Il Giardino dei Pensieri - Studi di storia della Filosofia

Mario Trombino
Introduzione all'Emilio di Rousseau [*]
[Vedi anche le voci: Libertà, Generi letterari in Filosofia, Pedagogia, Rousseau ]

 

1. Pensare l'uomo integrale

L'Emilio è un libro che intrattiene un singolare rapporto con i suoi lettori. È scritto con linguaggio semplice e piano - senza tecnicismi o terminologia scientificamente fissata - da un autore che conosce sia le tecniche teatrali che narrative per avvincere il lettore (da buon scrittore di commedie e romanzi di successo). Tuttavia la lettera delle affermazioni e delle tesi pedagogiche contenute nel testo è sconcertante, a volte paradossale, a volte finisce con l'assumere il carattere di una sfida.

Rousseau intrattiene un vero e proprio dialogo con il lettore, gli si rivolge spesso direttamente, lo guida attraverso esempi e riflessioni. Scrive per l'uomo comune - cioè per il borghese - saltando la mediazione degli intellettuali con cui intrattiene pessimi rapporti. Egli parla - illuministicamente - alla ragione dell'uomo, senza paura dei paradossi perché il pensiero deve sapere affrontare le sfide della realtà, deve sapere rompere il guscio del pregiudizio e lasciare emergere la verità. Egli parla però - e i romantici lo sentiranno per questo vicino alla loro sensibilità - all'uomo concreto, immerso in un mondo di passioni su cui il pensiero non si eleva che per universalizzare, per poi tornare ad immergersi nell'individuale, in ciò che è concretamente e sensibilmente vissuto.

Nell'accostarsi all'Emilio, dunque, il lettore di oggi tenga conto del fatto che la seduzione letteraria della pagina roussoiana - altissima, a patto di penetrare nel suo ritmo particolarissimo, su cui torneremo - non è che un primo livello del testo su cui si installa un secondo: la sfida del pensiero. Si tratta di nulla di meno che dello sforzo di conoscere la natura dell'uomo nella sua integrità. È facile evitare paradossi e aporie quando si costruiscono mondi esclusivamente mentali, realtà astratte nate dal pensiero e dunque artificialmente coerenti col principio di non contraddizione. È molto meno facile evitare i paradossi quando il nostro oggetto è l'uomo integrale (1) nel quale la contraddizione è insita come uno dei suoi più caratteristici tratti. Di quale contraddizione si tratta? Distingueremo almeno tre piani.

a) Le affezioni. V'è una dialettica nel cuore dell'uomo: le sue facoltà possono armonizzarsi solo a patto di una lenta educazione. Si prenda il caso del rapporto tra desideri e facoltà, cioè tra l'impulso che guida la volontà e gli strumenti che l'uomo possiede per dare ad essi soddisfazione. Se i desideri si sviluppano troppo, le facoltà dell'uomo non riescono a trovare la strada per soddisfarli: l'uomo cadrà nell'infelicità. Se i desideri vengono inibiti, la vita stessa si spegne, le facoltà dell'uomo sono inutilizzate, l'esistenza umana cede il posto ad un vegetare che non è vita: la natura è tradita. Si pensi ancora alle passioni, che Rousseau vede dominare l'uomo nell'età dell'adolescenza. Esse devono armonizzarsi con la nascente moralità dell'uomo, cioè col dispiegarsi concreto della sua libertà. Il loro libero sviluppo porta invece alla schiavitù del vizio, ad un piacere malato che lascia l'uomo in balia di forze esterne, di altri uomini e donne: la sua libera natura è tradita. Pensare l'uomo integrale significa pensare insieme la libertà e la vita che in essa si esprime.

b) La persona e l'universale. V'è una dialettica tra la vita vissuta, ancorata alla singolarità dell'esperienza ed all'individualità dell'io, e la vita pensata, l'universalità della visione che l'uomo ha di sé, il tratto che lo accomuna agli altri uomini. Dal punto di vista universale della mente l'individuo è un caso particolare della specie e può essere compreso solo se si comprendono i caratteri della specie: studiare l'uomo significa ricostruirne il modello universale. Dal punto di vista della vita vissuta, invece, l'individuo è sempre un io, chiunque sia a vivere come coscienza e pensi a sé come ad un sé. Studiare l'uomo significa ricostruire il suo personale sé, la particolarità delle sue disposizioni, unica al mondo. La filosofia oscilla tra la fedeltà al concreto del vissuto e la fedeltà al concreto della specie. Pensare l'uomo integrale significa pensare insieme la persona e l'universale che vive in lei.

c) La società. V'è una dialettica tra la persona e la società. La felicità dell'uomo non può essere per Rousseau solo privata: il singolo è un essere desiderante, le sue affezioni esigono corrispondenza. La persona è davvero libera e felice solo nel pieno rispetto della sua natura e questa impone un mondo di affetti, una realtà fatta di circolazione affettiva, un ambiente affettivamente rispondente all'io. Tuttavia la persona vive la sua esperienza nella singolarità ed esige che essa sia al centro del sistema; la società è invece da un lato impersonale (un ambiente, l'anonima forza che la generalità esercita sul singolo), dall'altro è invece sin troppo personale, perché ciascuna persona esige, anche a scapito di altri, una soddisfazione personale dei suoi bisogni, e così il singolo entra in conflitto con altri singoli. Pensare l'uomo integrale significa pensare insieme la persona e la comunità.

L'Emilio è dunque un libro che intrattiene un singolare rapporto con i suoi lettori, perché dietro al piano letterario, sempre affascinante, emerge un pensiero duro, radicale, una sfida accettata sino in fondo: l'obiettivo è salvare l'uomo comprendendone la natura, accettato realisticamente il rischio del paradosso come una sorta di corto-circuito del pensiero che si sforza di tenere insieme la dinamica delle forze contrapposte (2). Al lettore è dunque richiesta la capacità di cogliere i diversi piani del testo senza tentare semplificazioni.

Ad esempio, Rousseau scrive che il padre deve essere in prima persona il maestro del figlio e presenta questo compito come una attività totale, che deve impegnare al completo la persona. Ora, è evidente che un padre non può fare questo, perché non dovrebbe lavorare, dovrebbe avere capacità pedagogiche che Rousseau stesso considera rare, e così via. Il lettore non deve cedere alla tentazione di liquidare il problema attribuendo a Rousseau solo il gusto del paradosso (che pur certo possiede), dell'astrazione di chi pensa «per dati puri ed assoluti», o addirittura interpretare l'Emilio nel suo complesso come la fantasticheria di un teorico che pensa ai problemi pedagogici nei termini di un empireo filosofico che sulla terra non ha riscontro. Rousseau al contrario ha solo espresso per così dire nella sua «purezza» una esigenza concreta, o meglio un principio pedagogico fondamentale contraddetto dalla realtà del suo tempo: che il padre sia maestro del figlio, senta la responsabilità della sua educazione e costruisca con lui un rapporto da persona a persona. Bisogna tenere questo principio mentre si pensa alla futura società da costruire. Esso è un elemento puro del pensiero che nel gioco della realtà, interagendo con altri elementi puri e con le forze del mondo, concorrerà a rendere concreto il modello ideale (3).

 

2. Il genere letterario dell'Emilio

Il lettore dell'Emilio dovrà identificare sin dall'inizio il genere letterario del testo. Dovrà abituarsi a qualcosa di diverso dai libri che conosce, perché testi di questo tipo formano quasi un genere a sé stante.

 

L’Emilio come romanzo
Certamente si tratta di un romanzo, un racconto elaborato e complesso la cui trama è, per così dire, stratificata. Chi ne è il protagonista? Si sarebbe portati a rispondere Emilio, perché di lui si parla. Ma in realtà per gran parte del testo Emilio è davvero poco più che un nome per identificare un percorso pedagogico (4). Compaiono anche altri bambini nelle singole narrazioni e, spesso, una sorta di fanciullo universale. Emilio è certamente l'oggetto del discorso (ma a volte è, per così dire, un oggetto assente, un «convitato di pietra» (5)). Il vero protagonista è invece lo stesso Rousseau nella duplice veste di narratore-pedagogista e di personaggio reale (il maestro). Rousseau infatti gioca su più di un piano.

