mezzi per conoscere la natura con le prove dell'esperienza». Arte e natura divengono l'una la declinazione operativa e «industriosa» dell'altra. È indispensabile quindi: «1°) Variare [le prove]. Ci si esercita ora sulla materia o il soggetto [...] ora sulla causa o l'agente [...] ora sulla quantità ... 2°) Trasporle: o dalla natura all'arte [...] o da un'arte ad un'altra arte [...] o da un fatto ad un altro fatto, vuoi della stessa specie, vuoi di una specie diversa [...] 4°) Opporle per inversione [...] 5°) Esaurirle, spingendo al limite ed esasperando, per così dire, la natura [...] l'esperienza è una specie di domanda che l'arte pone alla natura per farla parlare. 6°) Riunirle [...] 7°) Sottoporle al caso o tentare la sorte con una specie di furore sperimentale che ci spinga verso nuove scoperte» (28).
     Da queste riflessioni intorno alla natura e all'esperienza il filosofo approda all'utopia baconiana. Passando per l'analisi della «vera scienza metafisica», definita positivamente «scienza dei principî» o «scienza delle forme», Deleyre riassume il concetto in un'immagine mutuata dal Novum Organum : «tutte le arti sono una specie di piramide nella quale l'esperienza è la base e la metafisica forma la punta o il vertice: è il simbolo dell'induzione che sale, con i fatti, alla causa suprema» (29). Deleyre, leggendo Bacone, pone con maggior forza l'accento sul primato delle arti meccaniche, intese come scienze applicate, rispetto alla scienza tout court, iniziando una riflessione intorno allo statuto propriamente tecnologico delle attività produttive. La razionalità scientifica investe le tecniche nei loro stessi principî operativi e su tale comune appartenenza di arti e scienze ad un medesimo ordine conoscitivo-operativo si esprime l'anima materialista del philosophe, che lascia all'uomo, secondo le sue finalità pratiche, il compito di governare l'universo. «Perciò i materialisti, i quali non hanno percepito affatto le tracce di un'intelligenza superiore nel governo dell'universo, comunque conoscono la natura meglio della gran parte degli altri filosofi che, volendo seguire il corso della provvidenza, le attribuiscono contraddizioni indegne persino dell'uomo» (30).
     Il materialismo umanistico di Deleyre non manca di tessere le lodi delle arti — meccaniche e non — in nome della «natura umana nobilitata». L'esempio della medicina, annoverata tra le arti meccaniche, è significativo. Si tratta dell' «arte che attende in particolare alla prosperità della natura umana», che «dovrebbe essere la più raccomandabile»: v'è tuttavia «una professione meno stimata di questa?». Il lavoro dei medici va riportato in auge perché è il solo che per sua natura si sottrae alle trappole della ragione retorica: «La medicina ha agito a lungo prima di sistematizzare; giacché il male non attende discussioni [...]. La medicina senza la filosofia non è che un'arte imposturante; ma un malato è in grave pericolo quando il medico l'avvicina con un sistema preconcetto». Il medico affronta direttamente e coraggiosamente il problema della molteplice «composizione» materiale del corpo umano, col nuovo strumento di un metodo sperimentale-congetturale, per il quale la conoscenza della «materia prima» corporea è imprescindibile (31).