a) Rousseau narratore e pedagogista. Da questo punto di vista Rousseau è almeno tanto un personaggio dell'Emilio quanto Platone lo è della Repubblica attraverso Socrate. Egli è il narratore che attraverso ciò che accade sulla scena del romanzo costruisce un progetto teorico e modella gli avvenimenti e le persone, come un burattinaio col suo mondo di maschere: è il signore di un mondo parallelo. In quanto pedagogista egli dialoga esplicitamente con Locke, con Montaigne, con alcuni pedagogisti minori, con i grandi autori del mondo classico (da Socrate a Platone agli stoici a Plutarco, e così via) e più implicitamente con gli autori della tradizione seicentesca e i philosophes del suo tempo. Dialoga inoltre con i futuri educatori, i futuri lettori, e dunque anche con tutti noi. In quanto narratore si rende responsabile delle idee espresse ed intende sulla base di queste essere giudicato. In gioco, come è abituale nelle sue opere, è la persona Jean-Jacques. L'Emilio è uno dei possibili romanzi di Jean-Jacques. Poiché egli rifiuta ogni mediazione e parla senza modificare le sue intuizioni, si tratta di una sorta di romanzo autobiografico, in cui compaiono non tanto le esperienze vissute (se non in qualche singolo caso) quanto le idee dell'autore (dato l'accostamento in Rousseau tra filosofia e vita, si sarebbe quasi tentati di dire: le idee vissute dell'autore). Ma - e in questo sta una delle non minori ragioni della grandezza pedagogica del testo - nel romanzo il narratore appare un grande osservatore dell'infanzia, iscrivendo l'Emilio tra i testi di altissima penetrazione psicologica come - in un ambito diverso - i grandi romanzi dell'Ottocento.

b) Rousseau personaggio. È il maestro (quale Rousseau scrive di non essere capace di essere nella realtà) che - personaggio tra personaggi - interagisce con gli altri e soprattutto costruisce gli scenari nei quali si muove Emilio. Il maestro, come il Rousseau narratore, è a sua volta una sorta di autore di commedie, di signore di un mondo parallelo. Egli infatti (nella finzione del romanzo) elabora per l'educazione di Emilio delle trame, a volte complesse, di cui questi è l'inconsapevole personaggio principale. Rousseau pedagogista rifiuta le favole narrate, ma Rousseau maestro costruisce trame narrative che vengono fatte vivere al bambino. Situazioni teatrali, in qualche modo. E questo ha procurato a Rousseau l'accusa di avere svuotato d'ogni significato reale la libertà di Emilio, facendolo vivere in una situazione falsamente naturale, apparentemente reale, ma in realtà fittizia e programmata. Il Rousseau maestro, «doppio» del Rousseau pedagogista, sarebbe in realtà un sovrano assoluto, costruttore di un mondo orwelliano, affascinato dalla tentazione di proporsi come «grande fratello» (ed il suo comportamento sarebbe addirittura viziato da «sadismo» (7)).

L’Emilio come saggio di teoria pedagogica
L'Emilio, avvertono sostanzialmente concordi gli interpreti, non deve essere letto come un manuale di pedagogia.
Non ne ha la natura. Se si cerca questo, il testo appare da un lato lacunoso, dall'altro fastidiosamente astratto, e per di più irrealizzabile: pura utopia (per fortuna!, aggiunge qualcuno). L'Emilio è invece un saggio di teoria pedagogica. Non si tratta tanto, si osservi, di un saggio in forma di romanzo pedagogico, al modo in cui il Candido di Voltaire è un romanzo filosofico, cioè un romanzo il cui significato è espresso da tesi filosofiche più o meno implicite nel testo ed esemplificate dalla trama del racconto. Si tratta, invece, di un'originale fusione di narrazione e riflessione pedagogica (e filosofica) in cui i due livelli rimandano continuamente l'uno all'altro. È lo stesso Rousseau a scrivere in una lettera a F. Cramer (13 ottobre 1764): «Non posso credere che voi prendiate il libro che ha questo nome per un vero trattato di educazione. È un'opera abbastanza filosofica sul principio, sostenuto dall'autore in altri scritti, che l'uomo è naturalmente buono».

La teoria pedagogica è costruita intorno ad alcuni punti fermi.

a) Osservare i bambini. Il più grave limite della pedagogia a lui precedente e della prassi educativa del suo tempo è che entrambe non partono dalla concreta esperienza della specificità dell'infanzia. Il bambino è considerato solo un piccolo uomo. Al contrario Rousseau insegna - sulla base dell'osservazione - che l'infanzia ha tratti psicologici, fisici, logici diversi da quelli dell'adulto e scientificamente identificabili. Ogni pedagogia scientifica dovrà tenerne conto. Allo stesso tempo sottolinea che non è corretto pensare all'infanzia solo come età di preparazione al mondo degli adulti. La vita ha le sue stagioni e nessuna ha diritti sulle altre. L'educazione e la vita cominciano dalla nascita (8).

b) Rispettare l'infanzia. È il principio di gradualità. Poiché ogni età ha le sue caratteristiche, a ogni età corrispondono determinate finalità dell'azione educativa e metodi adeguati allo sviluppo delle facoltà, alla situazione psicomotoria, agli interessi dei giovani.

c) Conoscere la mente dell'uomo. Rousseau scrive da pedagogista, ma fonda le sue teorie su un tessuto di riflessioni filosofiche piuttosto esplicite nell'Emilio, che affondano le radici nella tradizione sei-settecentesca, ma devono molto anche alla cultura antica (soprattutto Socrate, lo stoicismo, l'epicureismo).

d) Formare l'uomo. Questo primo obiettivo dell'attività educativa è delineato con molta forza nell'Emilio. Non si tratta di sviluppare delle abilità, insegnare un mestiere, comunicare ai nuovi nati dei contenuti culturali storicamente determinati. Si tratta invece di formare l'uomo, la persona integrale. La natura stessa ci insegna che la coscienza che forma la dignità dell'uomo è un elaborato prodotto sviluppatosi in interazione col mondo. La pedagogia è la scienza di questo divenire della coscienza.

e) Costruire la società nuova. Il Rousseau pedagogista non può essere disgiunto dal Rousseau "ingegnere sociale"; l'Emilio va letto insieme al Contratto sociale. L'obiettivo dell'attività educativa è formare l'uomo, ma l'uomo non è un Robinson. Non v'è infatti libertà e felicità nell'integrità della persona se non all'interno di un ambiente affettivo. La pedagogia è dunque scienza che sfocia nella politica, nella costruzione di una società libera e felice attraverso la formazione di coscienze libere e felici.

Se particolare è il genere letterario dell'Emilio - fusione geniale di saggio pedagogico e romanzo -, particolarissimi sono lo stile e l'architettura narrativa ed argomentativa.

Il testo è costruito su una molteplicità di registri tra loro armonizzati, tanto da comporre un'opera sostanzialmente unitaria (9). Ad esempio, nell'inserire la Professione di fede del vicario savoiardo, costruita su un registro essenzialmente argomentativo (vero libro nel libro), Rousseau costruisce uno schema narrativo che funge da cornice. Il tutto in piena continuità con l'esigenza di avviare Emilio alla conoscenza del divino, richiesta tanto dall'età del ragazzo quanto dall'architettura dell'opera. Come si vede, un'architettura a incastro. Ma gli esempi potrebbero moltiplicarsi, perché Rousseau gioca coi registri come un pittore con la tavolozza dei colori o un musicista coi temi musicali. Ad esempio, riferita una serie di osservazioni, generalizza attraverso un'astrazione e costruisce la sua tesi (10). Poi la verifica attraverso una narrazione che funge da esperimento mentale o, più raramente, reale. La narrazione è dunque una argomentazione svolta su un altro registro.

 

3. Pensare per modelli

L'Emilio non è dunque un manuale di pedagogia, ma in esso vi è un modello pedagogico costruito con grande originalità filosofica. Naturalmente Rousseau ritiene di avere descritto un modello universale, nonostante la forte personalizzazione del suo discorso. Il punto è che egli è convinto che l'azione educativa sia, in senso profondo, un rapporto totale tra persone, tra coscienze diverse che legano le loro vite in un unico quadro d'insieme. Si potrebbe addirittura dire che la formazione del più giovane non possa avvenire senza una contemporanea autoformazione dell'adulto (11). Essere educatori è dunque in senso forte una scelta esistenziale, e per questo è legata alla personalità dei singoli ed alle disposizioni individuali. Costruire una teoria pedagogica universale è quindi compito estremamente complesso, perché qualunque tesi abbia la pretesa di valere in modo universale deve essere definita tenendo nel debito conto le particolarità individuali. Se a questo si aggiunge che il percorso educativo avviene all'interno di un determinato contesto storico caratterizzato da specifiche condizioni di vita e dalle tradizioni locali - che Rousseau con tutto il suo spirito rivoluzionario e la lettera antistoricista delle sue affermazioni in realtà non rinnega -, ci si rende conto che il compito di una pedagogia universale è assai arduo. Occorrono tesi pedagogiche chiare nette ed inflessibili nella loro purezza ideale comprensibili da tutti nella loro lapidarietà che oggi potremmo definire «giacobina», ma allo stesso tempo duttili, plastiche, capaci di adattarsi a ogni clima e a ogni storia locale, a un ambiente montano e a uno di pianura, a un borgo di pescatori e alla nascente società industriale, a Parigi e alla campagna.

Come risolve il problema Rousseau? Chiariamo subito che egli è perfettamente cosciente della sua complessità. Nella impostazione metodologica del suo lavoro - programmaticamente nella Prefazione, attraverso osservazioni sparse nel primo e nel secondo libro - chiarisce con rigore i termini della questione e il suo progetto di soluzione.

Punto di partenza di tutta la sua analisi è un principio filosofico generale, che potremmo esprimere in questi termini:

primo principio del metodo (ottimismo metafisico): la natura possiede una dinamica interna che, se rispettata nel suo ritmo, conduce il mondo alla piena realizzazione.

La tesi ha un implicito significato metafisico e non è affatto nuova. L'ottimismo metafisico gode di piena cittadinanza nella tradizione occidentale - dagli stoici, ben noti e ammirati dal nostro autore, ad Agostino, alla visione estetica che da Boezio percorre il Medioevo - ed è ripreso dalla filosofia razionalista sei-settecentesca. Tuttavia Rousseau interpreta questa tesi in modo originale rispetto alla sua età, perché ritiene che essa implichi il rispetto della natura piuttosto che l'intervento guidato dalla ragione su di essa. Egli appare quindi rivoluzionario perché va controcorrente rispetto al suo secolo (col quale per altri versi condivide moltissime idee): la tradizione moderna da Bacone in poi ha infatti sottolineato il primato della ragione, ha costruito il mito del progresso fondato sulla ragione e sul dominio dell'uomo sulla natura, cioè su un processo di modificazione profonda della natura e soprattutto dei suoi ritmi.

La tesi generale ha poi una applicazione sull'uomo:

secondo principio del metodo (ritmo della natura): la natura dell'uomo è dinamica e possiede una propria scansione temporale, un suo ritmo; se rispettata, conduce l'uomo alla piena realizzazione di sé come individuo. Le disposizioni naturali delle singole persone sono fortemente differenti tra loro ma, in natura, non reciprocamente contraddittorie.

Questa tesi va completata con una più completa visione dell'uomo:

terzo principio del metodo (natura sociale dell'uomo): la natura dell'uomo è sociale, e la piena realizzazione dell'individuo non può che avvenire in una comunità armonica sul piano degli affetti.

Quest'ultima tesi non deve sorprendere: Rousseau è sì il più acerrimo critico della società del tempo, al punto da abbandonarla per testimoniare la sua protesta, ma non ha affatto teorizzato la bontà della solitudine e l'abbandono del consorzio umano. Al contrario, ha espressamente sostenuto che libertà e piacere non sono affari privati dell'uomo, ma affari collettivi. Il suo progetto pedagogico è finalizzato all'educazione del cittadino della società libera del domani.

Muovendo da questa tesi di fondo, Rousseau chiarisce il suo metodo. Si tratta di elaborare dei principi pedagogici del tutto indipendenti dalla prassi attuale. Non è possibile fare altrimenti, perché i condizionamenti sociali sono fortissimi e nessun fanciullo educato nella società di oggi crescerebbe mai davvero libero e felice. Non si può dunque ricorrere a piccoli o grandi correttivi nel sistema pedagogico dell'educazione familiare o dei collegi. Bisogna abbandonare il passato, azzerare la situazione. Questo implica il fatto che il modello pedagogico non possa essere sottoposto a verifica sperimentale, perché per farlo occorrerebbe una società già libera e felice secondo i principi dello sviluppo naturale. Rousseau allora elabora un prototipo ideale di uomo, lo segue dall'infanzia all'età adulta sviluppando su di lui le sue tesi attraverso qualcosa di simile a degli «esperimenti mentali» astratti, fondati sulla conoscenza della natura umana. Sul nostro uomo ideale, che chiameremo Emilio, applicheremo il metodo pedagogico studiando le sue reazioni per così dire «in laboratorio». Saremo naturalmente esposti al rischio che i nostri esprimenti diano artificialmente i risultati che noi vogliamo, perché inquinati dalla soggettività delle convinzioni del ricercatore. Per ottenere risultati scientificamente attendibili e convincenti, in modo che il lettore dell'Emilio possa giudicare dalla bontà del progetto, dovremo essere rigorosissimi e applicare le nostre conoscenze sulla natura reale dell'uomo.

Il metodo roussoiano, dunque, che si muove sul piano teorico, è però fondato empiricamente sulla più approfondita osservazione dell'uomo reale al fine di conoscere la dinamica della sua mente e del suo corpo, cioè della sua «persona integrale». Senza questa approfondita conoscenza il metodo fallirà. Possiamo dunque così esprimere la condizione di validità del metodo:

quarto principio del metodo (condizione di validità): la pedagogia si fonda sulla più rigorosa conoscenza della dinamica evolutiva naturale dell'uomo nella integrità delle sue facoltà. L'educazione ha lo stesso scopo della natura, che a sua volta educa attraverso l'esperienza e la memoria.

Tutto questo ci darà un modello generale. Come passare dalla teoria pedagogica, che pensa per modelli, alla pratica pedagogica? L'operazione è di fondamentale importanza perché la natura umana è fortemente individuale: le disposizioni naturali dei singoli sono molto diverse tra loro e influenzate da fattori naturali, quali il clima, l'alimentazione, l'ambiente, e così via (anche senza tener conto della tradizione storica che, al contrario della natura, dipende in via diretta dall'azione umana). Rousseau non ha alcun dubbio sul fatto che non si tratta di cercare un compromesso con la realtà, con ciò che è fattibile. Questa strada è perdente perché nella situazione attuale non è fattibile ciò che più importa, cioè educare i fanciulli rispettando la loro natura. Con decisione che ancora una volta noi potremmo chiamare giacobina, Rousseau rifiuta ogni compromesso:

quinto principio del metodo (rifiuto del compromesso): non si deve passare dal modello pedagogico alla pratica educativa per progressive approssimazioni e compromessi con l'esistente, ma attraverso una radicale rottura col passato storico della nostra civiltà.

L'Emilio va quindi inquadrato in una prospettiva rivoluzionaria, in una filosofia della storia che predica la rottura radicale (21) con un determinato modello di evoluzione storica.

Rousseau non va oltre. Dichiara che i principi generali devono trovare modelli applicativi che, senza tradirne lo spirito, possano adattarsi alle situazioni concrete degli uomini là dove essi vivono ed alle differenti disposizioni individuali. Ma dichiara non esser questo il suo problema: quindi non lo tratta. Nel corso dell'opera, tuttavia, vengono forniti - più o meno implicitamente - alcuni esempi. Uno è il seguente: poiché bisogna lasciare che il bambino sia educato dalla natura e senta la necessità oggettiva di imparare a muoversi in essa in modo da non subire danni e ottenere gratificazioni, il maestro dovrà studiare la situazione reale, ambientale e sociale, in cui si trova e organizzare le esperienze del fanciullo all'interno di esse.

Quando nel clima della Rivoluzione Francese pedagogisti come Pestalozzi si posero il problema di trarre ispirazione dall'Emilio per la gestione di un piano pedagogico all'interno di istituzioni scolastiche, dovettero con genialità creativa andare al di là di Rousseau. Ma in fondo questi non ha chiesto altro quando ha scritto: «Tutte queste applicazioni particolari, non essendo essenziali al mio oggetto, non entrano affatto nel mio piano. Altri potranno occuparsene, se lo vorranno, ciascuno per il paese o lo Stato che avrà in vista. Mi basta che ovunque nascano degli uomini, se ne possa fare quello che propongo; e che, avendo fatto di essi ciò che propongo, si sia fatto quanto c'è di meglio per essi e per gli altri. Se io non adempio a questo impegno, ho senza dubbio torto; ma se lo osservo, si avrebbe torto lo stesso di esigere da me di più; poiché io non prometto che questo» (13).

 

4. L'Emilio e il Contratto sociale

La riflessione pedagogica ha una lunga storia prima di Rousseau, storia che questi conosce e discute a volte esplicitamente (soprattutto in riferimento a Platone e a Locke), più spesso implicitamente. Tuttavia la tesi che vuole l'Emilio opera fondamentale della pedagogia moderna, quasi un testo di rifondazione della disciplina, ha una sua validità.

È anzitutto necessario premettere che il periodo che va dai primi anni del Seicento alla fine del Settecento vede la rifondazione moderna di diverse discipline filosofiche che avevano già una loro storia secolare: è il caso dell'estetica, ad esempio. La riflessione filosofica sul bello e sull'arte è uno dei temi fondamentali della filosofia greca, ma è indubbio che qualcosa accade nel Settecento tra l'opera di Baumgarten e la Critica del giudizio di Kant se gli storici distinguono in maniera netta l'estetica antica dalla moderna.

Ancora più in profondità, è la scienza della natura a conquistare una propria specificità disciplinare nel periodo indicato: ancora nel Rinascimento e fino al Seicento col termine di filosofia naturale si indicano genericamente le scienze della natura non distinte in modo netto dalla metafisica tradizionale. Poi la fisica, la chimica, la biologia, e così via, acquistano un proprio statuto autonomo. La stessa filosofia nel Settecento si precisa in rapporto alle discipline scientifiche, acquisendo le specificità che oggi la contraddistinguono.