     Nel capitolo «La favola ragionata» Deleyre assegna alla materia stessa, in un quadro mitologico, il ruolo di «interprete di tutti i segreti» della natura. «Proteo», l'incarnazione della libera fecondità creatrice della natura, fa di «Dedalo o le Arti umane» il depositario labirintico, in negativo e in positivo, della capacità d'usarne (32). L'afflato utopistico o «ucronistico» dello sperimentalismo di Deleyre si esprime in più luoghi, là dove il filosofo invoca l'avvento di tempi in cui la totalità delle scienze, delle arti e dell'industria, riunite in un nuovo sistema, cospirino all'incremento della felicità dell'umanità. E' un motivo accordato, talora, su toni entusiastici. Il finale dell'Analyse, «Pensieri e prospettive generali, ossia Ricapitolazione», mostra che la spinta dell'ideale non porta il filosofo all'isolamento, nella società meccanizzata e industriale. Deleyre si «sente nato per la felicità del genere umano», vuole guardare al «bene della patria come un oggetto di diritto pubblico, cui un segreto istinto e forse i miei talenti mi indirizzavano come a un dovere particolare. Nell' intento di soddisfare quest'unica ambizione, ho scoperto che non v'era mezzo più sicuro e più facile dell'invenzione e del perfezionamento delle arti»(33). Fare delle arti, attraverso la collaborazione dei «manovrieri» e dei «filosofi meccanici», il mezzo principale di questo scopo (34), evitandone l'asservimento ai fini egoistici dei «partiti violenti», di questo o quel potere, è l'utopia altra, moderata ma additata con ardore, talora con fanciullesco entusiamo, dal «provinciale» Deleyre. Il furore poetico che riveste quell'unica ambizione di vedere e volere rivoluzionata dal profondo la vita quotidiana degli uomini nel secolo, lascia pochi dubbi intorno al carattere utopistico e politico della nuova filosofia sperimentale.
     Quanto forte risultasse la concreta spinta politica della philosophie des arts et métiers lo testimonierà la biografia di Deleyre, che quarant'anni più tardi siederà tra i deputati della Convenzione. Dai banchi della Montagna, solo tra gli enciclopedisti, egli voterà per la morte del re. Sopravvissuto al Terrore, diverrà membro del Consiglio dei Cinquecento e verrà incaricato, dal 1795, del controllo delle Scuole Normali, alla cui fondazione contribuì praticamente e teoricamente. Suo è un piano originale di riforma dell'educazione, utopia di una «nuova Atlantide» che,  sotto molti aspetti,  prefigura gli assunti basilari  delle teorie pedagogiche contemporanee della «scuola del lavoro» (Kerschensteiner). «Ci sia permesso di abbozzare qui — proclamò Deleyre dinanzi alla Convenzione montagnarda — un sistema di educazione praticabile in tutti i nostri dipartimenti, e di comporre una specie di repubblica o di istituzione ideale, sull'esempio dell'Atlantide di Platone, ripresa da Bacone, che si rigenera da sola con la fecondità dei suoi principî [...].  Sarebbe auspicabile che in ogni istituto educativo vi fossero botteghe e attrezzi di vari mestieri [...]. I Francesi dovrebbero così nobilitare tutte le arti utili familiarizzando con esse tutti gli uomini liberi [...]. L'educazione repubblicana deve essere insieme agricola, marziale e letteraria»(35).
     Il vecchio philosophe, il baconiano rousseauiano tanto ammirato ma poco compreso dalle giovani generazioni rivoluzionarie, all'epoca del Direttorio (1795) sarà eletto membro titolare nel nuovo Institut de France,insieme al medico enciclopedista di Montpellier Paul-Joseph Barthez e all'economista Mathieu-Antoine Bouchaud.
 