Il caso della pedagogia non è dunque isolato. Se vogliamo, sia pure per brevi cenni, comprendere il fenomeno generale dobbiamo fare riferimento a due ordini di fattori.

a) La nascita di una metodologia specifica per ciascun ambito disciplinare. I metodi di ricerca scientifica si precisano infatti rigorosamente. Il fenomeno è in connessione con l'identificazione dell'oggetto specifico delle discipline, nettamente differenziato dall'oggetto di discipline diverse.

Si osservi che lo stesso Rousseau nella Prefazione all'Emilio ha cura di identificare il proprio oggetto, di definirlo con rigore e soprattutto di chiarire approfonditamente i metodi che intende utilizzare e i confini del suo lavoro. Da questo punto di vista Rousseau ha indubbiamente il merito di avere individuato con chiarezza oggetto specifico e metodi della pedagogia. L'Emilio non è dunque la prima opera moderna di pedagogia né la prima che ponga consapevolmente il problema della riflessione pedagogica nel quadro delle discipline filosofiche (si pensi a Platone per il mondo antico ed a Comenio per il moderno, ad esempio). È tuttavia la prima nella quale il pedagogista dei secoli successivi può trovare i fondamenti della propria disciplina identificati con piena consapevolezza metodologica rispetto ai fondamenti di altre discipline.

b) La tendenza della società civile, politica ed economica, a una netta specializzazione dei compiti. La divisione del lavoro tende ad aumentare considerevolmente nell'età moderna, per raggiungere il suo culmine con l'industria. La società esprime il bisogno di specialisti, di uomini con compiti settorialmente definiti, che abbiano competenze sempre più approfondite nei singoli campi.

Nell'ambito della pedagogia la figura professionale del pedagogista non nasce con Rousseau, ma dopo di lui, a partire dalla Rivoluzione francese, quando il potere politico affronta organicamente il problema della organizzazione delle scuole e dell'alfabetizzazione di massa. Non a caso negli scritti di questi uomini, da Pestalozzi a Froebel ai grandi della pedagogia italiana, non si trovano studi specifici sull'Emilio, ma sviluppi fecondi delle intuizioni e dei principi roussoiani. L'Emilio infatti nella sua struttura resta nei limiti - ben sottolineati dall'autore - di un'opera teorica che offre al lettore pedagogista idee e valori, ma non strumenti operativi definiti.

Chiarito questo, vediamo come si colloca la pedagogia roussoiana nel quadro della sua produzione filosofica e politica. È necessario sottolineare questo aspetto perché Rousseau ha visto l'Emilio armonicamente connesso con il Contratto sociale.

Abbiamo già avuto modo di sottolineare che il progetto generale della riflessione filosofica roussoiana riguarda l'uomo integrale nella pienezza delle sue relazioni umane. Nel pieno rispetto del ruolo tradizionale della filosofia, si tratta di definire valori ed obiettivi per l'uomo fondati universalmente e di indicare la via per le trasformazioni individuali e sociali da compiere. Da questo punto di vista si comprende perché Rousseau abbia guardato con tanta attenzione alla filosofia dell'età ellenistica, che aveva assunto nella società del tempo un ruolo-guida di fondamentale importanza nel campo della vita etica, civile e politica. Rousseau aspira a questo ruolo per la filosofia - coerentemente con i progetti di «ingegneria sociale», di riforma economica, politica e culturale tipici del sogno illuminista di trasformazione del mondo verso la piena «luce».

Sin dai primi scritti egli aveva identificato nell'organizzazione attuale della società, nei suoi valori, nel rapporto tra il singolo e la generalità, la radice del male dell'uomo: assenza di libertà, lacerazione del cuore, disuguaglianza economica, sociale, etica. Tutto il male è figlio dell'abbandono delle linee maestre dell'evoluzione umana suggerite dalla natura.

Rousseau scrive che l'impulso ad iniziare l'attività filosofica gli venne dal rifiuto morale dell'esistente, del mondo così com'è (14). Ed a questo impulso egli rimane coerente, tanto che l'intera sua opera è percorsa da una rivoluzionaria carica morale. In quest'ottica, l'educazione dei più piccoli non è che un tassello del generale progetto di rinnovamento della società- si tratta di costruire l'uomo nuovo, che sin dalla sua nascita segua il rispetto delle regole imposte dalla natura per l'evoluzione personale e sociale. L'Emilio e il Contratto sociale non solo vengono scritti nello stesso periodo e pubblicati a due mesi di distanza l'uno dall'altro nel 1762, ma sono concettualmente complementari. Non potrà strutturarsi la società nuova del Contratto se non vi saranno gli uomini nuovi, liberi dalle contraddizioni dei vecchi (15).

Tuttavia non è possibile stabilire una esatta strutturazione teorica del pensiero roussoiano perché egli stesso non ha costruito che frammenti del suo discorso, senza chiuderlo in unità sistematica. Mancano alcuni passaggi. Più esattamente, non sono chiariti i nessi4 tra le fasi del suo progetto.

a) Non è chiarito come possano gli uomini della società malata di oggi divenire i liberi educatori delle nuove generazioni. L'impostazione stessa della pedagogia rende difficile la soluzione di questo problema: se il rapporto educativo è rapporto tra persone, è essenziale la libertà di coloro che conducono l'azione educativa: ad un precettore servo corrisponde un bambino educato ad esser servo. Alla base dell'Emilio c'è dunque una difficoltà operativa notevolissima. Al punto che l'opera può essere letta più che come manuale per l'educazione del bambino come opera di autoformazione dell'adulto alla libertà, alla stregua dei testi di Epitteto o di Montaigne, per restare agli autori amati da Rousseau.

b) Né l'Emilio, poi, né il Contratto sociale spiegano come si possa passare dalla società attuale alla libera società degli uomini che rispettano la natura. In Rousseau c'è un impulso rivoluzionario, ma non c'è una teoria della rivoluzione né un progetto riformista. Gli interpreti si sono dunque dovuti adattare ad elaborare ipotesi (16).

È uno dei problemi di fondo dell'interpretazione complessiva di Rousseau il perché vi siano queste fondamentali assenze nella sua opera. Certamente nel suo pensiero vi sono tendenze ad una impostazione antisistematica dei problemi, che al lettore di oggi richiamano l'opera di Kierkegaard e di Nietzsche. Esse trovano forse il modello nel libero dialogare socratico, in certi scritti stoici, di un Epitteto ad esempio, o nel libero movimento dei Saggi di Montaigne. È però altrettanto indubbio che vi sono elementi sistematici nel pensiero roussoiano che non possono essere sottovalutati. L'Emilio è costruito intorno ad un rigoroso modello pedagogico fondato su una precisa concezione dell'uomo e dei suoi processi di conoscenza. Il Contratto sociale elabora una compiuta, benché problematica, teoria della volontà generale in pieno accordo con una altrettanto compiuta teoria della natura dell'uomo (17). Il problema dell'interpretazione generale di Rousseau è dunque un problema aperto.

 

5. La filosofia dell'Emilio

Vediamo adesso su quale tessuto di riflessioni filosofiche riposi la costruzione pedagogica dell'Emilio. Nei brani argomentativi del testo, Rousseau ha chiarito diverse linee della sua visione dell'uomo e della storia, ma ha trattato questo materiale solo come strumento di appoggio alle tesi pedagogiche. Non ha quindi svolto una esplicita indagine filosofica tesa a chiarire i presupposti teoretici delle sue tesi. La «filosofia» dell'Emilio va dunque descritta su un primo livello chiarendo i principi enunciati esplicitamente, ma andrebbe poi studiata nei presupposti teorici impliciti. Noi in questo paragrafo resteremo al primo livello solamente descrittivo.

 

I debiti teorici
Vi sono anzitutto alcuni debiti teorici manifesti.

a) Rousseau è un ottimo lettore dei classici, ed utilizza ampiamente il materiale che gli proviene dalla tradizione greca e latina, sia letterario che filosofico. La sua visione dell'uomo è profondamente influenzata dalla figura di Socrate e più in generale dalla tradizione filosofica antica che sottolinea il valore della coscienza e della persona umana, da Socrate ad Agostino. Soprattutto in sede etica altrettanto esplicita è la riflessione roussoiana sul materialismo antico e sullo stoicismo: le concezioni dell'utile, del piacere, della virtù ne sono profondamente influenzate. Dallo stoicismo poi Rousseau trae linfa per la sua visione della natura, per l'«ottimismo metafisico» che lo caratterizza; trae anche però spunto per la sua visione del male e del dolore, riflessioni queste che, come nel mondo stoico, non possono essere disgiunte dalla visione del bene, perché il male è tra noi - inconfutabilmente .

b) Rousseau è allo stesso modo un ottimo lettore dei teorici seicenteschi, della grande tradizione filosofica materialista e razionalista che trovava ben viva ed operante nel pensiero dei philosophes dei suoi giorni. Nella sua opera il pensiero hobbesiano è felicemente coniugato con la visione della natura umana dei razionalisti, poniamo di uno Spinoza: in entrambe queste correnti, infatti, Rousseau trovava grande attenzione per gli aspetti oggettivi - «meccanicistici» - della natura umana, interessanti per lui perché gli permettevano di comprendere la dinamica «oggettiva» della coscienza, intesa come campo di forze di cui l'io è solo una delle componenti. Rousseau è profondamente interessato alla dinamica della coscienza, perché in essa legge i fondamenti della dinamica stessa della vita Non accetta però sino in fondo il meccanicismo. Nel suo pensiero, come vedremo più avanti, materialismo e concezione spirituale ed organica della vita si fondono in una sintesi unitaria.

c) In ultimo, Rousseau è largamente debitore alla tradizione empirista e sensista, dalla quale ricava i principi della sua visione della conoscenza umana, che costituiscono la base dell'analisi dei processi di apprendimento di Emilio nelle varie età.

La natura dell’uomo e delle cose
È questo l'aspetto più noto della filosofia di Rousseau. Si tratta di una concezione molto complessa, che costituisce il leit-motiv di tutta la sua riflessione sia teoretica che politica, etica, e naturalmente pedagogica.

La tesi di fondo è espressa moltissime volte nei suoi scritti. Restiamo all'Emilio che si apre con queste parole: «Tutto è bene uscendo dalle mani dell'Autore delle cose tutto degenera fra le mani dell'uomo». Il gusto della chiarezza e della forza espressiva porta Rousseau alla contrapposizione tra natura e uomo (oggi diremmo natura/cultura), ma in questo modo la tesi si presta ad un equivoco. L'uomo non è altra cosa dalla natura. Rousseau non pensa che il mondo superiore della coscienza e della cultura abbia una radice diversa dalla natura stessa. L'uomo è natura. Questo è il punto: essendo natura, egli potrà essere veramente se stesso solo rispettando la sua natura, divenendo ciò che egli è. L'errore della cultura umana nella storia è stato quello di non comprendere questa elementare verità e ricorrere ad una complessa ed artificiale costruzione culturale e sociale fondata su principi diversi dalla semplice natura. Nelle prime opere (il Discorso sulle scienze e sulle arti e il Discorso sulla disuguaglianza) Rousseau analizza come ciò sia potuto accadere. Nell'Emilio e nel Contratto sociale mostra come sia possibile rispettare la natura nella formazione dell'uomo e della società politica e culturale (18).

Questa idea di natura non è ovviamente una novità assoluta nella storia del pensiero. In Rousseau v'è l'eco della filosofia antica per

a) la concezione della ineluttabilità implicita nella logica stessa delle cose (si ricordi il lógos stoico e, riferito all'uomo, l'esempio del cane di Cleante), e lo stesso concetto di "destino" nella sua lunga storia che per noi ha inizio con i poeti;

b) l'identificazione, anch'essa stoica, tra bene e natura, letta in chiave teologica su posizioni vicine al deismo: la natura è bene perché l'Autore delle cose è bene. La linea filosofica che lega Socrate e Platone con Agostino conferma questa positività dell'esistenza.

Tuttavia, se l'uomo è natura, non è forse la natura stessa che gioca contro se stessa? Dobbiamo intendere la storia dell'uomo e le sue deviazioni come una sorta di malattia della natura?

Esaminiamo più da vicino la natura dell'uomo. Rousseau non è un meccanicista, benché la sua visione della dinamica delle forze naturali induca facilmente il lettore a crederlo. Né l'uomo è interamente riconducibile alla stessa natura delle cose. Le sue facoltà spirituali non sono, come negli stoici, viste come espressione dell'unico lógos del cosmo, ma come un superiore livello della vita della natura che si innesta sulla semplice materia. Non si tratta dell'adesione ad una visione dualistica dell'uomo, ad una cartesiana scissione dell'uomo in anima e corpo. Rousseau ha invece una visione profondamente organica dell'uomo: la vita superiore della coscienza si innesta sulla vita biologica, la dinamica del corpo si prolunga nella dinamica della coscienza senza riuscire a sopraffarne l'autonomia. La creativa dinamica della coscienza a sua volta vive ed opera nella multiforme vita delle passioni, delle affezioni, delle sensazioni.

Rousseau coniuga dunque una forte accentuazione della base materiale dell'uomo (la sua concezione del piacere ricorda da vicino l'epicureismo) con una altrettanto forte accentuazione dell'autonomia della vita spirituale che si installa su questa base.

La natura umana non è dunque pienamente riconducibile alla natura delle cose. La natura non è ovunque posta su uno stesso piano. Essa, opera delle «mani dell'Autore delle cose», è realtà complessa e molteplice. Rispettare la natura non significa ridurre l'uomo alla dinamica delle forze oggettive che dominano il mondo materiale, di cui egli è parte: significa coniugare in unità organica l'organica duplicità naturale dell'uomo, materiale e spirituale.

La società dunque potrà essere costruita nel rispetto della natura dell'uomo solo se diverrà essa stessa organica: i bisogni tanto materiali quanto spirituali dell'uomo devono trovarvi soddisfazione, la dinamica meccanicistica delle forze materiali e la dinamica creativa della vita spirituale devono esservi conciliate.

Ottimismo/Pessimismo
Rousseau è un grande scrittore e sa infiammare l'immaginazione del lettore. Le sue parole sulla natura e sul bene danno la sensazione di un completo ottimismo (agli occhi del lettore di oggi forse un po' troppo illuministicamente datato). È dunque particolarmente sorprendente trovare in Rousseau pagine di amara riflessione sui mali della vita e sui limiti dell'esistenza.

Che Rousseau se la prenda contro il male prodotto dalla società è evidente. Ma di questo male possiamo liberarci. Non così per il dolore, per la morte, per l'incertezza sul futuro. È naturale che la metà dei bambini non giungano all'età adulta, sono naturali il dolore e il pericolo.

Ottimismo e pessimismo dunque? Rousseau non è l'ingenuo teorico di una inesistente natura dolce e benevola. È ottimista nello stesso senso «metafisico» dei greci e della grande tradizione medievale dei mistici - degli maestri, poniamo, delle scuole che vedono nella luce naturale la manifestazione, fisica e spirituale insieme, della perfezione divina. L'ottimismo nasce dalla fiducia che il male non sia una realtà assoluta, ma vada concepito all'interno di un disegno cosmico (ottimismo metafisico, del resto, Rousseau poteva trovare nei grandi sistemi razionalisti di Spinoza e Leibniz). Per Rousseau occorre un forte realismo, si deve guardare in faccia la realtà: nelle applicazioni pedagogiche di questo principio si vedrà come Emilio debba essere educato, pur nella prudenza dovuta all'età, senza grande paura del pericolo e nella conoscenza serena del dolore (19).

E tuttavia permane nella pagina roussoiana, così spesso pervasa da ottimismo, una sfumatura pessimistica difficilmente eliminabile attraverso queste argomentazioni di natura metafisica. Qualcosa della sensibilità al dolore (soprattutto al dolore della scissione, della perdita) non è eliminabile dalla visione di Rousseau. Un tratto, questo, che non potrà non attirare i romantici e darà materia per le interpretazioni in chiave esistenziale del suo pensiero.

 

La conoscenza umana
Di particolare rilievo ai fini della educazione di Emilio è la teoria roussoiana della conoscenza. Abbiamo prima descritto due livelli della vita dell'uomo: un primo livello materiale attraverso il quale la vita si fonde con l'universo fatto di cose, e un secondo livello spirituale nel quale la vita si eleva alla creativa libertà della coscienza e del pensiero. I due livelli della vita coesistono nell'uomo e si fondono nell'azione e nel pensiero.

Giorno dopo giorno nella evoluzione del fanciullo si passa, per insensibili gradi, dal primo al secondo livello. Dal punto di vista della conoscenza si passa dalle sensazioni al pensiero astratto, attraverso una molteplicità di sforzi quotidiani tesi ad organizzare il vasto materiale sensibile in unità generali. La base della gnoseologia roussoiana è dunque pienamente empirista, vicina alla versione del sensismo francese del suo tempo, per la quale si può richiamare il nome di Condillac. L'esperienza è dunque il fondamento della conoscenza, ma su questa base Rousseau tende ad accentuare l'autonomia della vita spirituale dell'uomo, in coerenza con la creatività della coscienza. V'è dunque una forte sottolineatura della validità superiore della ragione che accosta Rousseau, su questo punto, al razionalismo illuminista della sua epoca.

Rousseau è poi vicino al materialismo quando sottolinea il collegamento tra la sensazione e l'affezione, cioè tra l'informazione che la coscienza acquisisce dal mondo esterno e la risposta emotiva che il contatto col mondo provoca all'interno di se stessa.