 

3. Automa e libertà: l'utopia di Jacques de Vaucanson

     I progressi delle arti meccaniche e le difficoltà incontrate nella loro description non mancarono di stimolare l'opera di altri autori dell'ambiente enciclopedico. È il caso di Jacques de Vaucanson (1708-1782), costruttore di meccanismi viventi, «primo meccanico» del re. Sappiamo per certo che collaborò alla redazione degli articoli Androïde e Automate dell'Encyclopédie(36). Diderot dovette inoltre chiedere consiglio al mécanicien — le cui apparecchiature costituirono la prima raccolta del Consérvatoire National des Arts et Métiers, fondato dall'abbé Henri Grégoire (1794) — per la descrizione di alcune macchine.
     Celebri furono, all'epoca, gli esperimenti sugli automi, presentati da Vaucanson al pubblico dell'Académie des Sciences negli anni '30, a dimostrazione delle possibilità che la meccanica offriva nella riproduzione di operazioni e funzioni proprie degli esseri viventi. Il testo del Mémoire sul flautista automatico è confluito nell' articolo Androïde (37); e Diderot, come editore, esprime in nota tutto il proprio entusiasmo.
     Lo stesso Vaucanson mette in risalto l'utilità pratica implicita nella progettazione degli esseri automatici che avrebbero potuto soddisfare, in futuro, i sempre crescenti bisogni produttivi dell'uomo. Ma il legame tra Diderot, e Vaucanson risulta anche più stretto. «Quando si trovò vacante un posto di socio meccanico all'Accademia delle Scienze, nella seduta del 23 Dicembre 1757, "la maggior parte dei voti per quel posto si concentrò sui signori Vaucanson e Diderot". Si trattava di succedere all'abate Nollet, andato in pensione. Fu scelto Vaucanson» (38).
     Se è perciò da condividere il giudizio espresso da diversi interpreti sul ritardo di informazione che il dizionario presenta rispetto al progresso dell' industria nella vicina Inghilterra, e se di ritardo si tratta, esso va riferito alle conoscenze tecniche o tecnologiche ma non alla coscienza acquisita dell'avvento della rivoluzione industriale (39). In tale direzione procede infatti la ricerca pratica del «meccanico» Vaucanson. Proprio Condorcet scrisse, in epoca rivoluzionaria, un Eloge de J. de Vaucanson sottolineando la statura filosofica dell'enciclopedista e il lato economico-politico della sua opera (40).
     Quali sono i meriti economico-politici che si possono attribuire all'autore delle anatomies mouvantes? Si tratta — nel caso del flautista automatico, come dell'anatra meccanica o del suonatore di tamburo e di galoubet — di teatro macchinistico, volto a meravigliare secondo il gusto barocco uno spettatore curioso? O di una forma utopistica — ma cosciente delle potenzialità proprie dell'arte — di meccanica industriale? Entrambi gli aspetti concorrono a definire il carattere delle trovate industriose di Vaucanson. Ma la risposta non può che essere positiva, nel secondo caso, osservando la storia delle invenzioni tecniche precedenti l'epoca in cui Vaucanson diviene nel 1746 primo meccanico de re e associato dell'Académie des Sciences.
     Colbert, com'è noto, aveva concentrato i suoi sforzi sul rilancio dell'innovazione in Francia, puntando sull'importazione di tecniche straniere con l'intervento finanziario dello Stato. L'Ispettore reale delle Manifatture svolgerà questo ruolo nel secolo XVIII, come, più tardi, la messa in atto di un solido insegnamento tecnico, quale fu quello affidato all'École des ponts et chaussées di Jean-Rodolphe Perronet (1708-1794), altro enciclopedista amico e collaboratore di Diderot, che scrisse diversi articoli tecnici di notevole importanza (41). E tale fu l'incarico che Vaucanson ricevette, a partire del 1741, dal cardinale de Fleury: la supervisione della produzione manifatturiera reale delle stoffe di seta.