In sede pedagogica questa visione della conoscenza si esprimerà nei principi di gradualità e di controllo delle emozioni e delle passioni.

 

6. I principi pedagogici dell'Emilio

Il fulcro della concezione pedagogica roussoiana è ben espresso dalla concezione della naturale bontà della natura umana. Questa tesi non ha molto a che vedere con l'idea che sia esistito storicamente uno stato di natura in cui gli uomini vivevano liberi e felici in una condizione presociale e prestatuale. Rousseau stesso ci allontana da questa interpretazione. La natura dell'uomo è l'insieme delle componenti fisiche e psichiche che compongono la sua persona viste nella dimensione temporale dell'evoluzione. Quest'ultima precisazione è importante perché è la chiave di volta del sistema pedagogico roussoiano. Riassumendo argomentazioni già svolte nei paragrafi precedenti, possiamo così sintetizzare l'idea di Rousseau:

la natura umana è in sé buona, ma deve svilupparsi nel tempo attraverso l'educazione, il rapporto con gli uomini e con la società; quindi il fine dell'educazione e quello della natura sono lo stesso fine: rendere l'uomo libero e felice. Il processo di evoluzione può però degenerare e rendere 1'uomo schiavo.

Poiché questa degenerazione si è storicamente attuata nello sviluppo della civiltà, Rousseau diviene un critico radicale della società del suo tempo e propugna una inversione di rotta ed il ritorno ad una vita «naturale». La pedagogia condotta secondo i principi della natura è strumento per l'edificazione di una società libera e giusta, indispensabile alla vita del singolo. Non si dà educazione se non nel rapporto interumano. Lo scopo è formare l'uomo e il cittadino nella pienezza della realizzazione della natura umana. Nel processo educativo è allora implicata la persona integrale dell'uomo:

il processo educativo è un rapporto profondo tra uomini che mettono in gioco se stessi collaborando ad un progetto globale di trasformazione e realizzazione della persona: l'obiettivo è formare l'uomo e il cittadino.

In questo contesto si deve inquadrare il fondamentale concetto di educazione negativa. La dizione per la verità è ambigua perché lascia supporre l'errata idea che nel rapporto educativo il maestro debba non fare piuttosto che fare. Non si tratta di questo. Il principio è diverso: si tratta del fatto che vera maestra del fanciullo deve essere l'esperienza oggettiva delle cose, non il precettore con il potere di cui dispone. Rousseau sottolinea che se l'uomo (il fanciullo) impara dall'uomo (il maestro) si instaura tra i due un rapporto di autorità, che genera necessariamente la dipendenza del fanciullo dalla volontà e dall'intelletto di un altro, rendendolo schiavo, secondo la forte espressione roussoiana (il tema ricorre nella concezione morale kantiana, ma in fondo è principio di tutto l'illuminismo). Al contrario se l'uomo impara dalle cose egli acquisirà la conoscenza della realtà esterna ed allo stesso tempo delle proprie capacità subendo non la volontà di un altro, ma solo l'oggettivo limite posto dalle sue capacità e dalle condizioni esteriori in cui opera. Egli sarà tanto libero quanto la natura, sua e del mondo, glielo consentirà. Il principio dell'educazione negativa può dunque essere così espresso:

maestra del fanciullo è l'esperienza del mondo: compito dell'educatore è di garantire la possibilità che il fanciullo compia esperienze adeguate alle capacità delle sue facoltà nel rispetto della vera natura delle cose.

V'è qui il pericolo, segnalato dagli interpreti a volte con accenti molto duri (20), che il maestro sia in realtà un vero dominatore del fanciullo, addirittura un plagiatore che - ed è una aggravante - opera facendogli credere di essere libero nei suoi rapporti con le cose. Se infatti le esperienze del giovane sono pilotate dal maestro, questi utilizza uno strumento effettivamente oggettivo, piegato però ad un fine (nascosto al fanciullo) certamente soggettivo. Siamo qui in presenza dell'aporia fondamentale di ogni educazione nella libertà (non c'è forse contraddizione tra la libertà ed il concetto di educazione, come rapporto tra un uomo per forza di cose dotato di autorità su un altro che non la possiede?). Il tema non è esplicitamente trattato da Rousseau, che sotto alcuni aspetti tratteggia il suo precettore come il legislatore di uno Stato (il parallelo con il Contratto sociale è illuminante in merito), ma i lettori della sua opera sono stati stimolati a porlo con forza e questo è oggi uno dei temi centrali della riflessione teorica in pedagogia.

Il principio dell'educazione negativa che abbiamo prima esposto apre il discorso sulla gradualità del rapporto pedagogico. Rousseau ha enunciato per primo con consapevolezza teorica questo principio, che è oggi uno dei fondamentali della pedagogia (abbandonate le schematizzazioni roussoiane). L'educazione risponde ad una esigenza naturale, ha gli stessi scopi della natura. Ma la natura dell'uomo prevede un lunghissimo periodo di sviluppo delle facoltà al quale corrisponde una altrettanto lunga evoluzione dei suoi interessi. Il maestro dunque dovrà sempre rispettare l'uomo nell'educato, non considerando il bambino un uomo più piccolo, ma una persona dotata di caratteristiche proprie scomparse nell'adulto. Dunque qualsiasi esperienza dovrà essere calibrata sulla capacità del bambino di recepirla (in questo senso, per citare un esempio, Rousseau si pronuncia contro l'insegnamento della storia ad una certa età ed a favore in una età successiva) ed allo stesso tempo dovrà rispondere ad una esigenza reale sentita da lui come un bisogno. Sintetizzando, potremmo definire così il principio:

la natura dell'uomo implica livelli crescenti di sviluppo delle facoltà a cui corrispondono interessi diversi; il rapporto educativo rispetta la gradualità tanto delle facoltà quanto degli interessi.

Per questo motivo l'educazione religiosa e quella politica vengono rimandate moltissimo nella vita di Emilio, pur costituendo un momento assolutamente essenziale della formazione dell'uomo e del cittadino. Se il giovane fosse accostato prima a queste realtà non le capirebbe e sarebbe passivo di fronte ad esse, cioè schiavo e non libero.

Poiché vera maestra è l'esperienza e questa deve corrispondere alle reali capacità delle facoltà del giovane, Rousseau enuncia un principio di fondamentale importanza per l'attivismo moderno, sostenendo che il bambino impara dall'azione che egli compie sulle cose e dalla reazione che ne riceve:

l'educazione deve avvenire attraverso l'azione, in un rapporto interattivo col mondo umano e naturale.

Anche per questo motivo Rousseau dedica tanta attenzione al lavoro manuale ed alla vita a contatto con la natura.

In ultimo, è bene sottolineare che Rousseau non vede allo stesso modo l'educazione dell'uomo e della donna, perché non considera affatto su un piano di parità i due sessi. Nella selezione dei passi abbiamo qui tralasciato molto della concezione roussoiana della donna. Essa è davvero lontana dalla sensibilità moderna.

 

7. Conclusione. La condanna dell'Emilio

Le esperienze pedagogiche di Rousseau al momento della composizione dell'Emilio non erano di vasto respiro. Egli aveva avuto modo in diverse occasioni della sua vita di osservare fanciulli d'ogni età e, soprattutto, d'ogni classe sociale, ma solo una volta per un certo periodo tra il 1740 e il 1741 era stato precettore (21). L'esperienza non si era risolta positivamente ed egli ne aveva ricavato un'operetta, il Projet pour l'éducation de M. de Saint-Marie, portata a termine nel 1743 su richiesta di M. Dupin.

Le vicissitudini della sua vita lo avevano poi portato ad avere cinque figli, a partire dal 1747, e ad abbandonarli tutti in brefotrofio - certo il più grave, questo, dei paradossi dell'autore dell'Emilio.

A partire dal 1749 Rousseau è uno dei collaboratori dell'Encyclopédie, opera per la quale scriverà diversi articoli soprattutto di argomento musicale. Vive nell'ambiente degli intellettuali parigini a stretto contatto con le personalità più influenti del movimento illuminista, al cui gruppo per un certo periodo appartiene. Ma nel dicembre del 1757 si consuma la rottura con gli amici di un tempo: gli illuministi si distaccano da lui, egli da loro, sempre più duramente. E’ sua la scelta della solitudine, dalla quale parla al suo pubblico attraverso i suoi libri testimoniando con la sua vita il rifiuto della società del tempo. Indipendentemente da problemi dovuti a incomprensioni ed a motivi personali di conflitto, che pure vi furono, la radice profonda del dissidio con il gruppo dei philosophes è nella diversa visione dell'uomo. Rousseau sottolinea il ruolo della coscienza e del sentire, morale e religioso, e diffida della concezione illuminista della ragione. È contrario all'ateismo, diffuso tra i ceti elevati della società francese, così contrario al comune sentire del popolo. Rispetto alla società letteraria del tempo Rousseau prende il più possibile le distanze e si appella al pubblico.