     Il nuovo compito permise a Vaucanson di applicare concretamente il proprio talento meccanico, superando i semplici divertissements degli automi; ma soprattutto gli consentì di rivelare le proprie qualità di organizzatore capace di immaginare nuove strutture di produzione. Vaucanson inventò macchinari per la tessitura, un telaio interamente automatico, un mulino speciale per torcere la seta, un'apparecchiatura per la produzione seriale, una rudimentale forma di catena di montaggio ecc. (42). Tentando di razionalizzare gli atti e i gesti degli operai, come anche di ridimensionare pezzi di macchine, Vaucanson — insieme ad altri enciclopedisti (43) — preannuncia il taylorismo, o almeno il movimento di idee che si svilupperà nel secolo XIX attraverso i grandi ingegneri che segneranno la storia di quel periodo (44).
     L'evoluzione di un fabbricante di automi che si trasforma in meccanico e infine in organizzatore industriale, è troppo significativa per non scorgervi una processualità particolare. Prefigurando con la sua cultura l'ingegnere del secolo XIX, Vaucanson riflette ancor più quella condizione utopistica, onirica, ludica e «liberale» dell'illuminista, segnata da miti ancestrali, che aveva una sua continuità con lo spirito del Rinascimento. Dalla sottile analisi anatomica, necessaria alla realizzazione di un androide il più possibile fedele alla realtà, all'analisi dei gesti di lavoro, mirante a riorganizzare un posto o una catena di fabbricazione, la procedura è esattamente la stessa (45). Le prospettive di concretizzazione di quei progetti utopici nella realtà industriale si moltiplicano, nel secolo XVIII, grazie al possente sviluppo in corso delle forze produttive, con l'affermazione del colbertismo, la pace, l'incremento degli scambi e del commercio marittimo. La concezione meccanicistica, passata attraverso le teorie di Descartes e degli altri filosofi del grand siècle fino alla messa a punto dei prodigiosi androidi, apre ora le porte all'organizzazione scientifica del lavoro, in cui la macchina deve svolgere le medesime funzioni operative dell'essere umano (46).
     Concretizzazione della tendenza utopistica furono quindi gli interessi medici che spinsero l'ingénieur ad ideare la costruzione di un androide «all'interno del quale doveva operarsi tutto il meccanismo della circolazione del sangue» (47). Effetto sociale ne saranno invece i conflitti politici inerenti alla riforma degli assetti produttivi, conseguente alla meccanizzazione, che lo videro coinvolto, nel 1743-44, nelle lotte tra i maîtres-marchands e i maîtres ouvriers per la definizione dei nuovi regolamenti delle fabbriche di seta a Lione. La stessa tensione utopistica investì, in quel frangente, il tentativo di conciliare interessi destinati a restare, fino all'89, in conflitto tra loro.
     Nel '43 Vaucanson era stato incaricato da Fleury della riorganizzazione tecnica dell'industria francese della seta, in vista del raggiungimento dell'autonomia produttiva rispetto all'industria piemontese, egemone nel settore. Il grande disegno di riforma fallì a causa dei conflitti esplosi tra le parti sociali: commercianti di stoffe, finanzieri e corporazioni artigiane. Ma in quell' occasione Vaucanson, pur incorrendo nelle prime contraddizioni del nascente sistema industriale capitalistico, si mantenne fedele al principio della tutela degli interessi del lavoro e della produzione meccanizzata, senza venir meno alla sua missione «ispettiva»; alla ricerca, cioè, di soluzioni razionalizzanti per l'intera economia manifatturiera del regno. «Il mio scopo — dichiarò Vaucanson — è stato sempre quello di semplificare le operazioni rettificandole e rendendole indipendenti dagli accidenti della manodopera; e di ridurre al minor numero possibile gli uomini che gli opifici sottraggono all'aratro, e che non valgono più nulla quando le fluttuazioni del commercio rallentano o sospendono l'industria della manifattura. È dimostrato che il non-valore degli uomini è, fra tutte le perdite, la più funesta per uno Stato: perché si diventa un onere a suo carico non appena si cessa di essergli utile» (48).
     Quella di Vaucanson fu una tecnoutopia politicamente feconda, come si è detto a proposito di Deleyre, che investì contemporaneamente le consuete pratiche di mestiere, gli statuti dei maîtres e dei lavoratori e, conseguentemente, l'assetto politico della società (49).
 


* Testo presentato al Convegno «Le filosofie della natura dal Rinascimento al secolo XX» (Università di Roma "La Sapienza", 22-24 ottobre 1994) .




N O T E



1) Un panorama abbastanza completo è nel volume: Illuminismo e utopia. Temi e progetti utopici nella cultura francese (1676-1788) ( a cura di G. Bartolommei), Milano, Il Saggiatore, 1978 e in R. Trousson, Voyages aux pays de Nulle Part, Bruxelles, 1975.

 (2) Cfr. Ch. Rihs, Les utopistes contre les Lumières, «Studies on Voltaire», 57, Paris, Tuzot, 1967; e Les philosophes utopistes. Le mythe de la cité communautaire en France au XVIIIe siècle, Paris, Éditions Sociales, 1970.

(3) Cfr. J.-J. Rousseau, Du contrat social. Discours sur les sciences et les arts. Discours sur l'origine de l'inégalité parmi les hommes (a cura di H. Guillemin), Paris, Union Générale d'Éditions, 1963: «nel secolo degli Enciclopedisti, accorti borghesi che amministrano il mondo traendone il miglior partito, Jean-Jacques è l'inquietudine filosofica finalmente riscoperta, quella sete di verità e di giustizia che viene a turbare una scienza fin troppo compiacente» (così la presentazione dell'editore).

 (4) Cfr. anche A. Soboul, Utopies au siècle des Lumières, Paris, Éditions Sociales, 1973 e Lumi, critica sociale e utopia in Francia nel XVIII secolo, in Storia del Socialismo (a cura di J. Droz), Roma, Editori Riuniti, 1973, vol. I, pp. 114-223.

(5) Cfr. Ch. Webster, The Great Instauration. Science, Medecine and Reform. 1626-1660, London, Gerald Duckworth, 1975; trad. it. a cura di P. Corsi, Milano, Feltrinelli, 1980, pp. 440-479.

 (6) R. Koselleck, Kritik und Krise, ein Beitrag zur Pathogenese der bürgerlichen Welt, Freiburg, K. Albert, 1959; trad. it. a cura di G. Panzieri, Bologna, Il Mulino, 1972, pp. 14-15; cfr. anche P. Hazard, La crise de la conscience européenne, Paris, Boivin, 1935, pp. 289-314.

(7) Cfr. B. Baczcko, Lumières de l'utopie, Paris, Payot, 1978; trad. it. a cura di M. Botto e D. Gibelli, Torino, Einaudi, 1979.

(8) Ivi, pp.157-249.

(9) Ivi, pp. 202-3.

(10) Ivi, pp. 217-18.

(11)Ivi, p. 9.

(12)Ci permettiamo di rinviare a Diderot-d'Alembert-Marmontel-Quesnay-Deleyre, Arti, scienze e lavoro nell'età dell'Illuminismo. La filosofia dell'Enciclopedia (a cura di P. Quintili), Roma, Pellicani, 1995, pp. 331-457.

(13) Cfr. M. G. Losano, Storie di automi, Torino, Einaudi, 1990, pp. 50-80: l'autore dà conto della rivalutazione delle arti meccaniche negli umanisti italiani. Sui rapporti fra tradizione rinascimentale ed Enciclopedia, cfr. p. 88 sgg.

(14) Cfr. J. Ehrard, L'idée de nature en France dans la première moitié du XVIIIe siècle, Chambery Imprimeries réunies, 1963, vol. II, p. 471 sgg.

(15) Cfr. Encyclopédie, art. Machine (d'Alembert-Chambers), vol. X, pp. 222a-226b; trad. it. in Arti, scienze e lavoro cit., pp. 166-70.

(16) Encyclopédie, art. Corpusculaire (Formey), vol. IV, p. 328; trad. it. in Arti, scienze e lavoro cit., pp. 205-7.

(17) Encyclopédie, art. Nature (philosophie), vol. XI, p. 41a; trad. it. in Arti, scienze e lavoro cit., pp. 259-260.

(18) Edita in due volumi, Amsterdam-Paris, Artskée & Merkus-Desaint & Saillant e Prault, 1755; riedita a Leyde, chez les Libraires Associés, nel 1778, con l'aggiunta di una «Vie du Chancelier François Bacon».

(19) Di lui tesse l'elogio Diderot, al termine dell'articolo Epingle; cfr. F. Venturi, Un enciclopedista: Alexandre Deleyre, in «Rivista storica italiana», ndeg.77,. IV, 1965, pp. 791-824.

(20) P.-L. de Maupertuis, Lettre sur le progrès des sciences, Paris, s.e.,1752, p. 3.

(21) A. Deleyre, Analyse de la philosophie du chancelier François Bacon cit., p. 25.

(22) Ivi, pp. 126-27.