Questo è il clima spirituale nel quale, nell'isolamento di Montmorency, nascono parallelamente il Contratto sociale e l'Emilio.

Il manoscritto di quest'ultimo viene stampato contemporaneamente a Parigi e ad Amsterdam, superate le resistenze dello stesso Rousseau che, a causa della Professione di fede del vicario savoiardo, teme per le conseguenze della pubblicazione dell'opera in Francia. Aveva ragione di temere. Essa appare nel maggio del 1762, e già il 9 giugno il parlamento di Parigi accogliendo la richiesta del Fleury - l'uomo che aveva attaccato l'Encyclopédie - condanna a maggioranza l'Emilio «ad essere lacerato e dato alle fiamme dall'Esecutore dell'Alta Giustizia». Avvertito nella notte dell'arresto imminente, Rousseau deve immediatamente fuggire. Due giorni dopo l'opera viene data alle fiamme sui gradini del Palazzo di giustizia. Quindi si ha una analoga condanna da parte di Ginevra - condanna particolarmente dolorosa per Rousseau. Poi nell'agosto il vescovo di Parigi mette il libro all'indice e nell'ottobre giunge la condanna dello stesso Papa Clemente XIII (22).

Eppure l'opera ha successo (23). Il principe di Wurttemberg scrive a Rousseau che sta educando sua figlia, dell'età di tre mesi, secondo i principi dell'Emilio, e dovunque il libro venga letto, non mancano gli ammiratori entusiasti (24).

Del resto, nell'ambiente degli intellettuali del tempo i temi pedagogici erano largamente dibattuti (25). Già da tempo il pensiero umanista aveva sottolineato tra le finalità della vita umana i valori della libertà e della felicità e «da questo punto di vista, l'Emilio va considerato come il punto culminante, in campo pedagogico, degli sforzi emancipatori di tutta una serie di pensatori umanisti» (26). Il progetto di riforma della società propugnato dagli illuministi passava anche per l'educazione dei fanciulli, perché era diffusa la convinzione che attraverso questa via si potesse costruire il cittadino libero e felice di domani. Rousseau quindi è pienamente in linea con la sua epoca, nonostante l'isolamento e le polemiche con gli amici illuministi di un tempo.

Negli anni immediatamente successivi l'Emilio vede una quantità di confutazioni, i cosiddetti Anti-Emilio, ma anche di plagi e di utilizzazioni. L'opera è molto ed avidamente letta. La vita personale del suo autore, tuttavia, è drammatica: fino a pochi mesi dalla morte, avvenuta il 2 luglio 1778, Rousseau vive in isolamento, fuggendo di rifugio in rifugio, scosso e quasi reso folle dalla convinzione di un complotto, di una persecuzione contro la sua persona.

Dopo la morte la sua fama cresce. La sua tomba diviene oggetto di una sorta di pellegrinaggio, il suo nome è legato alle idee rivoluzionarie che si fanno strada negli animi e nella storia. La Rivoluzione francese porta anche il suo segno (27).

 

Note

[*] Questo scritto è pubblicato in M. Trombino, Elementi di didattica teorica della filosofia, Calderini, Bologna 1999.

1. «Per Rousseau l'interesse primordiale dell'uomo è l'uomo. L'uomo e la sua vita, nella filosofia di Rousseau, si collocano in primo piano. Nello sfondo la visione dell'insieme degli esseri e delle cose è come un vasto paesaggio i cui contorni sfumano. La domanda: "chi sono io?", precede il problema di Dio. La domanda: "cosa è l'uomo?" precede il problema della natura. La visione della natura non costituisce il punto di partenza delle sue esperienze filosofiche. È, se mai, il complemento cosmico delle idee che si forma sull'uomo e sul suo destino. Il suo pensiero, si potrebbe dire, è ben più psicologico che metafisico. È antropocentrico. La concezione del mondo viene dopo quella dell'uomo, così come i problemi personali precedono in lui i problemi della natura umana in generale. E l'esperienza personale che lo porta alle aspirazioni cosmiche» (B. Groethuysen, J.-J. Rousseau, Paris 1949, p. 238, citato da E. Garin nella Introduzione a J.-J. Rousseau, Scritti politici, a cura di E. Garin, Bari 1971, p. VIII).

2. In Rousseau è molto forte il gusto dell'apparente paradosso, artificio retorico di notevole effetto letterario. Non è di questo che parliamo perché in questo caso la contraddizione è solo apparente. A proposito dell'età infantile, ad esempio, Rousseau scrive che «si deve perdere tempo per guadagnarne», ma non vuol dir altro se non che è necessario rispettare i tempi di maturazione del bambino se si vogliono ottenere, al momento giusto, risultati sicuri che non richiedano ulteriori interventi educativi.

3. Il pensare attraverso paradossi è tipico dell'età di Rousseau, ed ha forse anche una radice letteraria, teatrale. Si pensi alla figura di Don Giovanni, alle «anime belle» così diffuse nella letteratura tedesca, ai personaggi dei romanzi, da Robinson a Gulliver alle figure costruite da Sade. In questi personaggi un tratto della realtà umana viene assolutizzato e lasciato interagire in condizioni estreme con il mondo, a sua volta assolutizzato (l'isola di Gulliver. il monastero sadiano, e così via). Si tratta di un mondo parallelo al reale in cui l'autore - come una divinità nella sua sfera - ha posto leggi proprie. I testi di Rousseau non costituiscono dunque un caso isolato. L'illuminismo ha la tendenza, determinante nell'Emilio, alla costruzione di universi mentali paralleli ed alla astrazione dalla realtà di un elemento che viene assolutizzato.

4. «Nei primi tre libri Émile rimane semplicemente un nome. Non è un essere in carne ed ossa, ma un prodotto in vitro. Siamo in un'epoca in cui i filosofi cercano di trasporre i metodi delle scienze fisiche nel campo delle scienze morali ricorrendo all'esperienza immaginaria. E i primi tre libri non sono che una serie di esperienze di questo tipo. Voi educate il vostro allievo secondo questo metodo; io faccio il contrario col mio: vediamo quale risultato otterremo. Il procedimento è sempre questo» (J. L. Lecercle, L'«Émile» nella storia, in J.-J. Rousseau, Émile, trad. it. di G. Carullo, Roma 1975, p. 25).

5. Scherer interpreta la figura di Emilio come il «doppio» del maestro: cfr. R. Scherer, Emilio pervertito, trad. it. di L. Muraro, Milano 1976, p. 124.

7. Il giudizio è di J. Starobinski (Jean-Jacques Rousseau, trad. it. di R. Albertini, Bologna 1982, pp. 204, 216-217). Sul tema si vedano le riflessioni di Scherer (Emilio pervertito, cit., pp. 132 ss.) che richiama tra l'altro Il giro di vite di H. James (trad. it. di E. Maraone, Milano 1974). Il tema è discusso anche da P. Casini (Introduzione a Rousseau, Roma-Bari 1986, pp. 125 ss.) ed è interessante anche perché suggerisce un possibile percorso di ricerca all'inteno di queste tematiche nel Settecento francese.

8. Sul carattere scientifico dell'Emilio insiste G. Marchesini (11 valore scientifico del naturalismo pedagogico di G. G. Rousseau, in L'educazione naturale, Roma 1913).

9. Non mancano tuttavia dei limiti alla validità di questa affermazione e interpretazioni discordanti, soprattutto per i libri quarto (Professione di fede del vicario savoiardo) e quinto (Sofia o la donna; ma anche la parte politica, sintesi del Contratto sociale, appare ad alcuni interpreti non del tutto armonizzata all'opera). Lecercle per la Professione di fede parla addirittura di «opera inserita artificiosamente nel bel mezzo dell'Émile» (L'«Émile» nella storia, cit., p. 28). A proposito dell'Emilio Casini parla di opera rapsodica (Introduzione a Rousseau, cit., p. 120). Cassirer al contrario sottolinea l'unità organica raggiunta da Rousseau con l'inserimento della Professione di fede nel corpo dell'Emilio (Il problema Gian Giacomo Rousseau, trad. it. di M. Albanese, Firenze 1938, pp. 111 ss.).

10. Il procedimento a volte è l'inverso: Rousseau enuncia una tesi e solo dopo descrive le osservazioni. In questo caso la tesi fa al lettore l'effetto di un paradosso: ad esempio, il già citato «perder tempo per guadagnarne», tesi enunciata a p. 95 e ripresa con osservazioni che la chiariscono più avanti.

11 Vi sono molti segnali nell'Emilio che indicano questa direzione: il maestro deve essere giovane, deve lavorare col bambino e vivere con lui le stesse esperienze, la sua attività deve essere a tempo pieno e per decenni è una esperienza irripetibile e così via.