(23) Ivi, pp. 37-38.

 (24) Ivi, pp.124-25.

(25) Sui predecessori dell'Enciclopedia cfr. Paolo Rossi, I filosofi e le macchine (1400-1700), Milano, Feltrinelli,1962, pp. 139-147; ma si veda anche P. M. Schuhl, Machinisme et philosophie, Paris, Presses Universitaires de France, 1947.

(26) A. Deleyre, Analyse de la philosophie du chancelier François Bacon cit., pp. 54-55.

(27) Ivi, p. 124.

(28) Ivi,pp. 55-56

(29) Ivi, p. 67.

(30) Ivi, pp. 72-73.

(31) Ivi, pp. 83, 88.

(32) Cfr. F. Bacone, Uomo e natura. Scritti filosofici (a cura di E. De Mas), Roma-Bari, Laterza, 1994, «Della Sapienza degli antichi» (1609), pp. 165-77: il confronto con la fonte mostra, al capitolo «Dedalo», che Deleyre pone maggiormente l'accento sulle arti rispetto alla meccanica.

(33) A. Deleyre, Analyse de la philosophie du chancelier François Bacon cit., vol. II, p. 249.

(34) Si vedano le ascendenze di questo ideale in D. Diderot, Interprétation de la nature, Paris, Bordas, 1990; trad. it. a cura di G. Cantelli, Milano, SE, 1990, aforisma I, p. 13. Un più dettagliato confronto tra il contenuto dell'Analyse — il cui scopo è di «impegnare gli spiriti forti a leggere l'Originale» — e l'opera di Bacone non è ancora stato compiuto.

(35) Convention Nationale, Opinion d'Alexandre Deleyre, deputé du département de la Gironde, sur la question du jugement de Louis XVI, Paris, s.d. [1793], pp. 12-42, in Venturi, Un enciclopedista cit., pp. 821-822.

(36) Cfr. Encyclopédie, vol. I, p. 448b e 896a. Cfr. anche II, pp. i-ij, «Avvertenza degli editori»: «Inizieremo oggi con il signor Vaucanson. Questo illustre accademico, celebre nell'Enciclopedia per gli articoli Automa e Androide, come devono esserlo gli uomini superiori, si è lamentato, a ragione, dell'articolo Aspo nel quale è stata fatta un'esposizione infedele e poco favorevole, sulla base di un semplice sentito dire, di una bellissima macchina di sua invenzione, della quale egli ha in seguito pubblicato la descrizione ed è sembrato che si volesse qui dividere la scoperta». I due articoli portano la sigla (O) di d'Alembert, ma sono estratti del Mémoire di Vaucanson, che è verosimilmente autore anche di una parte dell'articolo Soie, nel vol. XV, pp. 268a-306a (firmato "M. V***").

(37) Cfr. Encyclopédie, vol. I, pp.448b-451a, e J. de Vaucanson, Le Mécanisme du fluteur automate, presenté à Messieurs de l'Académie royale des sciences, par M. Vaucanson, auteur de cette machine, avec la description d'un canard artificiel [...] imitant en diverses manières un canard vivant, inventé par le même, et aussi celle d'une autre figure [...] jouant du tambourin et de la flute[seguito da una Lettre de M. Vaucanson à M. l'abbé D.F... sur le canard et le joueur de tambourin], Paris, J. Guerin, 1738, pp. 4-6. Cfr. AA.VV., Jacques Vaucanson, Paris, CNAM, 1983 e M. G. Losano, Storie di automi cit., pp. 86-94; infra, nota 48.

(38) B. Gille, L'Encyclopédie et les techniques, in Encyclopédie Milano-Parigi, F. M. Ricci, 1980, vol. XVIII, p. 184.

(39) Cfr.Encyclopédie, art. Epingle, vol. V, pp. 804a-807b; trad. it. inArti, scienze e lavoro cit., pp. 425-48. Il celebre articolo di Deleyre non è il solo a fornire la descrizione di un processo produttivo diviso, affidato a più operai in parte specializzati; cfr. art. Bas (métier à), Grosses Forges e Charbon à bois, trad. it. inArti, scienze e lavoro cit., pp. 375-423 e 455-57.

(40) Cfr. Condorcet, Mémoires de l'Académie des Sciences, Paris, 1789, in Oeuvres, Paris, F. Didot, 1847, tomo II, pp. 657 sgg. , per quel che concerne la visione del lavoro, pp. 648-650 e 652-53.

(41) Cfr. Encyclopédie, art. Feu (pompe à), vol. VI, pp. 603a-609a ; trad. it. in Arti, scienze e lavoro cit., pp. 127-128, ove è descritta un'antesignana della macchina a vapore, la cui ideazione è ricondotta, da d'Alembert, all'opera di Denis Papin. Perronet scrisse anche gli articoli Epinglier e Pieux, pilots ou pilotis.

(42) Cfr. B. Gille, Histoire des techniques, Paris, Gallimard, 1978, pp. 703-5, 718-28, 748. Le immagini di queste macchine si trovano nel catalogo del Consérvatoire National des Arts et Métiers, in AA.VV., Jacques Vaucanson cit., pp. 27-42. Una serie di articoli sulle Arts mécaniques nel secolo XVIII è apparsa nella rivista«Métiers d'art», 52-53, 1994, pp. 6-123.

(43) Cfr. A. Picon, Gestes ouvriers, opérations et processus techniques. La vision du travail des encyclopédistes, in «Recherches sur Diderot et sur l' Encyclopédie», 13,1992, pp. 136-147.

(44) Cfr. A. Picon, Architectes et ingénieurs au siècle des Lumières, Marseille, Parenthèse, 1988: gli studi di Picon forniscono un'ottima sintesi del concetto di mondo «tecnico industriale» nell'Enciclopedia, e illustrano la spinta «tecnoutopistica» che muove questo mondo.

(45) Cfr. J. de Vaucanson, le Mécanisme du fluteur cit., pp. 10-16. si veda l'art. Androïde, in Encyclopédie, vol. I, p. 450a: «non resta altro più che far vedere come tutti questi movimenti diversi sono serviti a produrre l'effetto che ci siamo proposti di ottenere in questo automa, paragonandoli a quelli di una persona vivente».

(46) Cfr. AA.VV., Jacques Vaucanson cit., pp. 12-14: «Le osservazioni di Vaucanson costituiscono uno studio fondamentale sull'industria della seta e si spingono anche oltre. Ad esempio, prevedendo la normalizzazione del dimensionamento dei pezzi, abbozzando una forma di organizzazione scientifica del lavoro, arrivano addirittura ad intuire la nozione di laboratorio industriale [...]. Vaucanson aveva preparato il "Progetto di un nuovo stabilimento per la fabbricazione delle sete in Francia", che completò in novembre [1743] con una nuova memoria concernente l'approfondimento dei dettagli finanziari. Si è potuto dire che è intuito qui il sistema di economia mista».

(47) Cfr. Condorcet, Mémoire de l'Académie des Sciences cit., p. 655.

(48) Cfr. AA. VV., Les arts et métiers en Révolution, Paris, CNAM, 1989, p. 65.

(49) Cfr. A. Picon, Architectes et ingénieurs cit., p. 291: «La Rivoluzione segna, si è detto, il trionfo degli ingegneri. La loro competenza si estende, almeno in teoria, all'insieme dei vari rami dell'attività umana. Da Condorcet a Destutt de Tracy l'ideologia traccia un programma di insegnamento consono alle loro ambizioni [...]. Come l'autore delle Réflexions, gli ingegneri sono dappertutto: dalla Commissione del sistema metrico ai diversi ingranaggi dell'amministrazione, impegnata in una guerra che rendeva indispensabili i tecnici [...]. Con l'istaurazione dell' Impero napoleonico la situazione, tuttavia, si va parzialmente rovesciando. Nei primi anni del secolo XIX si verifica un riflusso rispetto all'utopia scientifica e tecnica della Rivoluzione».
 

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