12. Non v'è contraddizione con la tesi, prima espressa, del recupero delle tradizioni locali. Queste infatti si sono storicamente sviluppate nel rispetto della natura dell'uomo e delle condizioni imposte dall'ambiente e costituiscono un modello concreto delle idee politico-pedagogiche di Rousseau. Il rifiuto non è della storia in quanto tale, ma del modello vincente, espresso - simbolicamente, ma in parte anche concretamente - dalla grande città, da Parigi. Rousseau esplicitamente considera Ginevra e la sua tradizione l'ispiratrice della sua visione del mondo politico e sociale e si oppone alla sua città quando essa gli pare perdere le sue caratteristiche tradizionali.

13. Sono le parole conclusive della Prefazione all'Emilio.

14. Cfr. J. Starobinski, Jean-Jacques Rousseau, cit., p. 9.

15. Il lettore tuttavia non immagini la fredda progettazione di un teorico. Al contrario, la particolare situazione esistenziale di Rousseau non gli permette affatto di attendere. Se egli è un profeta dell'avvenire, lo è in qualche modo suo malgrado. Per quanto riguarda la specificità disciplinare della pedagogia, non vi è contraddizione nel legame armonico tra i due saggi roussoiani: pedagogia e teoria politica - discipline distinte - compongono il quadro unitario della filosofia dell'uomo. La distinzione disciplinare non deve spingersi fino a smarrire l'unità della integrale persona umana.

16. Da questo punto di vista si differenziano nettamente l'interpretazione kantiana (ripresa nel nostro secolo da Cassirer) da quella materialista.

17 Questa difficoltà di comprendere la natura generale del pensiero roussoiano, sospeso tra tendenze sistematiche ed antisistematiche, trova una spiegazione nell'interpretazione esistenziale che ha trovato spazio nel nostro secolo: cfr. P. Burgelin, La philosophie de l'existence de J.-J. Rousseau, Paris 1952, e il già citato saggio di Starobinski.

18. Pur con le difficoltà sottolineate dagli interpreti a cui accennavamo più sopra.

19. In Rousseau ha una influenza notevole la tradizione stoica (sin da giovane è stato un appassionato lettore di Plutarco). Per il senso «mistico» della natura in Rousseau si pensi alla quinta delle Passeggiate solitarie (in Opere, II, a cura di P. Rossi, Firenze 1989, pp. 1346-1351).

20. Cfr. nota 7.

21. A Lione diviene precettore dei due figli del magistrato Mably.

22. Tutta la vicenda della condanna dell'Emilio e dell'impatto presso il pubblico può essere seguita attraverso la ricostruzione delle pubblicazioni sui giornali dell'epoca: cfr. P.-P. Plan, J-J. Rousseau raconté par les gazettes de son temps, Paris 1912.

23. «Ad onta di questa violenta reazione, che sconvolse profondamente la mente del filosofo, l'influenza dell'Emilio fu enorme. Ad esso si ispirarono i romantici della rivoluzione; Kant confessa che "nessun libro lo ha così profondamente sconvolto", Basedow, Richter, Pestalozzi, Frobel se ne dichiarano discepoli e ammiratori; il Tolstoi ne fa un libro di fede. All'Emilio, tuttavia, seguono gli Anti-Emilio; primo quello del Cardinale Gerdil. uscito subito un anno dopo la pubblicazione dell'Emilio. La condanna pronunziata dall'Arcivescovo di Parigi e la censura della Facoltà di teologia erano buoni motivi per incoraggiare le confutazioni e le critiche più assurde. Al Gerdil seguono altri; l 'Anti-Emilio di Formey (1763), l'Emilio cristiano del Leveson (1764), il Nuovo Emilio del Feder (1768), il Novello Emilio del Cavye (1769), L'Emilio disingannato del Nuzzarelli (1782) e nel 1820 un anonimo pubblica a Parigi Le monde des Émiles. Insieme con quelli che abbiamo ricordati altri ve ne sono: tutta una fitta letteratura passionale e polemica, ch'è passata senza lasciare traccia, altro che di pura curiosità, nella stona dell'educazione» (E. Lama, Rousseau, in La pedagogia, 5, Maestri e idee dell'età moderna, diretta da L. Volpicelli, Milano 1970, p. 98). Un esame del dibattito su Rousseau nel XVIII secolo e sulle reazioni alle sue opere è in A. llluminati, Jean Jacques Rousseau, Firenze 1975, pp. 12 sgg.

24. «In molti paesi europei, e soprattutto in Germania, in Svizzera ed in Inghilterra, discepoli entusiasti cominciarono ad educare i loro figli al modo di Emile, con grande sgomento dello stesso Rousseau, il quale non aveva mai preteso tanto e voleva che dal suo libro si ricavassero principi generali da adottare a seconda delle possibilità concrete» (J. L. Lecercle, L'"Émile" nella storia, cit., p. 32).
«Il significato di Rousseau nella storia della pedagogia non è tanto legato ad un metodo di educazione, quanto alla scoperta pedagogica della autonoma formazione dello spinto. L'interna legge di questa formazione è la natura, per cui l'invocazione d'un ritorno alla natura è da intendere come un ritorno ai motivi originali dello spirito. Un ritorno ch'è un progredire, simile al platonico procedimento della conoscenza, ch'è un ritorno alle idee eterne.
L'influenza esercitata da Rousseau sullo svolgimento della storia e del pensiero è stata enorme. Aveva appena pubblicato la Nuova Eloisa e l'Emilio che da tutte le parti della Francia e della Svizzera gli affluivano lettere di sconosciuti: erano ragazze che, come la parigina Henriette, gli chiedevano: "Insegnami a vivere", giovani provinciali, borghesi smaniosi di novità, preti inquieti.
Tutte le scuole socialiste lo invocano, i rinnovatori lo acclamano; egli si trova all'origine di ogni ebbrezza del pensiero, dello stile, della parola. Due o tre generazioni sono state così impregnate di "rousseauisme" da atteggiare ai suoi principi la propria vita intima. L'invincibile ascendente di Rousseau assume una potenza contagiosa perché le sue idee appartengono al secolo: nella sua voce è la voce di tutto il secolo.
All'indomani della presa della Bastiglia, l'Abate Bernard intraprendeva un viaggio per andare a visitare la tomba di Rousseau e nel Témoignage de sensibilité et de reconnaissance a J.-J. scriveva: "Le grandi rivoluzioni, che tu avevi divinate, stabiliscono dei secoli tra la tua morte e il giorno in cui siamo venuti a visitare la tua tomba... Noi saremo umani e liberi e il popolo, in mezzo al quale vivesti, sarà tutto degno di custodire le tue ceneri". Il 21 dicembre 1790, i membri di una «Società d'amici del cittadino filosofo autore del Contratto sociale» decisero di recarsi alla tomba di Ermenonville a depositare un ramo d'olivo e una corona di lauro; lo stesso giorno, su proposta di Barrère, l'Assemblea entusiasta decretava che Teresa fosse nutrita a spese dello Stato. Infine, su proposta di Lequino e di Jean de Boy, il 14 aprile 1794 la Convenzione decretava di accordare a Rousseau gli onori concessi tre anni prima a Voltaire» (E. Lama, Rousseau, cit., pp. 88-99).

25. «Nel XVIII secolo i testi di pedagogia cominciano a proliferare. Il desiderio di affrancare l'uomo dalle vecchie pastoie feudali si fa sempre più imperioso. Gli sforzi si moltiplicano. Ognuno crea un proprio sistema per rinnovare l'uomo grazie all'insegnamento. Le donne, com'è naturale, vi hanno una funzione di primo piano: madame de Lambert, madame d'Épinay, madame de Genlis e molte altre. I filosofi dicono la loro. Ci sembra indicativo un episodio per mettere in luce l'evoluzione realizzatasi da un secolo all'altro. Nel XVII secolo erano degli ecclesiastici, e talvolta dei prelati (Bossuet, Fénelon) a tramandare il loro nome nella stona della pedagogia. Nel XVIII i sovrani si rivolgono ai filosofi perché educhino i loro figli: Condillac (più filosofo che abate) si reca alla corte di Parma, seguito da Deleyre, amico di Rousseau. Catenna II propone a d'Alembert di incaricarsi dell'educazione dell'erede al trono. Più tardi, Diderot scriverà un Plan d'une université pour le gouvernement de Russie. Quando Rousseau entra in corrispondenza con il principe di Wurttemberg, per consigliarlo sul suo ruolo di padre, non si tratta dunque di un fatto isolato, così come l'Emile non è un'opera nata nel deserto ma ha degli antecedenti e riprende una somma di idee disseminate nella letteratura pedagogica del XVIII secolo per sistematizzarle con la forza del genio» (J.L. Lecercle, L'«Émile» nella storia, cit., pp. 23-24).

26. Ibid., p. 19.

27. Cfr. R. Roland, J.-J. Rousseau, trad. it. di P. Rossi, Milano 1950, pp. 27 sgg.